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Recensione di “In-quadro le parole. Storia di una resilienza dislessica”, di Ivano Domenico Felaco

Letto da Alberto Vito
Rivista Connessioni 1 Luglio 2021 4 min read

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Luigi Guerriero Editore, 2020
Letto da Alberto Vito

Ivano Domenico Felaco ha scritto un racconto con lo scopo di descrivere la sua esperienza di paziente. Non si tratta di un testo scritto da un addetto ai lavori del mondo psy. Egli, infatti, nella vita fa tutt’altro di mestiere: è un’artista, dipinge e tatua. Tuttavia, il testo, arricchito dalle foto di alcune opere dell’autore, costituisce una lettura piacevole e assai consigliata. Circa 60 pagine sincere e scritte con il cuore per quello che in definitiva è un omaggio al proprio terapeuta.

Il libro è scritto con stile fluido, piacevole. Nella prima parte è perfino divertente, soprattutto quando descrive il contesto e narra ciò che avviene fuori dalla stanza del terapeuta, nelle conversazioni con le infermiere e gli altri pazienti in attesa. Si parla, infatti, di un percorso clinico avvenuto in un contesto pubblico, l’Ospedale Cotugno di Napoli, presso cui è attivo un servizio ambulatoriale di psicoterapia. Poi, pur se il registro rimane quello dell’ironia, si entra nel vivo della terapia, i temi diventano più significativi, con un toccante epilogo.

Il percorso clinico narrato è breve, meno di dieci sedute, ma ha costituito un importante punto di svolta nella vita del paziente. Infatti, è proprio il terapeuta a porre per la prima volta la diagnosi di dislessia. Per Felaco si tratta di un’illuminazione, una rivelazione liberatoria che gli consente di dare un significato diverso ad episodi avvenuti nel passato, a partire dagli insuccessi scolastici nell’adolescenza. Può rivedere la sua vita e spiegarsi in altro modo il motivo di certi esiti. Gli viene suggerito anche di leggere con nuovi occhi il suo talento creativo e la sua predisposizione artistica.

Ma c’è anche altro, il testo è la narrazione di un incontro fortunato. È chiaro che i due interlocutori si piacciono subito, si sono simpatici, sebbene apparentemente molto diversi. Il paziente ha poco meno di 40 anni, il corpo pieno di tatuaggi, lunga barba: molto, molto alternativo. Il medico invece è sulla sessantina, ha modi aristocratici, parla a bassa voce, discreto, quasi sussiegoso, vestito con sobria eleganza, qualcuno ne prova soggezione, tutti rispetto. Eppure, per quella strana e potente alchimia che avviene quando gli esseri umani si incontrano, scatta qualcosa. Queste due persone, sino ad allora sconosciute, messe insieme un po’ dal caso, guidato dalla moglie psicologa dell’artista, danno vita a un rapporto terapeutico breve ma intenso. (Questa è una bella lezione per i terapeuti più giovani: come saper realizzare tanta qualità pur con poca quantità). L’esemplare disponibilità del terapeuta è narrata, per esempio, quando è descritta la meticolosità con cui sceglie dei video proposti in seduta, per chiarire meglio al paziente cosa comporti la dislessia. La terapia affronta nodi cruciali della vita del paziente, a partire, non a caso, dal complesso rapporto con la figura paterna.

Ma chi è il terapeuta a cui è dedicato il libro? Il suo nome è Nello Viparelli, psichiatra, psicoterapeuta familiare (tra l’altro curatore del volume: “Tra vita e girovita”, recensito in Connessioni da Massimo Giuliani).

Il debito di gratitudine e la riconoscenza del paziente aumentano ancora quando con stupore scopre che il terapeuta è seriamente ammalato. Questa è senz’altro la parte centrale del racconto. Il dottore  dimagrisce, ma il suo impegno e la sua attenzione non si riducono. Felaco è sinceramente stupito di quanto Viparelli continui ad occuparsi di lui, senza concedersi distrazioni. E’ commosso  per le attenzioni che una persona, sconosciuta sino a pochi mesi prima, gli dedica. E’ un’esperienza rara. Gli viene quasi voglia di dire al terapeuta di fermarsi, di pensare a se stesso, a cose più importanti dei suoi problemi, che avverte ora meno essenziali.

Non sarei sincero se non confessassi che il piacere della lettura e la forte emozione provata dipendano sicuramente anche dalla conoscenza diretta di questa storia.

Anche se non compaio mai nel racconto, io sono il terapeuta della porta accanto. Ho infatti lavorato tanti anni al Cotugno, proprio nella stanza attigua a quella di Nello Viparelli. Ho attinto alla sua saggezza e alla sua bravura. Ero al corrente della sua scelta di affrontare la malattia guardando avanti, di lavorare fino in fondo: era una scelta meditata, fatta tenendo conto del rispetto per la propria famiglia.

Il paziente racconta la sua riconoscenza verso il proprio terapeuta. Forse ignora quanto anche noi siamo debitori verso i nostri pazienti. Sono assolutamente certo che l’impegno professionale generoso non abbia distratto Nello. Al contrario, lo ha aiutato a vivere meglio, ad essere intenso fino in fondo, a ricercare profondità e senso esistenziale per lui e per gli altri.

Sono molto grato a Ivano Felaco per aver scritto con il cuore questo racconto. Per tutti i terapeuti, è una storia che ci ricompensa dai tanti incerti e dalle difficoltà della nostra professione. E poi, per chi lo ha conosciuto, aiuta a far rivivere la lezione di Nello Viparelli. Che manca, manca molto, alla famiglia, agli amici,  ai pazienti, ai colleghi.

Leggi anche:

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