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Recensione di “Psicoterapia come esperienza umana: antimanuale per giovani terapeuti” di Marco Nicastro

Letto da Valentina Spinelli
Rivista Connessioni 26 Giugno 2022 4 min read

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Edizioni Psiconline, 2022

Letto da Valentina Spinelli

MI chiedono di recensire questo libro per Connessioni e mi appresto al compito di scrivere qualcosa su un testo che avrei voluto avere all’inizio della mia esperienza come terapeuta. 

Mi sono dedicata alla sua lettura con in mente un pensiero curioso: in che modo le mie premesse sistemiche avrebbero dialogato con le parole dell’autore? Cosa avrei trovato di familiare e di dissonante nel suo modo di vedere la terapia?

Questo agile libro (un’ottantina di pagine) è scritto da Marco Nicastro, psicoterapeuta di formazione psicoanalitica che vive e lavora a Padova occupandosi di terapia dell’adolescente e dell’adulto, di tutela minorile e sostegno alla genitorialità, oltre che di contrasto alla violenza di genere nel contesto pubblico e privato.

La premessa dell’autore di non voler scrivere il classico manuale teorico è quella di prendere le distanze dai rischi di semplificazione e generalizzazione propri di un sistema classificatorio o nozionistico e di proporre indicatori operativi e concreti che possano essere utili nel singolo caso.

È alla persona del terapeuta che Nicastro guarda, più che al modello teorico specifico, e suggerisce la possibilità per lo psicologo di un arricchimento dai vari orientamenti teorici, arricchimento utile per approcciare la complessità e l’unicità di ogni singolo caso. In questo senso definisce la psicoterapia una “arte flessibile”, seppure con criteri di efficacia e rigore etico.

La struttura del libro è semplice e per questo utile e efficace. Anzi, sia le dimensioni che la “non sistematicità” dichiarano esplicitamente la volontà di non fare un manuale.
Anche nel rifiuto di una forma sistematica, l
’autore si sofferma sulle diverse fasi di un percorso terapeutico, avendo in mente le possibili perplessità o ansie del giovane terapeuta. Così analizza i colloqui iniziali, riflettendo, per esempio, sull’uso e significato della diagnosi sia per il terapeuta che per il paziente; ne ipotizza la funzione (creazione dell’alleanza terapeutica, comprensione delle risorse e criticità del paziente, etc.). Fornisce anche suggerimenti e indicatori utili per la possibilità di un trattamento.

Quando poi passa al “cuore del percorso” utilizza metafore e confronti assai pertinenti. C’è un bel passaggio in cui accosta psicoterapia e metodo socratico: un dialogo quindi tra il terapeuta e il paziente che sanno di non sapere e che nel continuo confronto mettono in discussione le narrazioni e i pregiudizi preesistenti per arrivare a una nuova narrativa il più possibile “vicina alla realtà soggettiva” del paziente.

Tocca temi importanti: la durata del trattamento, tenuto conto anche dell’età o caratteristiche del paziente; gli interventi tecnici; il transfert; e, su tutto, la persona del terapeuta e la relazione tra terapeuta e paziente. Uno spazio cospicuo è opportunamente dedicato alla questione che tutti i giovani terapeuti (e non solo giovani?) si pongono: come valutare il cambiamento, e cioè quando e come pensare alla chiusura di una terapia: questione che, mostra l’autore, ha a che fare con le scelte del clinico almeno quanto c’entra con l’autodeterminazione del paziente in tale processo. 

Quello che ho pensato alla fine della lettura di questo antimanuale è che l’autore mantiene le promesse e l’adesione alle premesse: il libro è scorrevole, breve, chiaro. E l’ipotesi della psicoterapia come esperienza umana ne viene confermata ed esaltata.

Per quanto riguarda il confronto con le mie premesse: un libro sulla psicoterapia che propone indicazioni e riflessioni con ricadute molto concrete, indipendentemente dall’approccio teorico e dalla formazione specifica, è un contributo alla visione dell’uomo come soggetto unico e alla visione della psicoterapia come esperienza di complessità. Certo, il manuale di teoria e i vari questionari o test possono apparentemente far emergere il “problema” e inquadrare i sintomi in una categoria diagnostica: così però è il terapeuta che ne viene rassicurato, convinto di avere un quadro chiaro della situazione e di poter tracciare il percorso terapeutico.

Il rischio è di non incuriosirsi della persona (dal latino, persona: maschera) in quanto essere che interpreta più ruoli e copioni diversi, a seconda del contesto e dell’esperienza- e quindi in relazione- e dell’individuo (dal latino, individuus: indivisibile) in quanto esperienza di unicità e soggettività. Ancora il rischio è quello di non aprirsi alla conversazione secondo, come dice Nicastro, il dialogo socratico, dove entrambe le parti “si incontrano e dialogano per conoscere meglio qualcosa in un processo […] nel quale mettono in discussione i propri presupposti conoscitivi”.

Un’ultima mia considerazione condivisa con l’autore: così come il paziente, anche il terapeuta è una persona; ed è la persona stessa lo strumento di lavoro della psicoterapia. Non per niente il libro si apre con citazioni di Jaspers e Bion che mettono l’accento su quello che noi chiameremmo il “non detto” della terapia, esperienze ed emozioni che non sono nei manuali e non si insegnano, e nondimeno sono parte integrante del processo terapeutico: “la parte esclusa”, dice Bion.

Ritengo fondamentale l’idea del collega di arricchire questo nostro strumento (o il bagaglio di conoscenze) con le esperienze più varie – dalla lettura dei classici ai libri gialli, dalla formazione continua al divertimento, dal viaggio Coast to Coast alla degustazione di cibo o vino, dalle esperienze spirituali alla coltivazione di un piccolo orto… Tale arricchimento personale potrebbe permettere al terapeuta sia di riflettere profondamente sull’interiorità dell’altro nell’ambito lavorativo sia di ristorarsi psichicamente nella dimensione privata.

L’antimanuale pertanto appare un libro utile non solo per le questioni concrete che approfondisce ma anche per gli spunti di riflessione sulla professione e sulla professionalità. Mi sembra consigliabile, così come nel titolo, ai giovani terapeuti ma anche a chi desidera fermarsi a pensare sulla propria esperienza clinica.

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