Didattica e psicoterapia sistemica

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di Fabio Sbattella
Università Cattolica S. Cuore, Milano

Introduzione

Scopo del presente lavoro è quello di offrire riflessioni e linee guida utili a verificare la qualità dell’offerta formativa nelle scuole di psicoterapia e a formare nuovi didatti. Le riflessioni prendono spunto dall’esperienza maturata in venticinque anni di attività didattica all’interno di scuole di psicoterapia, prevalentemente di approccio sistemico e in modo minoritario psicanalitico e transculturale. Sono inoltre motivate dalle richieste sempre più frequenti da parte di colleghi, interessati a sistematizzare ed esplicitare l’insieme delle strategie operative che reggono il nostro lavoro sul campo. Come accadde in passato per tutti gli ambiti di insegnamento, infatti, al primo sorgere dei percorsi formativi in psicoterapia non era ampia la riflessione sulle specifiche competenze necessarie per insegnare l’arte e la professione della psicoterapia (Bruni, Vinci, Vittori, 2010). In ambito sistemico, ad esempio, Boscolo e Cecchin, proposero inizialmente una forma sofisticata di apprendistato. Invitavano, infatti, gli allievi ad osservare, da dietro ad uno specchio unidirezionale, le sedute condotte da un terapeuta esperto e si rendevano disponibili poi a discutere a lungo, con loro, osservazioni, domande, curiosità, dubbi e critiche. La supervisione dell’esperienza terapeutica in diretta e l’elaborazione comune delle analisi cognitive, delle risonanze emotive, delle fantasie e delle libere associazioni (insieme al rimando sistematico a libere e pertinenti letture), erano ritenute adeguate e sufficienti per una formazione abilitante (Boscolo, Cecchin, 1982).
Diversa era la tradizione in ambito psicoanalitico. Fin dal primo sorgere della Società psicoanalitica, la formazione didattica era proposta come ulteriore percorso di analisi personale, a cui seguiva la supervisione di situazioni prese in carico dall’analista ed una valutazione di idoneità da parte di più analisti esperti (Kernberg, 2011).
Molte cose sono cambiate, in questo ambito, in Italia, a partire dall’equiparazione delle scuole di psicoterapia private alle scuole di formazione Universitaria (Onnis, 1999). Tale risultato ha avuto il pregio di garantire un riconoscimento istituzionale e pubblico al sistema formativo che nel frattempo si era strutturato, ma ha richiesto complesse mediazioni per standardizzare e rendere equiparabili tra loro tradizioni formative e modalità terapeutiche assai diverse le une dalle altre (Canestrari, 1986; Lombardo, 1994). Questo processo ha permesso anche di migliorare la consapevolezza delle agenzie di formazione rispetto alle proprie strategie didattiche, obbligando ciascuno a chiarire, confrontare, condividere e mediare sia gli assunti di base che sostengono le rispettive modalità operative di lavoro (Draper, Gower, Huffington, 1991; Anderson, Rigazio-DiGilio, Kunkler, 1995; Molinari, Castelnuovo, 2007; Zerbetto, 2007).
Chi si affaccia oggi al mondo della formazione in psicoterapia incontra questi standard come dati di fatto, percependo una significativa continuità tra percorsi formativi universitari e formazione post universitaria. Riteniamo sia giunto il momento dunque di discutere, innanzitutto tra didatti di approccio sistemico, quali siano le modalità più opportune di realizzare la pratica formativa e dunque quali competenze devono necessariamente caratterizzare il formatore didatta. In particolare, siamo interessati a comprendere:

  • in che modo coloro che svolgono il ruolo di didatta sono preparati per facilitare i processi di apprendimento e di formazione;
  • quali specifici accorgimenti sono necessari per realizzare un’efficace didattica finalizzata al ruolo psicoterapeutico;
  • quali eventuali caratteristiche differenziano una didattica di approccio sistemico da altri stili formativi.

