di Chiara La Barbera, Psicoterapeuta sistemico-relazionale, didatta del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, sede di Palermo
Dopo la morte di Luigi Boscolo e di Gianfranco Cecchin ci siamo chiesti quale sarebbe stato il futuro del Milan Approach, come avremmo mantenuto la continuità degli insegnamenti dei nostri maestri nella discontinuità dell’evoluzione delle nostre idee, delle trasformazioni sociali e culturali, delle nostre migrazioni, degli inevitabili cambiamenti dei sistemi umani.
Dopo avere attraversato il tempo del lutto e dell’iniziale disorientamento, come formatori e clinici abbiamo pensato a una sorta di rituale che ci permettesse di costruire insieme una bussola per orientarci nel viaggio dell’incontro con l’altro, procedendo nella stessa imbarcazione, con gli stessi strumenti a bordo, non avendo una destinazione prestabilita. È stato appena pubblicato il libro “Complessità e psicoterapia. L’eredità di Boscolo e Cecchin” a cura di Pietro Barbetta e Umberta Telfener, nel quale, come clinici e didatti del CMTF, abbiamo provato a fare emergere come figura la coerenza con l’epistemologia fondativa del Milan Approach dallo sfondo della molteplicità delle trasformazioni dei setting, delle richieste da parte dei clienti, delle varie contaminazioni con altre tecniche e modelli clinici.
Per scrivere questo articolo ho pensato di partire dal libro “Clinica sistemica” che nel 1987, attraverso i dialoghi di Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin, Lynn Hoffman e Peggy Penn, racconta dell’evoluzione del modello di Milano, provando a definire una sintesi del pensiero e della prassi clinica del Milan Systemic Family Therapy. Nella postfazione a questo testo, emerge l’idea che l’effetto del libro sia stata la nascita dei terapeuti che poi si sono definiti post-Milano, come se il provare a definire il modello abbia potuto permettere l’evoluzione del modello stesso. “Avevamo scritto il libro per fissare il modello di Milano, come se fosse l’ultima spiaggia, perché dopo averlo scritto sarebbe morto. Così abbiamo permesso a tutti quanti di provare ad andare più in là. È stato utile fissare il modello di Milano, perché così la gente poteva diventare post-Milano” (Boscolo et al., 2004, 328).
Nel momento in cui una cosa viene definita non è più quella stessa cosa e può evolvere diventando altro. L’ipotesi sistemica, che è lo strumento principale del nostro modello, nel momento in cui viene esplicitata produce degli effetti trasformativi rispetto ai significati attribuiti e questi diversi significati, a loro volta, contribuiscono ricorsivamente a complessificare l’ipotesi stessa, che diventa altro.
Cosa direbbero oggi Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin rispetto a questa nuova pubblicazione? Direbbero che siamo stati riverenti o irriverenti? Che abbiamo mantenuto l’eredità del modello ma al tempo stesso lo abbiamo arricchito delle evoluzioni inevitabili dei decenni successivi? Che le loro idee sono state incarnate nelle generazioni successive? Che le idee scritte potrebbero essere state scritte da altri terapeuti di altri modelli?
Sarà interessante assistere agli effetti negli anni a venire di questa pubblicazione, che speriamo possa produrre riflessività simili alla pubblicazione precedente e, come tutti i rituali, mantenere una continuità con il passato per favorire una evoluzione verso il futuro delle prossime generazioni.
