Alpes, 2022
Letto da Matteo Lima
Già dalla scelta del titolo l’autore lascia intendere che in questo libro egli non voglia “soltanto” raccontare la propria esperienza da terapeuta, ma bensì perturbare i colleghi che lo leggeranno ad interrogarsi sul proprio operato. L’utilizzo del verbo essere nel titolo già di per sé prelude una sfida a una storica “pietra angolare” delle teorie sistemico-relazionali: scelta audace che l’autore, terapeuta esperto e con alle spalle esperienza sia come clinico che come formatore di clinici, affronta senza cadere nel rischio di cristallizzare il mestiere o moralizzare rigidamente sul cosa “è, o non è” la figura del terapeuta.
In questa opera Giuseppe Vinci cerca di rispondere a diverse domande epistemologiche fondanti del mestiere di terapeuta, parola che già in sé contiene sia un significato di cura e guarigione, “terapeia”, sia una posizione di servitore, ovvero colui che svolge un servizio per l’altro, “terapon”.
Tra i nodi affrontati dall’autore troviamo la responsabilità dello psicoterapeuta nel ricoprire un ruolo di aiuto così delicato e importante, in cui altri esseri umani ci chiedono aiuto in un momento della loro vita connotato da fragilità e confusione. Per questo Vinci sottolinea l’importanza in primis di imparare ad auto-osservare il proprio funzionamento, per essere massimamente attenti all’altro e al suo funzionamento. Questo, secondo l’autore, deve avvenire durante il training in psicoterapia, in cui i professionisti hanno la possibilità sia di sperimentarsi nella clinica, e sia di poter avere dei feedback sul proprio funzionamento.
Il secondo nucleo che affronta Giuseppe Vinci suona più come un “invito”: ovvero quello di non fermarsi ai giudizi rapidi e lineari, come possono essere anche le diagnosi, poiché si rischia così facendo di condannare sia il paziente che il terapeuta ad un destino ineluttabile: il primo nel ricevere una definizione di sé incompleta, sbagliata e cristallizzata, il secondo invece condannato a non comprendere l’altro, non riuscendo così a svolgere quel “servizio di cura” a cui si è chiamati da impegnarsi.
Terzo nucleo essenziale del libro asserisce a una premessa epistemologica fondante del pensiero sistemico, ovvero che noi esseri viventi siamo fatti di relazioni: sia con altri esseri umani, che con l’ambiente e i contesti in cui siamo costantemente immersi. Da qui Vinci esplicita una posizione politica del mestiere di psicoterapeuta che fortemente condivido: ovvero che essendo noi nodi di una stessa infinita rete, non basta prenderci cura di chi abbiamo davanti e ci chiede aiuto, ma dobbiamo prenderci cura di tutto ciò che ci sta intorno, ambiente, polis e soggetti che lo abitano. L’autore esplicita anche il ruolo politico e sociale del terapeuta nel dare voce a chi ha meno potere, a causa delle sue condizioni sociali o di salute, genere, età, orientamento sessuale o religioso, del suo essere in un dato momento privato della libertà. Giuseppe Vinci con questa opera ci invita a svolgere il nostro ruolo e professione con competenza e umiltà, consapevoli dei nostri limiti personali e dell’ignoranza con cui ci affacciamo alla relazione con l’altro.
In conclusione consiglio la lettura di “Essere terapeuti” alle colleghe e ai colleghi, perché può essere uno stimolo e occasione per riflettere sulla nostra professionalità attraverso una chiave di lettura complessa e relazionale, che osserva a 360° differenti questioni pregnanti del mondo della psicoterapia.