Desideriamo segnalare, a margine del discorso, che la riflessione in ambito formativo è cresciuta in modo esponenziale in questi ultimi venticinque anni, in Italia come nel resto d’Europa. Questo è accaduto a seguito delle nuove conoscenze e modelli sui processi di apprendimento, a causa dell’irrompere di nuove tecnologie e per il crescente bisogno di formazione continua rispetto a saperi in continuo rinnovamento (Cortellazzi, 2007). Ogni livello dell’istruzione e della formazione ha subito per questo significative trasformazioni. Per il sistema di istruzione italiano, ad esempio, si è fatto chiaro che una preparazione accademica in una materia (matematica, storia, lettere, scienze, psicologia etc.) era condizione necessaria ma non sufficiente per trasmettere saperi, metodologie di riflessione ed indagine, curiosità e atteggiamenti costruttivi ai diversi destinatari. Sono stati così creati concorsi di abilitazione e percorsi di formazione all’insegnamento, finalizzati a conoscere i processi di apprendimento e le variabili che li influenzano, le modalità di gestione dei gruppi e delle tecnologie didattiche, le peculiari attenzioni legate ai contenuti della materia, il contesto complessivo in cui si colloca ciascun insegnamento. Sono nate per questo le Facoltà di Scienze dell’Educazione e i corsi di laurea in Scienze della Formazione (1993/1994) scuole biennali per l’abilitazione all’insegnamento secondario (le SSIS, previste dalla Legge 1990, n. 341/1990, furono attive dal 1999 al 2009) e corsi di laurea abilitanti come Scienze della formazione primaria (L. 169/2008), tirocini formativi attivi (TFA, dal 2009 al 2016) e percorsi FIT (Formazione iniziale, Tirocinio, inserimento, dal 2017). Si tratta di indicatori significativi di una riflessione che ha raggiunto una piena maturità scientifica.
Anche sul fronte della formazione continua e degli adulti molti progressi sono stati fatti. Diverso infatti è apprendere qualcosa in tenera età o in età matura. La figura del formatore degli adulti ha oggi precise caratteristiche, associazioni, regolamentazioni, ricerche e studi di riferimento (Lipari, 2012). Sebbene dunque continuino a presentarsi sul mercato persone che credono di poter ridurre il ruolo formativo alla presentazione frontale di slides, così come adulti che pensano sia facile essere educatori e insegnare ai bambini delle elementari, possiamo dire che la ricerca e la sperimentazione hanno permesso di enucleare in ogni settore metodologie e strategie veramente professionali (Carli, Paniccia, 1999; Castagna, 2002). Valutare la qualità di una scuola di psicoterapia dovrebbe dunque includere la possibilità di valutare la preparazione specifica (in ambito formativo degli adulti) dei didatti che la compongono e non solo le loro competenze psicoterapeutiche. Questo può essere fatto a partire dalla consapevolezza che terapia e formazione sono processi molto diversi (pur avendo in comune la dimensione del cambiamento personale), perché l’una mira alla riduzione del disagio e disturbo clinico, l’altra all’assunzione di strumenti e stili relazionali di tipo professionale.

 

Elementi di didattica per la formazione di psicoterapeuti

Risulta difficile rispondere alla prima domanda che ci siamo posti (in modo coloro che svolgono il ruolo di didatta sono preparati) se prima non si giunge ad una esplicitazione delle strategie (metodologie complessive) e tecniche (intese come modalità operative) ritenute necessarie per realizzare una efficace didattica finalizzata all’acquisizione del ruolo psicoterapeutico da parte degli allievi.
Proviamo dunque qui a organizzare un primo elenco delle competenze, che abbiamo verificato essere cruciali, almeno nell’ambito delle scuole di psicoterapia di approccio sistemico.

Capacità di includere le cornici e il contesto di riferimento nell’azione formativa.

