di Susanna Roici (*) e Roberta Marchiori (**)
(*) Psicologa, Psicoterapeuta, susanna.roici@virgilio.it
(**) Psicologa, Psicoterapeuta, Didatta Centro Milanese di Terapia della Famiglia, vice Direttore e Docente della Sede di Padova del Centro Padovano di Terapia della Famiglia, Presidente della Macroregione Nord-Est AIMS.
Il presente lavoro fa parte delle attività di ricerca del Centro Padovano di Terapia della Famiglia diretto dal dott. Andrea Mosconi.
La pandemia da SARS-CoV-2 ci ha colti di sorpresa e ha mandato in cortocircuito il Sistema a diversi livelli, individuale, famigliare, sociale, mettendone in luce le criticità. Ha colto di sorpresa il nostro sistema immunitario, che non ha gli strumenti per difendersi da questo patogeno. Ha colto di sorpresa il nostro sistema sociale, che si è rivelato il “cavallo di Troia” attraverso il quale il virus si diffonde. Come in un grande gioco del contrappasso, ci costringe a vedere l’altra faccia della medaglia, le incongruenze e i doppi legami dei micro e macro sistemi nei quali siamo inseriti.
Il virus ci ha tolto la socialità, costringendoci all’isolamento ci ha messi in doppio legame. Come la Farfalla-pane-burro [1] ci troviamo dentro un paradosso: l’isolamento ci preserva dal contagio, ma per quanto potremo stare isolati? La storia evolutiva dell’Homo Sapiens è passata attraverso l’evoluzione delle diverse forme di relazione (Liotti et al, 1993; Liotti, 2005) e Cecchin ci ricorda che l’essere umano esiste solo in relazione a qualcuno.
La metafora della guerra è la più utilizzata per parlare della pandemia: Homo Sapiens sta combattendo contro SARS-Cov-2. La Corsa della Regina Rossa [2], è stata utilizzata come metafora della corsa evoluzionistica e ben rappresenta l’epistemologia che guida lo stare al mondo della specie umana. Si tratta di una metafora che spiega l’evoluzione in termini di gara e di lotta: Homo Sapiens deve incessantemente correre per evolversi e poter sopravvivere.
In questo momento, mentre stiamo ancora attraversando l’emergenza e il futuro ci appare incerto e rischioso, siamo costretti a ricercare soluzioni di breve periodo. Usiamo le mascherine, curiamo l’igiene, manteniamo (o ci proviamo almeno) le distanze, potenziamo il sistema sanitario per individuare ed isolare le persone positive al virus e curare chi ha sviluppato la malattia, aneliamo al vaccino. Ma tutto questo afferisce al qui ed ora, con il rischio che l’urgenza di risolvere il problema pandemia ci faccia imboccare scorciatoie che ci permettono sì di giungere velocemente a ciò che vogliamo, ma senza imparare nulla da questa esperienza. Esiste il pericolo che, passata la fase acuta della pandemia, noi ce ne dimentichiamo, fino allo spillover del prossimo patogeno. In terapia si direbbe che concentrarsi solo sul sintomo non favorisce un reale cambiamento. Durante il lockdown degli esseri umani nella primavera 2020, la Natura ha avuto la possibilità di riprendersi degli spazi: una sorta di “effetto pragmatico del sintomo” sul sistema terrestre. Se questa dovesse essere la prova generale alla soluzione del problema ecologico, allora la pandemia potrebbe essere l’inizio di un processo più lungo, che potrebbe esitare nella nostra estinzione. È possibile prendere in considerazione altri “tentativi di soluzione”? Ci possono venire in aiuto i nostri “occhiali sistemici”, per provare a guardare il problema da una prospettiva più ampia dell’hic et nunc, per provare a chiederci “che storia ha questa pandemia”?
Durante il lockdown della Primavera 2020 ho sentito prepotente la necessità di dare un senso a quanto stava accadendo, questo ha fatto sì che andassi a ricercare risposte alle mie domande negli scritti di Gregory Bateson. Dalle riflessioni maturate è nato un metalogo, nel quale ho immaginato di ragionare con Gregory Bateson sulla pandemia.