Nell’introduzione al libro, l’approccio di Milano viene definito a partire da quattro elementi: epistemologia, etica, estetica e curiosità, che sono le parole chiave che attraversano tutto il testo attraverso le molteplici voci di formatori e clinici che raccontano il processo di cura riflettendo sulle proprie modalità di partecipare al processo stesso (Bianciardi, Telfener, 2014). Attraverso punteggiature differenti e da vari contesti di intervento, i vari autori esplicitano il senso del loro lavoro, frutto di un processo riflessivo che è sia emotivo che cognitivo. In quasi tutti gli articoli del libro, la riflessività del terapeuta sulle proprie emozioni, permette di entrare nella storia emotiva del cliente che si sente rispecchiato e mentalizzato dal terapeuta e con maggiore facilità partecipa al processo di co-costruzione dell’ipotesi. Il terapeuta sistemico segue l’etica del rispetto dei clienti, della loro dignità e assunzione di responsabilità rispetto alle scelte di vita. “Il nostro modo di essere fedeli a questi principi etici consiste nel creare un contesto terapeutico in cui siano massimi l’ascolto e l’empatia e il rispetto del terapeuta per il cliente, in aggiunta a un dialogo centrato più sulle domande che sulle risposte, cui il cliente potrà dare i suoi significati” (Boscolo, Bertrando, 1996, p. 84).
L’emozione della tenerezza (Barbetta, 2014), intesa come tenerezza attiva, è una risposta del clinico scevra da qualsiasi elemento di seduzione e di passionalità orgasmica, è la lingua della madre, appartiene al registro delle sensazioni, è primaria rispetto alla lingua materna che appartiene al registro dei significati, è la lingua del bambino e non dell’adulto o del sociale. Questa tenerezza, esplicitata nel setting clinico allargato o in altri contesti, nei casi di violenza familiare agita dagli adolescenti, incontra la tenerezza degli altri sistemi che possono modificare, in parte, la propria epistemologia e ampliare le proprie mappe osservative rispetto al modello lineare causa-effetto a cui spesso si fa riferimento per comprendere, intervenire e bloccare il circuito della violenza (Barbetta, 2019; Sannasardo, La Barbera, 2019).
Una delle idee emergenti del libro è che oggi la terapia non è solamente quella con la famiglia, o quella chiusa nel setting privato, il setting è anche fuori, nell’incontro con gli altri sistemi che ruotano attorno al nostro cliente, nella “mente che cura” che è fuori dal setting. Non è un caso che molte riflessioni si concentrano sui tempi e gli spazi dell’intervento terapeutico: l’idea della “lente multicontestuale sistemica” (Sannasardo, Noto, 2007) comporta una complessificazione dell’idea di setting. Superare il perimetro della stanza di terapia comprende tutte le azioni che il clinico attiva negli altri contesti che contribuiscono al cambiamento della famiglia e delle teorie che ruotano attorno al comportamento problematico. La mente terapeutica, si genera in senso batesoniano ‘tra’ i diversi contesti di cura e di controllo che interagiscono con lo stesso sistema destinatario dell’intervento.
Il setting terapeutico come spazio eterotopico(Foucault, 2006), uno spazio altro che permette una breve sospensione spazio-temporale dove si possono generare cambiamenti. In questo senso la terapia diventa eterotopia di passaggio e interzona (Cazzaniga, 2019), più che stanza isolata che chiude fuori il mondo. È il luogo della costruzione di ponti e di canali verso gli altri luoghi in cui le persone vivono per la maggioranza del tempo. Diventa spazio di sospensione in cui, come in un sogno raccontato da un cliente “riposare su due poltrone, chiudere gli scuri e svegliarsi consapevoli di stare meglio”.
In tal senso la terapia online, diventa possibile e assume un senso di cura all’interno dello spazio virtuale, ma come viene sottolineato da Massimo Giuliani (2019), il clinico deve chiedersi “Quanto e come avvicinarsi, qui e ora, in questo contesto che ha il suo peculiare funzionamento?” La peculiarità del funzionamento onlineè il passaggio dalla fiducia virtuale alla fiducia reale che si co-costruisce quando l’interazione è ripetuta e il clinico riesce ad entrare in relazione con l’altro come persona. Nella terapia online la figura emergente dallo sfondo virtuale è la natura conversazionale che si attiva in un processo indipendente dalla prossimità fisica.
Cosa significa oggi mantenere una posizione irriverente nel contesto terapeutico?