Questa prima competenza appare caratterizzante poiché uno dei principi base dell’approccio sistemico è quello di non separare mai le interazioni dai contesti da cui sono determinate e che contribuiscono a creare, in modo circolare. Quali possono essere dunque i contesti di riferimento che non devono essere ignorati da un didatta sistemico? Certamente i vincoli e le possibilità offerte dal MIUR (del cui sistema formativo complessivo le scuole di psicoterapia fanno parte) nonché le regole e le funzioni della formazione continua in medicina (sistema che riconosce un valore di equipollenza alla formazione realizzata nelle scuole di psicoterapia).
In secondo luogo, devono essere tenuti presenti i vincoli posti dal codice deontologico degli psicologi, nonché da tutta la normativa che attiene al ruolo professionale di psicoterapeuta.
In terzo luogo bisogna considerare i ruoli attesi e realmente praticabili in un mercato del lavoro in continua evoluzione, poiché i modi di praticare la psicoterapia possono variare negli anni per motivi economici, tecnologici, normativi e culturali.
Infine, deve essere sempre ben presente al docente didatta che ogni azione che compie si colloca all’interno di un progetto complessivo dell’offerta formativa e di un contratto formativo che regola aspettative e obblighi di tutte le persone in campo. Ogni scuola infatti, si impegna a perseguire la formazione complessiva di ogni psicoterapeuta non attraverso l’azione di un singolo mentore e professionista-modello, ma attraverso una complessità di azioni sinergiche.
Ad esempio, attraverso una serie di seminari teorici, esperienze intensive e residenziali, tirocini, colloqui individuali, attività “pratico-cliniche” o “teorico-pratiche”, laboratori, congressi, letture ed elaborati scritti. Ciascuna di queste attività dovrebbe esplicitare, verificare, ottimizzare e connettere le proprie metodologie didattiche con le altre attività, in relazione alle risorse di contesto (spazi, tempi, rapporto numerico docenti-allievi), al punto del percorso di formazione (iniziale, finale, intermedio) e ai contenuti. Ci soffermeremo nelle prossime pagine sui moduli chiamati pratico-clinici (o teorico-pratici) per fare un primo esempio di sistematizzazione metodologica.
Alcune caratteristiche strutturali di questo modulo formativo costituiscono il primo insieme di vincoli e di opportunità. Le attività pratico-cliniche si realizzano infatti con cadenza fissa (in genere ogni quindici giorni) e coinvolgono un gruppo ristretto (tra 10 e 20 allievi) per un tempo significativo (6/8 ore al giorno per un totale di 120/160 ore annue). Esse vedono coinvolto lo stesso docente didatta per uno o due anni interi ed hanno l’obiettivo dichiarato di “fornire le competenze relazionali sistemiche necessarie per condurre colloqui psicoterapeutici con individui, coppie e famiglie”.
Si tratta dunque di un contenitore cruciale, in grado di facilitare le interazioni dirette e protratte tra tutti i partecipanti, nonché di sollevare aspettative (tra un incontro e l’altro) e ricordi condivisi. Tali dinamiche emotive, affettive e relazionali andranno gestire e orientate all’obiettivo. Per questo possiamo sottolineare altre competenze, necessarie al ruolo didattico in questo contesto:

Capacità di facilitare relazioni funzionali all’apprendimento tra i partecipanti alle attività

Capacità di delineare il percorso che si snoda nell’anno e connettere tra loro i singoli incontri.

Per quanto riguarda il primo aspetto, possiamo dire che una delle caratteristiche dell’approccio sistemico è quella di considerare le interazioni tra punti di vista diversi come una risorsa chiave per l’apprendimento. Il gruppo non è dunque considerato una mera soluzione organizzativa per realizzare a minor costo percorsi di formazione individuale. Esso è, al contrario protagonista primario e strumento di apprendimento relazionale. Sarà infatti lavorando sulle emozioni, le incomprensioni, le spinte al conformismo e alla differenziazione che si potranno affinare le sensibilità degli allievi a cogliere e governare i propri e altrui modelli relazionali. Vanno comunque ricordate le cornici che caratterizzano questi gruppi: si tratta infatti di gruppi di lavoro (nei quali cioè la funzionalità produttiva prevale su quella emotiva), tesi al raggiungimento di obiettivi individuali (ciascun membro del gruppo deve trovare il suo guadagno), ma tra loro interdipendenti (ognuno ha bisogno degli altri per realizzare simulazioni, avere feed-back e confrontarsi con punti di vista diversi).
La seconda competenza sopracitata, nuovamente fa riferimento all’abilità di co-costruire un contesto sensato e chiaro, all’interno del quale collocare le singole interazioni. Tecnicamente, in questo senso, si esprime nella capacità di formulare con chiarezza all’inizio del percorso uno specifico contratto formativo (integrato con quello complessivo) in cui chiarire aspettative, tempi, metodi, contenuti, risorse richieste e offerte. Viene così predisposta una griglia di orientamento, rispetto alla quale sarà anche possibile introdurre variazioni ed eccezioni, ma con la consapevolezza del loro valore. Le best practices in ambito di formazione adulti (Gamelli, Formenti, 1998) suggeriscono che tale chiarezza accompagni ogni appuntamento periodico, attraverso un sommario iniziale e una sintesi finale del lavoro comune svolto. La sintesi finale può essere offerta dal docente-didatta o richiesta ai membri del gruppo, in modo da verificare anche cosa è stato percepito del lavoro svolto e del suo senso all’interno del percorso generale.
Come quarta competenza possiamo indicare la