Il pensiero sistemico di Bateson ci aiuta ad allargare lo sguardo per ricercare le cause profonde della pandemia: l’Homo Sapiens con il suo progresso tecnologico, unito ad una epistemologia distorta, è divenuto capace di modificare gli equilibri dell’ambiente in cui vive. Bateson attribuisce a Darwin l’errore epistemologico relativo all’identificazione dell’Unità di Sopravvivenza nella formulazione della teoria evoluzionistica.
Anche Telmo Pievani (Pievani 2020), propone di guardare questo virus con le lenti dell’evoluzione e prende in esame le “cause remote”, in una sorta di “storia trigenerazionale” di quanto sta avvenendo.
Sappiamo che il SARS-CoV-2 è una zoonosi, un’infezione animale trasmissibile agli esseri umani. Anche l’epidemia “spagnola” di un secolo fa era una zoonosi, ed altre ce ne sono state da allora (Hendra, Ebola, Sars), in tutti i casi un patogeno ha fatto lo spillover, il salto di specie, passando da un organismo ad un altro. “Ogni spillover è come una lotteria, dove il patogeno compra un biglietto nella speranza di avere in premio una vita in spazi più larghi. Ha una minima probabilità di non finire in un vicolo cieco, di andare là dove non è mai andato e di essere ciò che non è mai stato. Talvolta ha un colpo di fortuna.” (Quammen, 2012; pag.87).
Cos’è che ha fatto sì che il SARS-CoV-2 abbia avuto così tanta fortuna? Pievani propone di assumere il punto di vista del virus, comprenderne la logica evolutiva. Egli fa parte di una famiglia di organismi antichi (3 miliardi di anni), semplici ed evolutivamente veloci. Il suo scopo è di replicare sé stesso e per fare questo ha bisogno di organismi con due caratteristiche essenziali: la socialità e la mobilità. Homo Sapiens possiede queste caratteristiche in misura molto maggiore rispetto ad ogni altro organismo nell’ecosistema terrestre. Nonostante Homo Sapiens si collochi all’apice della scala evolutiva, presenta degli svantaggi che lo rendono vulnerabile: siamo organismi con una storia molto recente (200.000 anni), siamo molto complessi e con molte funzioni evolutive da assolvere, questo ci espone ad un rischio di ritardo evolutivo. Nella corsa della Regina Rossa rischiamo di rimanere indietro. Homo Sapiens ha anche altre caratteristiche importanti che entrano nel gioco evolutivo. È un formidabile “costruttore di nicchie”: come il castoro, modifica l’ambiente per renderlo più adatto alle proprie esigenze. Questa capacità è vantaggiosa nel breve periodo, ma può rivelarsi una “trappola evolutiva” per le generazioni future. Homo Sapiens costruisce nicchie da 90.000 anni e ogni generazione trasmette alle generazioni future tre linee di discendenza: genetica, culturale ed ecologica. Homo Sapiens, con la sua tecnologia è divenuto capace di trasformare l’ambiente in cui vive. Nell’Antropocene (Barbetta, 2020) le epidemie divengono dunque più probabili e più cattive e Homo Sapiens, che nella sua storia evolutiva ha superato molte epidemie (il 20% del nostro DNA contiene sequenze virali) si scopre ora più vulnerabile rispetto al passato. I cambiamenti climatici, il consumo di territorio, l’invasione di spazi naturali, l’urbanizzazione, le abitudini di vita fanno sì che Homo Sapiens venga in contatto con organismi-serbatoio di agenti patogeni che fanno quanto per loro natura sono tenuti a fare, facilitati nel loro lavoro evolutivo dai comportamenti illogici di Homo Sapiens. “I sistemi puniscono ogni specie che sia tanto stolta da non andare d’accordo con la propria ecologia” (Bateson, 1976).
Mosconi (2020) pone la domanda sistemica fondamentale: cosa ci permette di imparare la storia di SARS-CoV-2 e Homo Sapiens? Dall’analisi di Pievani la lezione sistemica appare chiara: siamo vulnerabili, siamo connessi al resto della natura, la distruzione dell’ambiente si rivolge contro la nostra salute. Le epidemie che si trasmettono con il salto di specie non spuntano dal nulla. Hanno cause ecologiche e ci sono attività umane specifiche che ne aumentano la probabilità.