Forse può significare superare una posizione di adesione rigida al modello milanese e, consapevoli della nostra epistemologia e coerenti con essa, utilizzare una teoria contaminata sia nel setting spazio-temporale, sia nelle tecniche. Il setting di una terapia può diventare una consulenza, un intervento in una scuola o in qualsiasi altro contesto non tradizionalmente terapeutico. Le tecniche possono essere corporee, d’impatto, grafiche, scultoree, ma il filo rosso, l’elemento di continuità rimane la posizione conversazionalista, l’utilizzo delle domande circolari per conoscere il complesso mondo dei nostri clienti con le nostre emozioni e le nostre narrazioni che si intrecciano con quelle dei clienti nell’attraversare percorsi impervi e a volte inaccessibili.
Piacerà al lettore il frequente confronto di vari autori con contesti multiproblematici che spesso ripropongono il quesito circa la possibilità di coniugare controllo e protezione. Marilena Tettamanzi e Fabio Sbattella nel loro articolo sulla cura dei legami nell’affido familiare, sottolineano l’utilità, nel tempo dell’affido eterofamiliare, di comprendere quanto il sistema multiproblematico sia in grado di evolvere, quanto, mentre si cura, sia capace di mantenere un contesto protettivo per i figli. Questo significa comprendere, attraverso una lettura complessa trigenerazionale, quali siano state le esperienze infantili degli adulti e come abbiano deutero-appreso a relazionarsi, promuovendo un anello temporale ricorsivo che permetta di mantenere la connotazione positiva anche nel tempo futuro. In tale ottica il tempo della valutazione delle competenze genitoriali, nella mente degli operatori e quindi anche della famiglia, diventa parte del processo di cura, in cui protezione e cura sono ricorsivamente connesse e favoriscono la definizione del progetto da attivare nel rispetto del principio del benessere dei piccoli.
Lia Mastroapolo (2019), nel suo articolo sull’intervento per il cambiamento dentro le CTU, a partire dalla richiesta di una diagnosi da parte dell’istituzione Tribunale, propone la trasformazione dell’incarico di diagnosi in un percorso di cambiamento delle relazioni familiari e di superamento dei conflitti. Anche in questo caso valutazione e cura sono connesse a partire da un invio coatto che, per definizione, non implicherebbe l’alleanza o la motivazione al cambiamento.
Emerge una figura di terapeuta che sviluppa appartenenze ai diversi contesti, tempi e spazi, alle diverse tecniche con cui si contamina, mantenendo la coerenza al principio epistemologico che implica il passaggio dal potere del terapeuta, al rispetto del sistema che si incontra e che attiva la curiosità nel tentativo di co-sviluppare una coerenza narrativa. “Dottoressa, come mai in questo percorso che sto affrontando insieme a lei, non avverto la dipendenza dalla terapia? Nel senso che le altre volte (ha fatto tre terapie precedenti)avevo un rapporto di dipendenza dalla psicologa, come fosse la mia ancora di salvezza nei momenti di difficoltà […] con lei credo che il transfert sia scattato da subito ma in modo diverso […] come se non mi sentissi mai legata eccessivamente alla sua figura […] è qualcosa di controproducente il fatto che sia più libera e indipendente a livello emotivo?”
Il terapeuta come cantastorie volante (Telfener, 2019) che crea un sistema osservante fatto dall’unione delle menti di tutti coloro che sono coinvolti nella situazione clinica e che rispetta tutti i contesti, organizzando una connessione tra i partecipanti al problema, uniti dall’intento di comprendere la sofferenza dell’altro. Il sistema determinato dal problema risponde al bisogno del controllo sociale, di curiosità e di attenzione al processo. In tal modo il progetto evolutivo è dato dal coordinamento dei significati dei vari professionisti e dei clienti, piuttosto che dalla sommatoria delle punteggiature degli interventi dei singoli sistemi.