 

Capacità di gestire le attività didattiche in copresenza

Secondo la tradizione sistemica, “quattro occhi vedono meglio di due” e la possibilità di avere due figure ben integrate nel ruolo di conduttori d’aula è veramente preziosa. La situazione migliore è quella in cui vi è la possibilità di lavorare in modo continuativo con un co-conduttore affiatato e competente. Spesso il co-trainer è un collega che si sta formando come didatta. In tal caso può essere costruita una coppia di tipo complementare, con l’allievo in posizione di supporto e con ruolo di osservatore partecipe, con il compito di fornire supporto organizzativo, facilitare le dinamiche relazionali, offrire feedback e osservazioni. Anche tale metodologia è in linea con le tecniche elaborate in ambito di psicoterapia sistemica, dove spesso si sceglie di operare con coppie complementari, posizionate diversamente rispetto alla situazione presa in carico per quanto riguarda il coinvolgimento emotivo e il livello di attività.

Alla quinta competenza desideriamo dedicate un paragrafo a sé stante:

 

Capacità di utilizzare metodologie di apprendimento attivo

Strategie di attivazione e metodologie di apprendimento attivo

Le metodologie attive sono considerate universalmente degli strumenti elettivi per l’apprendimento. Potremmo dire (forzando leggermente l’etimologia della parola apprendimento, verso una metafora facilmente memorizzabile), che “ap-prendere” rimanda all’azione di impossessarsi intenzionalmente di una parte di ciò che altri mettono a disposizione. Si tratta dunque di una posizione attiva (in linea con le posizioni costruttiviste della conoscenza e con i modelli più attuali della mente umana), all’interno di un contesto interattivo opportunamente predisposto. Responsabilità dei formatori, in questo senso, è quella di mettere a disposizioni concetti, risorse ed esperienze in modo accessibile e in quantità maggiore rispetto a quanto i soggetti in formazione siano in grado di prendere. Sua responsabilità inoltre è creare un contesto in cui sia legittimo prendere ciò che si è in grado di prendere e disporre di una conoscenza così ampia da poter eventualmente orientare correttamente “la fame di apprendimento” anche oltre le proprie vaste conoscenze. Responsabilità del discente è invece quella di darsi da fare, chiarendo a sé stesso ciò che desidera e ciò di cui ha bisogno esattamente. Tornando al tema delle metodologie attive, rimandiamo ad altre letture per approfondire i motivi dell’efficacia e del loro valore (Nigris, Negri, Zuccoli, 2007) soprattutto nella formazione degli adulti e per l’apprendimento di procedure e ruoli (Stella, Quaglino, 1988). Ci soffermeremo invece su alcune tipologie di metodologie attive (che devono essere necessariamente padroneggiate da un docente didatta) e sulle competenze necessarie per utilizzarle. Diciamo subito che una competenza didattica indispensabile è quella di saper scegliere, proporre, integrare nel percorso complessivo e soprattutto gestire le occasioni di attivazione. L’aspetto di conduzione è il più delicato, poiché non è sufficiente proporre un esercizio tratto da un libro sui “giochi psicologici” per creare un buon contesto formativo.
Tra le metodologie attive più utilizzabili nel contesto formativo in psicoterapia sistemica (Bogliolo, Bacherini, 2015) possiamo ricordare: il brainstorming, il dibattito, l’esercitazione, la simulazione, i games, il role play, lo studio di casi, l’incident, la progettazione.
Iniziamo dal brain storming. In senso stretto, si tratta di una tecnica creativa basata sulle libere associazioni, ma in senso ampio può essere usata come libera raccolta di idee su un tema che si vuole affrontare insieme. Utilizzata all’inizio di una attività didattica, permette di analizzare le mappe cognitive e enciclopediche già presenti nel gruppo, cogliere opinioni e pregiudizi eventualmente presenti, esplorare le parole chiave di riferimento ed evidenziare gli aloni e le polarità semantiche condivise, differenziate e idiosincratiche. Saper utilizzare bene questo strumento appare indispensabile in tutte le iniziative formative rivolte ad adulti. Una caratteristica di tale contesto, infatti è quella di dover partire dalle conoscenze già consolidate. Un didatta accorto punterà ad arricchirle o confermarle, discuterle, ristrutturale o approfondirle, evitando di partire con proposte che potrebbero essere già scontate per molti. Prerequisito per l’uso efficace di questa tecnica è la presenza di un clima di gruppo percepito come non valutativo. Tocca al conduttore marcare il contesto come realmente libero e bloccare ogni eventuale commento o discussione dei membri del gruppo, che possa essere intesa come valutazione implicita.