Pievani indica alcune strade per evitare di perturbare gli equilibri ecologici:
- coltivare la ricerca scientifica e tecnologica, non solo applicata, ma soprattutto “pura”, quel genere di ricerca che trova il suo motore nella curiosità di Cecchin e nell’ignoranza buona di Popper;
- perseguire l’uguaglianza e la giustizia sociale, nel garantire a tutti e ad ognuno uguali diritti ed opportunità, ad esempio nell’accesso alle cure e all’istruzione (entrambi attuali contesti di crisi e fautori di diseguaglianza in tempo di pandemia);
- salvaguardare l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi;
- implementare una buona comunicazione della scienza, utilizzando in modo positivo le tecnologie.
Le proposte di Pievani richiamano la civiltà umana elevata di Bateson, la quale in armonia con l’ambiente, dà luogo ad un sistema dinamico armonico, in un gioco ricorsivo tra Homo Sapiens e Natura.
METALOGO: Pandemia da SARS-Cov-2: Cosa avrebbe detto Gregory Bateson?
(In carattere corsivo, sono riportati i passi degli scritti di Bateson usati per scrivere questo metalogo.)
SUSANNA: Mi sento come una Farfalla-pane-burro… il virus ha messo l’umanità in doppio vincolo, ci toglie la socialità, per difenderci dal contagio dobbiamo stare lontani, ma senza relazioni non saremmo ciò che siamo, senza relazioni cosa diventeremmo? Le relazioni in questa pandemia sembrano essere per noi il thè-leggero-poco-zuccherato: con e senza si muore in entrambi i casi. Cosa ci sta succedendo?
GREGORY: Nel modo in cui poni la domanda, c’è già la risposta!
S: Non capisco…
G: Quando usi la particella pronominale ci a chi ti riferisci? Il linguaggio con il quale ci esprimiamo, fa affiorare la nostra epistemologia.
S: Caspita…due battute e già stiamo parlando di epistemologia.
G: Ti sorprende?
S: In verità non vedevo l’ora di poter parlare con te di epistemologia, ma non capisco bene cosa tu intenda.
G: A chi ti riferisci quando chiedi “Cosa ci sta succedendo?” Come possiamo sostituire ci? Prova a riformulare la tua domanda?
S: Cosa sta succedendo a noi?
G: Noi? Immagino che intendi noi umani?
S: Beh sì… è la domanda che ho nella testa da quando è iniziato il lockdown.
G: Capisco, ma dal modo in cui poni la domanda, io capisco che osservi ciò che succede da un punto di vista esterno al Sistema… qualsiasi cosa vogliano dire le parole esterno e sistema…
S: Spiegami meglio!
G: Il modo in cui tu formuli la domanda, mi fa pensare che tu veda la faccenda in questi termini: gli esseri umani in questo momento sono le vittime di un virus sconosciuto, che ha sconvolto l’andamento delle vostre vite. Vi sentite sotto attacco.
S: Credo sia così. Una delle metafore più usate in questi mesi per raccontare la pandemia è quella della guerra: il virus è il nemico da sconfiggere.
G: Ecco a questo mi riferivo dicendo che il linguaggio che usiamo fa affiorare la nostra epistemologia. Se usiamo la metafora di una guerra e identifichiamo nel virus il nemico, implicitamente stiamo dicendo che il virus è cattivo, gli esseri umani sono buoni, stanno subendo un danno e si devono difendere.
S: Si, direi che più o meno è quanto pensa la maggioranza delle persone su questa faccenda. La cosa diversa, rispetto ad una guerra “normale”, è che in questo caso tutta l’Umanità sta dalla stessa parte. Le guerre nel passato vedevano schierati opposti eserciti di uomini. Ora siamo tutti uniti contro il virus. Si stanno cercando cure efficaci e molti gruppi di ricerca in tutto il mondo stanno collaborando per trovare un vaccino.
G: Sembra che il virus abbia portato anche qualcosa di buono… Sembra che il virus sia servito a far riscoprire l’unità e la solidarietà tra le persone e tra i popoli. Tutti uguali di fronte alla paura e alla morte.
