di Ada Piselli
C’è questo vecchio film con Bill Murray, “Ricomincio da capo” in cui lui interpreta un giornalista inviato dal suo network per seguire “il giorno della marmotta” e per motivi misteriosi si ritrova a rivivere decine di volte lo stesso giorno, la vigilia appunto del giorno della marmotta. E insomma, lui si sveglia la mattina ed è sempre lo stesso giorno, qualsiasi cosa lui abbia fatto il giorno prima: lo vediamo stupirsi, divertirsi, dare di matto, disperarsi, ma questo giorno della marmotta sembra non arrivare mai. Fino a quando… ma no, non sono qui a spoilerare la fine del film. É che questo film mi viene in mente spesso ultimamente, per due motivi. Talvolta ascoltando i racconti dei pazienti, ma anche di amici e colleghi, mi sembra quasi che si sia vissuto collettivamente una lunghissima vigilia del giorno della marmotta: un tempo sospeso, di attesa, con giornate sempre uguali, con una divisione sempre più sottile e sfumata tra giorni lavorativi e giorni festivi, in cui si è panificato, si è letto, ci si è abbuffati di serie televisive, si è familiarizzato (o ci siamo azzuffati, che è un po’ la stessa cosa) con Zoom, Classroom, Skype, in cui si è usato Amazon e si è ordinato cibo consegnato a domicilio, in cui ci si è sentiti spesso anche disperati, persi, soli. Un tempo sospeso, spesso – terribilmente spesso – scandito da lutti, in cui si sono rimandati matrimoni, viaggi, decisioni importanti a quando la pandemia sarebbe finita. E adesso, che il tempo sembra aver ripreso a scorrere, la sensazione è che molti siano in attesa di una profezia, una previsione sul futuro prossimo, dal virologo di fiducia, dalla politica, da qualunque Cassandra, foss’anche Phil la marmotta.
“É finita? Possiamo riprendere a vivere con una ragionevole aspettativa di futuro o ci conviene non allontanarci troppo da casa?”
Se ci eravamo illusi di poter lasciare le incertezze alle spalle ora facciamo i conti con un diverso livello di incertezza, un livello che, lasciati alle spalle obblighi e divieti, ci investe tutti di una responsabilità di secondo ordine sia rispetto ai nostri comportamenti individuali sia rispetto alla nostra partecipazione alla vita sociale e culturale. Ora che, come marmotte, iniziamo timidamente a rimettere la testa fuori dalle nostre tane per cercare di capire che ne è stato del mondo là fuori, quanto lavoro c’è da fare, come riconnettere i fili del privato, del pubblico, della clinica e della formazione.
E allora forse, per iniziare, occorre fare come Bill Murray nel film e iniziare non tanto a rivivere quel tempo (mettete giù quel lievito!), quanto a ripensarlo come un tempo utile, necessario, che non è passato e basta, ma in cui sono comunque accadute cose, in cui i nostri figli sono comunque cresciuti, noialtri siamo invecchiati, molti purtroppo sono morti, lasciandoci eredità da mantenere vive.
Quasi tutti contributi di questo numero, ad esempio, sono stati scritti quando la luce in fondo al tunnel era ancora lontana, quando ci si poteva vedere solo attraverso un monitor e non si aveva idea di come e quando ci si sarebbe potuti ritrovare in presenza. Direi che la qualità degli articoli non ne ha risentito, anzi. Troverete tra le recensioni quelle di due articoli – del nostro direttore Pietro Barbetta con Umberta Telfner e dei nostri didatti della sede di Padova, Andrea Mosconi e Barbara Trotta – pubblicati su riviste importanti come Family Process e Australian and New Zealand Journal of Family Therapy. Troverete anche le recensioni di libri usciti quest’anno (e scritti – presumibilmente – e letti durante il tempo “sospeso”).
Siamo una centro clinico e scuola di psicoterapia con diverse sedi in Italia e rapporti internazionali di tutto rispetto. Ne troverete traccia negli articoli, che esplorano le origini teoriche del nostro approccio (Fany Triantafillou e Kelly Patrikou, tradotte dalla nostra rivista cugina “Metalogos”), le connessioni con altri approcci in termini di salute e rapporto mente corpo (Roberta Sallustio, ex allieva della sede di Milano), un contesto di intervento delicato (Batolo, La Barbera, Raineri, Puleo del centro Siciliano di Terapia della Famiglia), la creatività socio-culturale (Carmen Pellegrinelli, university of Lapland). Ricordiamo ancora una volta Mary Catherine Bateson con un’intervista del 2011 del nostro Gianluca Ganda (in italiano e in inglese).
E purtroppo ricordiamo anche due grandi maestri venuti a mancare negli ultimi mesi: Humberto Maturana e Alain Chabert.
Non abbiamo mai smesso di confrontarci con gli altri, a distanza ed in presenza, ne troverete traccia come al solito nella rubrica di Umberta Telfener “Dal Mondo Sistemico”.
Ada Piselli e Barbara Trotta hanno chiesto ai nostri allievi degli ultimi anni di raccontare quest’anno di formazione a distanza e le loro parole sono un balsamo per il cuore di noi didatti: si sono aperti nuovi territori sistemici, nuovi orizzonti di apprendimento, e continueremo a frequentarli indipendentemente dalle zone rosse. Fate quello che vi pare con il lievito, ma non disinstallate Zoom.
E insomma, direi che da queste parti abbiamo usato bene questo tempo sospeso: abbiamo scritto, abbiamo letto, abbiamo imparato molto.
Non sono una marmotta e non predico il futuro, ma auguro a tutti noi una buona lettura!