Come secondo strumento attivo consideriamo il dibattito. Le discussioni permettono di articolare argomentazioni e rappresentazioni, intrecciare emozioni e co-costruire immaginari comuni. Facilitare e animare discussioni è un’arte che richiede neutralità, una buona capacità di cogliere contraddizioni e incongruenze del discorso, curiosità e irriverenza (Cecchin, 1987; Cecchin, Lane, Ray, 2003). In ambito formativo psicoterapeutico può essere utilizzata per esaminare criticamente letture comuni, esplorare punti di vista professionali e familiari diversi in un caso critico, evidenziare gli assunti di base di ciascun partecipante su temi cruciali per la salute psichica, la relazione terapeutica o i legami affettivi. Per facilitare la partecipazione di tutti i presenti, alcuni dibattiti possono essere intenzionalmente polarizzati, assegnando casualmente i partecipanti a due gruppi contrapposti, con il compito di sostenere tesi contrarie. In questo modo si può esaminare e migliorare la capacità di tener conto delle argomentazioni altrui e sostenere posizioni utili all’interlocutore, anche se non del tutto “vere” per sé.
Va poi considerata l’ampia gamma di attività che comprendono esercitazioni, simulazioni e role play. Conoscere le differenti sfumature e possibilità di queste metodologie didattiche è una prima competenza necessaria per usarle con consapevolezza ed efficacia. In un recente articolo (Sbattella, 2012) abbiamo evidenziato la differenza tra esercitazione e simulazione. Nel primo caso viene proposto ai soggetti di “mettere in pratica” protocolli operativi, procedure, comportamenti già messi a punto da altri. È quanto è necessario fare, ad esempio, per apprendere correttamente l’uso di una intervista diagnostica strutturata e standardizzata. Attraverso ripetute esercitazioni, la loro registrazione e discussione, saranno memorizzate e automatizzate le sequenze comportamentali previste dal protocollo, fino ad una padronanza fluida delle parole, dei gesti e dei toni di voce. Per simulazioni si intendono invece le proposte didattiche che mirano a validare un modello di processo. Per definizione, infatti, le simulazioni sono tentativi sperimentali, che provano a ”mettere in movimento incarnato” la descrizione di un processo interattivo (Anolli, Mantovani, 2011; Restori, 2013). Nel film “l’Onda” si può osservare, ad esempio, come sia possibile, in un contesto formativo, comprendere le dinamiche distruttive di un gruppo lavorando sui simboli di appartenenza e incentivando il conformismo di gruppo.
In ambito sistemico, alcuni apprendimenti possono essere sviluppati attraverso giochi di simulazione al computer che hanno il vantaggio di basarsi su modelli matematici ed algoritmi per progettare mosse e comportamenti. Particolarmente utili sono i simulatori gestionali, in cui i soggetti sono chiamati a prendere decisioni complesse all’interno di sistemi complessi, in cui si intrecciano molteplici variabili.
Con un grado minore di reciprocità e d’interazione, ma un po’ più vicini alla realtà sono le simulazioni intese come games. Si tratta di giochi di ruolo, che prevedono dei punteggi e che hanno anche alcuni gradi di libertà. Il sistema di punteggio è studiato per riprodurre e incentivare determinati processi (ad esempio escalation simmetriche o e complementari), tra i giocatori. L’esperienza diretta e la successiva rielaborazione condivisa delle interazioni permette di comprendere le sfumature dei processi stessi, le varie possibilità di intreccio e la dimensione emotiva che permea ogni azione. All’interno delle scuole di psicoterapia utilizziamo spesso giochi di negoziazione, basati sul modello matematico del dilemma del prigioniero. Essi permettono di esplorare l’intreccio tra interazioni cooperative e conflittuali, tra uso della menzogna e bisogno di informazione, tra conflitto e mediazione.