S: Mah… ora che mi ci fai pensare, forse è stato così all’inizio, quando eravamo tutti sotto shock, all’inizio del lockdown, a marzo 2020. Finché il virus, tra dicembre e febbraio era rimasto confinato in Cina, guardavamo con distacco quanto succedeva lontano da noi. Nessuno immaginava cosa sarebbe successo, la vedevamo una cosa lontana, che non ci riguardava. Ci sentivamo al sicuro. Poi da fine febbraio, in poche settimane siamo piombati in un incubo da film e la reazione ci ha fatto riscoprire l’unità, il conforto reciproco, la condivisione, perfino l’orgoglio nazionale, per esorcizzare la paura e la morte. Si cantava dai balconi, ovunque comparivano scritte “andrà tutto bene”, molti monumenti sono stati illuminati con i colori della bandiera “bianco-rosso-verde”, pensa… anche in altri Paesi lo hanno fatto, per solidarietà verso l’Italia dove la situazione, a marzo, era gravissima. L’immagine simbolo della tragedia, che ha fatto il giro del mondo, è quella della colonna di mezzi dell’esercito che portano via da Bergamo le bare. In quei giorni ci sentivamo uniti nella paura, nessuno capiva bene cosa stava succedendo e cosa sarebbe successo. Il Governo andava avanti a colpi di DPCM, varando regole sempre più restrittive e le giornate erano scandite dai bollettini della Protezione Civile. Contavamo i morti e i letti occupati in terapia intensiva e uscivamo da casa con l’autocertificazione per giustificare i nostri spostamenti, anche per andare a far la spesa.
Questo clima di solidarietà e vicinanza c’è stato all’inizio, poi le cose sono cambiate. All’inizio ci dicevamo che “niente sarebbe stato come prima”, che ne saremmo usciti cambiati e migliori… poi invece sembra che siamo tornati quelli di prima, forse anche peggiori. Penso a quello che è successo anche nella trattativa europea per gli aiuti economici… non c’è stata solidarietà da parte di tutti i Paesi verso le nazioni più colpite. Anche in Italia ci sono scontri politici, anche tra i partiti che stanno al governo. E poi tante polemiche, tra i medici, i virologi, ma anche tra le persone comuni. Pensa che c’è chi dice che sia tutta una invenzione, tutto un complotto…
G: Quello che mi racconti mi fa pensare che l’epistemologia non sia cambiata.
S. Siamo tornati a parlare di epistemologia. Non capisco se stiamo ingarbugliando le cose oppure cerchiamo una strada per fare chiarezza. Io vorrei sapere tu cosa ne pensi della pandemia. È una domanda che ho nella testa dall’inizio di questa crisi: cosa ne direbbe Gregory Bateson?
G: Le epidemie e le carestie sono dei correttivi del sovraccarico demografico, uno dei modi che il Sistema ha per ristabilire l’equilibrio.
S: Cioè mi stai dicendo che siamo in troppi sulla Terra e quindi il virus ha deciso di far fuori un po’ di gente per sfoltire la popolazione?
G: Ecco la hybris umana…
S: Cosa intendi dire?
G: Nelle tue parole possiamo scorgere alcuni errori epistemologici della civiltà occidentale, che possiamo far risalire al clima di pensiero nel quale Darwin formulò la sua teoria della selezione naturale e dell’evoluzione, in cui l’unità di sopravvivenza era o la famiglia o la specie o la sottospecie o qualche analogo insieme omogeneo di individui di una stessa specie. Ma nel mondo biologico l’unità di sopravvivenza è il complesso flessibile organismo-nel-suo-ambiente. State imparando sulla vostra pelle che l’organismo che distrugge il suo ambiente distrugge sé stesso. Se si commette l’errore epistemologico di scegliere l’unità sbagliata si finisce col contrapporre una specie ad un’altra o all’ambiente in cui vive. Essere umano contro Natura. La teoria evoluzionistica di Darwin conteneva un grossissimo errore relativo all’identificazione dell’unità di sopravvivenza. Se un organismo o un aggregato di organismi stabilisce di agire avendo di mira la propria sopravvivenza e pensa che questo sia il criterio per decidere le proprie mosse adattative, allora il suo progresso finisce col distruggere l’ambiente. Se l’organismo finisce col distruggere il suo ambiente, in effetti avrà distrutto sé stesso.