Il terapeuta sistemico è un terapeuta attivo che, come un rabdomante, va alla ricerca dell’acqua per fertilizzare il campo in cui si coltiva la relazione, per fare fiorire le risorse del cliente (Ganda, 2019). Per raggiungere questa finalità, come clinici utilizziamo una lente che oltre ad essere multicontestuale è anche contaminata da altre tecniche, prese a prestito da altri modelli, che vengono utilizzate all’interno della cornice sistemica. L’utilizzo delle tecniche di impatto, per esempio, permette di fertilizzare il terreno relazionale con clienti adolescenti, bambini, soggetti con disturbi psichiatrici, o con difficoltà espressive che possono diventare più attivi in terapia, più capaci di esprimere e mentalizzare riuscendo, così, a contribuire al processo di co-costruzione dell’ipotesi sistemica (Mosconi, Bozzetto, Carmignani, Ferluga, 2019).
Oggi siamo in un periodo storico in cui assistiamo a un proliferare di tecniche e tecnicismi, di teorie che sono espressioni di un riduzionismo sempre più evidente, in cui a una specifica diagnosi, corrisponde uno specifico trattamento, all’interno spesso di una visione medicalizzante con interventi chirurgici e individuali. I giovani psicologi sono sempre più attratti dalle teorie psicologiche che fanno riferimento alle teorie organiche che connettono il comportamento ad aspetti del funzionamento del cervello (EMDR, neurofisiologia, mindfulness). Tale riduzionismo è molto distante dalla complessità dell’intervento clinico proposto nel libro: le altre tecniche o teorie vengono utilizzate con la finalità di complessificare le punteggiature che sono tutte relative e non assolute, per ampliare il campo di possibilità del terapeuta nella conoscenza dell’altro e di se stesso in relazione con l’altro e rendere il cliente sempre più attivo e consapevole della propria storia, a partire dal livello trigenerazionale.
L’eredità di Gianfranco Cecchin e Luigi Boscolo si concretizza nell’avere mantenuto la continuità del modello sistemico della Scuola di Milano, tra la sperimentazione e il rinnovamento, tra l’apertura al nuovo e il rispetto delle origini, ampliando la complessità dell’intervento a nuovi tempi e spazi, sempre curiosi di comprendere la mente ecologica che ci connette agli altri esseri umani e al mondo esterno.
“Desidero esprimere fin d’ora la mia convinzione che certi fatti come la simmetria bilaterale di un animale, la disposizione strutturata delle foglie in una pianta, l’amplificazione progressiva della corsa agli armamenti, le pratiche del corteggiamento, la natura del gioco, la grammatica di una frase, il mistero dell’evoluzione biologica, e la crisi in cui oggi si trovano i rapporti tra l’uomo e l’ambiente, possano essere compresi solo in termini di un’ecologia delle idee…” (Bateson, 1972).
Bibliografia
Barbetta, P. (2014), “La compassione tra tenerezza e crudeltà”. www.doppiozero.com/materiali/compassione/la-compassione-tra-tenerezza-e-crudeltà
Barbetta P., Telfener U., (2019), (a cura di), Complessità e psicoterapia. L’eredità di Boscolo e Cecchin, Raffaello, Cortina, Milano.
Bateson, G. (1972), Verso un’ecologia della mente.Tr. it. Adelphi, Milano 1988.
Bianciardi, M., Telfener, U. (2014), Ricorsività in psicoterapia. Riflessioni sulla pratica clinica. Bollati Boringhieri, Torino.
Boscolo L., Bertrando P., (1996), Terapia sistemica individuale.Raffaello Cortina, Milano.
Boscolo, L., Cecchin, G., Hoffman, L., Penn, P., (2004), Clinica sistemica. Tr. it., (P. Bertrdando, a cura di), Boringhieri, Torino 2004.
Foucault, M. (2006), Utopie, Eterotopie. Tr. it. Cronopio, Napoli 2006.
Sannasardo, P.F., Noto, C. (2007), “Il trattamento multicontestuale applicato ai contesti di prevenzione e cura delle dipendenze patologiche”. In Connessioni, 19, pp.143-164.
Sannasardo, P.F., La Barbera C., “L’ordito della lente sistemico relazionale, della mentalizzazione e dell’attaccamento per una lettura della nuova violenza filio-parentale”, in Connessioni, 37, pp.39-61.