Appartiene a questo gruppo di tecniche anche il role play. Si tratta forse della proposta più praticata nelle scuole di psicoterapia sistemica. Ideata già nel 1922 da Moreno (Moreno, 1934)e da molti poi raffinata (Capranico, 1997; Giusti, Ornelli, 1999), essa prevedere la messa in scena di una breve interazione (in questo contesto si tratta spesso di colloqui clinici, diagnostici, sedute individuali o familiari) tra allievi che hanno come unico canovaccio il profilo sociale e psicologico del personaggio che interpretano. L’interazione è dunque libera ed improvvisata all’interno dei vincoli contestuali posti dal conduttore, mentre i comportamenti emergenti (e le relative comunicazioni, emozioni, cognizioni) sono frutto dell’interazione contingente e dalle norme di ruolo di ciascun personaggio. Il grado di verosimiglianza dei fenomeni emergenti è molto variabile, ma in ogni caso i partecipanti possono vivere l’esperienza del mettersi “nei panni” di altri e provare ad osservare le interazioni dal punto di vista di una posizione sociale diversa dalla propria. Anche in questo caso, come per tutte le metodologie attive, è importante preparare e gestire accuratamente le interazioni, per prevenire ad esempio, il rischio di cortocircuiti tra simulazione e realtà. Per una buona riuscita di un role playing è indispensabile che i profili personologici, clinici e/o sociali dei personaggi siano delineati con grande completezza e che le persone in gioco abbiano un’idea precisa e completa delle situazioni che saranno discusse in simulazione.
Un’ulteriore modalità attiva, molto usata per la formazione degli psicoterapeuti sistemici, è lo studio di casi. Questo può avvenire con diverse modalità: preparazione presentazione di casi clinici o storici da parte degli allievi, supervisione in gruppo, analisi di sedute o intere terapie videoregistrate, analisi di trascrizioni verbatim di colloqui o interazioni critiche, osservazione di sedute terapeutiche in diretta (dietro ad uno specchio direzionale).
In tutti questi casi l’attenzione è posta all’esperienza clinica, propria e altrui, con l’obiettivo di comprendere i molti aspetti che costituiscono il processo terapeutico. Il coinvolgimento degli allievi può essere proposto per la preparazione del materiale, per la raccolta di analisi puntuali dei processi osservati (eventualmente anche attraverso griglie e linee guida), per la valutazione diagnostica e prognostica, per l’ipotizzazione di interventi, per l’analisi delle risonanze emotive personali.
Tra le metodologie attive essenziali, che devono essere conosciute e padroneggiate da un docente didatta di moduli formativi di tipo pratico-clinici, va ricordato l’incident. Anche in questo caso, si tratta di sottoporre al gruppo (o a piccoli gruppi che rappresentano equipe cliniche) situazioni accuratamente preparate, tratte dalla realtà clinica o della cronaca. La peculiarità della tecnica consiste nel focalizzare l’attenzione su alcuni nodi problematici, rispetto ai quali chiedere agli allievi dei contributi creativi e risolutori. In termini sistemici, possono essere discussi problemi gestionali o organizzativi, dilemmi etici, problemi di priorità, emergenze ed urgenze, fallimenti terapeutici o incomprensioni relazionali. Oltre alle soluzioni ipotizzate, la rielaborazione comune dell’esperienza permetterà di esaminare ed affinare le personali strategie di problem solving in contesto clinico, la consapevolezza delle complessità e le risorse creative necessarie, in certe situazioni, per attivare cambiamenti.
Infine, un breve cenno è doveroso rispetto al metodo dei progetti. Attivazione personale e coinvolgimento responsabile sono facilmente suscitati con la richiesta di generare un prodotto visibile o un progetto veramente realizzabile. In questo caso, possono essere poi esaminate e discusse congiuntamente le competenze di progettazione, quali l’analisi dei bisogni e delle domande, l’individuazione degli obiettivi, delle priorità e degli step, il reperimento e allocazione delle risorse, il monitoraggio, la verifica e le valutazioni di processo e di risultato.