S: Ora forse capisco cosa intendevi dire riguardo alla mia domanda iniziale. Chiedere cosa sta succedendo agli esseri umani con il coronavirus, presuppone che ci pensiamo fuori o al di sopra dell’ambiente in cui viviamo. Effettivamente per noi, che ci consideriamo così evoluti, essere messi in scacco da un virus, che secondo le nostre classificazioni non possiede nemmeno tutte le caratteristiche dell’essere vivente, è un boccone amaro da buttare giù. Credo sia questo il motivo del negazionismo o del complottismo. Credo che con una epistemologia antropocentrica, sia più facile ricondurre l’origine della pandemia a un complotto ordito da altri esseri umani, piuttosto che accettare che nel sistema ecologico terrestre, un virus possa avere lo stesso “peso” dell’essere umano. Molte persone credono che il virus sia stato costruito in un laboratorio cinese e poi diffuso, per errore o volontariamente. Facciamo molta fatica ad accettare che la civiltà umana moderna possa essere vittima di epidemie così come succedeva nel passato. Ma mi sono riletta i capitoli sulla peste de “I Promessi Sposi” e non sembra che noi umani siamo cambiati chissà quanto da allora. Forse siamo in po’ più progrediti dal punto di vista scientifico e tecnologico, ma facciamo molta fatica ad accettare che, nonostante tutta la nostra evoluzione, non riusciamo a proteggerci da un virus.
G: Ciò che racconti mi fa pensare che qualcuno può trovare molto difficile vedere ciò che è ovvio. Questo accade perché le persone sono sistemi autocorrettivi: sono autocorrettivi nei confronti di ciò che disturba, e se la cosa ovvia non è di un genere che essi possano facilmente assimilare senza fastidio interiore, i loro meccanismi autocorrettivi si attiveranno per metterla da parte, per nasconderla, addirittura fino al punto di far loro chiudere gli occhi se necessario, o di cortocircuitare varie porzioni del processo di percezione. L’informazione fastidiosa può essere incapsulata come una perla, così da non dar noia.
S: Ciò che dici mi fa pensare alle distorsioni cognitive e all’utilizzo della rete internet e dei social media. Oltre alla pandemia, stiamo facendo i conti anche con l’infodemia.
G: Mi pare di capire che vi sia un uso di tecnologia avanzata, che provoca in qualche modo delle sistematiche distorsioni delle informazioni. Questo mi fa pensare alla funzione della coscienza nel processo dinamico dell’adattamento umano, se l’informazione elaborata attraverso la coscienza sia adeguata e appropriata al compito dell’adattamento umano. Potrebbe essere che la coscienza contenesse distorsioni sistematiche di prospettiva, le quali, messe in atto dalla tecnica moderna, potrebbero distruggere gli equilibri tra l’uomo, la sua società e il suo ecosistema.
Se alla coscienza manca informazione sulla natura dell’uomo e dell’ambiente, o se l’informazione è distorta e scelta in modo inadeguato, allora è probabile che l’accoppiamento generi una successione meta aleatoria di eventi. Crediamo che la coscienza eserciti una reazione nel resto della mente e quindi un effetto sull’azione. Se esiste una differenza sistematica tra le visioni consce dell’io e del mondo e la vera natura dell’io e del mondo, tale differenza deve distorcere il processo di adattamento.
S: Piano piano… come siamo giunti a parlare di coscienza e cosa centra con il discorso ecologico dell’essere vivente nel suo ambiente? Io ti ho detto che sto vedendo tante reazioni diverse nelle persone davanti alla pandemia, alcuni preferiscono negare il problema o spiegarlo riportandolo a meccanismi molto umani e questo a me sembra un modo rassicurante e consolatorio per affrontare una situazione che fa molta paura. Poi ti ho detto che secondo me, queste reazioni nelle singole persone, trovano una cassa di risonanza nell’uso della rete internet, che rende possibile per ognuno di noi trovare selettivamente conferma delle proprie personali opinioni e convinzioni e allontanare o ignorare ciò che è dissonante. Ma non riesco a collegare questo con il discorso sulla coscienza e con quello, per così dire, ambientale.
G: Dunque, non conosco le tecnologie di cui parli, ma mi pare che possano centrare con la domanda “Cos’è una mente?” alla quale ho dedicato molta parte della mia vita di studioso, nel tentativo di provare a dare una risposta.
S: Questo mi fa pensare al cieco-col-bastone e all’uomo-che-abbatte-un-albero-con-un’ascia e all’identità tra unità di sopravvivenza e unità mentale… ma non riesco a mettere bene a fuoco il ragionamento e collegarlo al nostro discorso… qualcosa mi sfugge. Le nuove tecnologie (computer, rete internet, social media, …) sono dei potenti strumenti di immagazzinamento e trasmissione di informazioni, ma allo stesso tempo le distorcono e le ingarbugliano, facendo da moltiplicatore rispetto a vari processi inconsci con i quali noi selezioniamo le informazioni che ci arrivano dall’ambiente. Spesso quando navigo in internet mi chiedo qual è il processo che mi porta a selezionare alcune informazioni rispetto ad altre e come queste informazioni influiranno sul formarsi delle mie opinioni e dei miei pensieri e come questo poi agirà nel futuro per farmi selezionare altre informazioni… non so se riesco a spiegare… mi pongo quel genere di domande che si trovano nei tuoi libri. Nell’introduzione a “Verso una ecologia della mente”, scrivi che “i problemi che il libro solleva sono ecologici: Come interagiscono le idee? Esiste una sorta di selezione naturale che determina la sopravvivenza di certe idee e l’estinzione o la morte di certe altre? Che tipo di legge economica limita il moltiplicarsi delle idee in una data regione della mente?”.
G: … come viene compiuta la selezione? Sulla base di quali principi la mia mente sceglie ciò di cui ‘io’ sarò cosciente?
S: Sì, sì, queste sono le domande che a volte mi faccio. E siamo ritornati a parlare di coscienza e io non riesco a mettere insieme questo discorso con quello di prima, quello sull’ambiente, dell’individuo-nel-suo-ambiente come unità di sopravvivenza. Capisco che è un discorso “ecologico” alla Greta Thunberg, ma anche la mente ha una sua ecologia e quindi i discorsi devono essere collegati…
G: Provo a fare ordine. Esiste un legame semipermeabile tra la coscienza e il resto della mente totale. Una certa quantità limitata d’informazione su ciò che accade in questa più ampia porzione della mente sembra essere trasmessa a ciò che possiamo chiamare schermo della coscienza. Ma ciò che giunge alla coscienza è selezionato, è un campione sistematico (non stocastico) del resto. […] Dobbiamo perciò accontentarci di una coscienza molto limitata. […] Io (il mio io conscio) vedo una versione, prodotta inconsciamente, di una piccola percentuale di ciò che eccita la mia retina; nella mia percezione io sono guidato dai miei fini. […] Se si lascia che siano i fini a organizzare ciò che diviene oggetto della nostra indagine conscia, ciò che si ottiene sono trucchi, alcuni dei quali magari eccellenti.
La coscienza è organizzata in termini di finalità. Essa ci fornisce una scorciatoia che ci permette di giungere presto a ciò che vogliamo; non di agire con la massima saggezza per vivere, ma di seguire il più breve cammino logico o causale per ottenere ciò che si desidera appresso, e può essere il pranzo, una sonata di Beethoven, o un rapporto sessuale. Può, soprattutto, essere il denaro o il potere.
S: Sì, però siamo vissuti in questa maniera per un milione di anni; perché darsi pensiero di ciò?
G: Dà pensiero l’aggiunta della tecnica moderna al vecchio sistema: oggi i fini della coscienza sono realizzati da macchine sempre più possenti, dai mezzi di trasporto, dagli aerei, dalle armi, dalla medicina, dagli insetticidi, eccetera. La finalità cosciente ha ora il potere di turbare gli equilibri del corpo, della società e del mondo biologico intorno a noi. C’è la minaccia di un fatto patologico, di una perdita di equilibrio. Da una parte abbiamo la natura sistemica dell’essere individuale, la natura sistemica della cultura in cui egli vive, e la natura sistemica del sistema biologico, ecologico, che lo circonda; e, dall’altra parte, la curiosa distorsione della natura sistemica dell’uomo individuale, per effetto del quale la coscienza è, quasi di necessità, cieca di fronte alla natura sistemica dell’uomo stesso. Se si seguono i dettami “sensati” della coscienza, si diviene in realtà avidi e stolti: e per stolto intendo colui che non riconosce e non si fa guidare dalla consapevolezza che la creatura globale è sistemica.