 

Altre competenze didattiche

I moduli formativi di tipo pratico-clinico, all’interno dei percorsi formativi in psicoterapia sistemica, sono in buona parte sviluppati attraverso le metodologie attive sopradescritte. Esse, tuttavia, si intrecciano ed alternano a momenti di acquisizione di informazioni e a narrazioni didattiche, che il docente deve saper condurre con opportune modalità.
Riteniamo dunque ulteriori competenze didattiche essenziali:

  • Saper svolgere efficaci lezioni frontali
  • Saper utilizzare la narrazione a fini didattici

Per quanto riguarda la lezione frontale, molti sono gli studi che ne hanno evidenziato pregi e difetti (Castagna, 2007). Le tecnologie informatiche, poi, hanno permesso di rendere facilmente realizzabile il sogno di molti formatori antichi: illustrare con immagini, suoni, animazioni e interi filmati le informazioni che una volta potevano solo essere tracciate a parole, con un gesso su una lavagna. Questo richiede ovviamente un’accurata preparazione e l’abbandono di una certa quota di improvvisazione, tuttavia, i frutti ripagano la fatica, poiché non è difficile oggi, accumulare nel tempo i materiali necessari per svolgere molte lezioni. A tale ricchezza di strumenti, tuttavia, non sempre si accompagna uno stile di lavoro adeguato. Molti infatti, ignorano le basilari regole della percezione e dell’attenzione e tendono a proiettare e leggere slides senza curarsi della loro reale efficacia e delle note regole di corretta composizione (Carta, Ronsivalle, Orlando, 2013).
Anche dal punto di vista di chi si dispone ad apprendere, i pochi punti riassunti in una slides schematica vengono ritenuti, purtroppo, come adeguati surrogati di testi che si può evitare di leggere. Anche in questo caso, riteniamo che le potenzialità offerte dalla tecnologia potrebbero essere utilizzate dal docente didatta, in ambito sistemico, soprattutto per evidenziare links e connessioni tra le conoscenze, le teorie, le ipotesi cliniche. Lezioni rigidamente impostate e lineari contrastano fortemente con il contesto formativo di specializzazione adulta.
All’interno dei moduli di cui ci stiamo occupando, le risorse rappresentate dalle slides (o meglio dai momenti di lezione frontale) dovrebbero essere disponibili per approfondire argomenti, colmare lacune emerse nelle discussioni, introdurre esercizi operativi, riprendere, sistematizzare e connettere tra loro gli elementi emersi durante la giornata di formazione. Il tutto secondo le esigenze emergenti dalla dinamica di gruppo, all’interno degli argomenti proposti nel contratto formativo e nel sommario della giornata.
Similmente possono essere usate le narrazioni, sempre che il docente didatta disponga di un repertorio adeguatamente ampio e abbia sviluppato capacità affabulatorie in funzione didattica.
Anche in ambito sistemico, la dimensione narrativa è stata ampiamente sperimentata, sia per fini terapeutici che di apprendimento (Papadopoulos, Hall, 1999; Viaro, 2006). Rappresentando sequenze di eventi, perturbazioni che danno origine a processi e direzioni di senso, le narrazioni sono in grado di coinvolgere e ingaggiare la mente umana, soprattutto se riescono a muovere processi di identificazione.
Le narrazioni utilizzabili in questo contesto sono di molti tipi: miti classici e vicende storiche, storie tratte dalla letteratura e dal cinema, storie cliniche o di clinici, biografie ed episodi tratti dalla cronaca recente. Ciò che conta non è la citazione di una storia, a cui si rinvia, ma la condivisione orale di una narrazione, utilizzata in un preciso momento. Milton Erickson, uno dei maestri della psicoterapia, utilizzava questa strategia in modo elettivo (Erickson, 1983).

Al termine di questa carrellata di competenze didattiche desideriamo enunciare brevemente tre aspetti su cui torneremo in prossimi scritti:

  • saper fornire feedback e guidare le rielaborazioni scritte degli allievi;
  • saper documentare e rielaborazione l’esperienza didattica;
  • saper utilizzare diversi strumenti di valutazione (esiti e processi) degli apprendimenti e della didattica.

 

Concludendo

Siamo consapevoli del fatto che queste riflessioni costituiscono solo una prima proposta di schematizzazione delle competenze didattiche. Esse possono tuttavia essere utilizzate come criterio per valutare la qualità di un’offerta formativa, per caratterizzare una didattica di approccio sistemico da altri tipi di proposte in ambito psicoterapeutico e per orientare i giovani allievi didatti in formazione.
Diversi aspetti non sono stati trattati in queste pagine. Innanzitutto la descrizione della complessità del processo interattivo, che integra e compone in modo dinamico tutte le competenze elencate. L’esperienza formativa, infatti, è caratterizzata da interazioni contingenti, sequenze cioè in cui ciascuna delle parti (didatti e allievi) propone comportamenti in base alle proposte altrui. Sapere agire in modo contingente e creativo, potemmo dire, è dunque una meta-competenza, possibile solo a chi dispone di ampia esperienza e cultura, sa cogliere occasioni e sa utilizzarle nel processo. La dinamica d’aula, inoltre, per essere efficace in termini di apprendimenti, deve perseguire obiettivi di sintonia e sincronia. Deve cioè riuscire a cogliere, regolare e utilizzare il clima emotivo condiviso e deve porre molta attenzione al timing delle proposte. Per quanto riguarda il clima emotivo, si tratta di porre attenzione alle dimensioni emotive e alle dinamiche cognitive, nonché alla calibrazione relazionale e affettiva.
Senza aver guadagnato rispetto, fiducia e autorevolezza sarà difficile superare i dubbi e le resistenze che caratterizzano spesso gli adulti competenti in formazione. Per quanto riguarda il tempo, si tratta di regolare ogni volta tempo di attivazione e di ascolto, tempi di gruppo e spazi personalizzati, sapendo anche collocare le diverse proposte al momento giusto nella giornata, nell’anno e nel quadriennio di formazione.
Un secondo aspetto, che andrà approfondito, è il monitoraggio della congruenza e della funzionalità degli strumenti didattici agli obiettivi formativi dichiarati. Un percorso formativo abilitante alla professione di psicoterapeuta ha in realtà molti obietti, relativi al sapere (e sapere di sapere), saper fare (e a volte saper far fare ai pazienti) e saper essere (dovendo utilizzare la propria stessa mente come principale strumento terapeutico nella relazione clinica in diversi contesti e con diversi target o fasi di intervento)(Onnis, L., Mari, P., Menenti, 2016). Concretamente questo significa che, al termine di un percorso formativo quadriennale, i professionisti dovranno poter assumere su di sé il ruolo di terapeuta, ciascuno con il proprio stile, padroneggiando tecniche e strategie complessive ed essendosi abituato (in ambito sistemico) a pensare in modo consapevole, complesso e circolare. Ancora, questo richiede di affinare capacità osservative e di valutazione, di comunicazione sana e di gestione dei momenti critici, magari anche con positività, intelligenza emotiva, creatività, consapevolezza e sicurezza. Quali tra le strategie didattiche sopra evidenziate siano maggiormente correlate al raggiungimento di questi obiettivi specifici è ancora da comprendere in modo puntuale (Giannone, Verso, Sperandeo, 2009).
Infine, va ricordato, ancora una volta, che buona parte degli obiettivi dichiarati in una scuola di psicoterapia sono perseguiti con moduli formativi diversi dalle attività pratico-cliniche. Per questo motivo, una riflessione simile a questa andrebbe sviluppata relativamente alle metodologie didattiche utilizzate nei seminari e congressi, nei tirocini e nei percorsi di analisi personale, nelle iniziative residenziali e in quelle intensive.
Un percorso di riflessione e ricerca dunque ancora lungo, da percorrere con l’entusiasmo di chi sa che i processi di apprendimento sono dinamiche creative e non lineari, i cui esiti sono a volte indeterminati, nonostante siano prescritti da una normativa standardizzata.
Ciò che rappresenta una grande risorsa, in questo contesto, è la posizione etica che suggerisce di accrescere la consapevolezza su ciò che si offre come docenti-didatti, sprona a mantenere alto l’impegno ad offrire il meglio, consiglia umiltà e pazienza rispetto agli esiti, e ricorda che in definitiva ognuno è protagonista ultimo dei propri apprendimenti.

 

Bibliografia

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