La carenza di saggezza sistemica è sempre punita. Si può dire che i sistemi biologici (l’individuo, la cultura e l’ecologia) sono in parte supporti viventi delle loro cellule, o organismi o componenti. Ma i sistemi nondimeno puniscono ogni specie che sia tanto stolta da non andare d’accordo con la propria ecologia.
S: Provo a vedere se ho capito… l’Essere Umano con la sua epistemologia distorta, per la quale crede di poter controllare il Sistema, unita al progresso tecnologico, ha provocato danni all’ambiente in cui vive e quindi a sé stesso. Il coronavirus è il tentativo autocorrettivo del Sistema di riportarsi in equilibrio?
G: Sostengo che le cause profonde dell’attuale ondata di disordini ambientali risiedono nell’azione combinata di progresso tecnologico, aumento della popolazione e idee tradizionali (ma sbagliate) sulla natura dell’uomo e sui suoi rapporti con l’ambiente.
I nostri valori sono sbagliati. Questi fattori fondamentali certamente interagiscono. L’aumento della popolazione stimola il progresso tecnico e crea quell’ansia che ci oppone al nostro ambiente come a un nemico; mentre la tecnica da una parte facilita l’aumento demografico e dall’altra rafforza la nostra arroganza, o hybris, nei confronti dell’ambiente naturale. Più numerosa è la popolazione, più rapida è la sua crescita; più perfezionata è la tecnica, maggiore è il numero di nuove invenzioni; e più crediamo nel nostro “potere” su un ambiente ostile, più potere ci sembra di possedere e più disprezzabile ci sembra l’ambiente.
S: Dovremmo cambiare la nostra epistemologia per interrompere questo meccanismo… ma siamo sempre stati così?
G: Le idee che dominano oggi la nostra civiltà risalgono nella loro forma più virulenta alla rivoluzione industriale. Esse si possono così riassumere:
Noi contro l’ambiente
Noi contro altri uomini
Possiamo avere il controllo unilaterale sull’ambiente e dobbiamo sforzarci di raggiungerlo.
Viviamo all’interno di una frontiera che si espande all’infinito.
Il determinismo economico è cosa ovvia e sensata
La tecnica ci permetterà di attuarlo.
S: Vedi qualche possibilità di invertire la rotta?
G: Atteggiamenti e premesse diversi hanno retto i rapporti tra l’uomo e il suo ambiente o il suo prossimo in altre civiltà e in altri tempi.
La nostra non è l’unica maniera di essere uomini: è concepibile che la si possa cambiare.
S: Gregory puoi mostrarci la strada per questo cambiamento?
G: La mia proposta consiste allora nel definire un’ecologia sana della civiltà umana elevata più o meno in questo modo: Un sistema unico di ambiente-più-una-civiltà-umana-elevata in cui la flessibilità della civiltà si armonizzi con quella dell’ambiente per dar luogo ad un complesso sistema dinamico, aperto a mutamenti graduali delle caratteristiche anche fondamentali (cioè programmate rigidamente).
Una civiltà elevata deve possedere (nelle istituzioni educative e religiose) tutto ciò che è necessario per mantenere nella popolazione la saggezza necessaria e per fornire alle persone soddisfazione fisica, estetica e creativa. Ci dev’essere armonia tra la flessibilità delle persone e quella della civiltà. Nella civiltà dev’esserci diversità, non solo per accogliere la diversità genetica e di esperienza delle persone, ma anche per creare la flessibilità e il preadattamento necessari ad affrontare mutamenti imprevedibili. Una civiltà elevata dovrebbe limitare le proprie interazioni con l’ambiente. Dovrebbe consumare risorse naturali non rinnovabili solo allo scopo di facilitare i mutamenti necessari (come una crisalide in metamorfosi deve vivere dei propri lipidi). Per il resto il metabolismo della civiltà deve dipendere dall’energia che l’astronave Terra riceve dal Sole. Di conseguenza è necessario un grande progresso tecnico. È probabile che, se si usassero come fonti di energia solo la fotosintesi, i venti, le maree e l’energia idrica, il pianeta potrebbe mantenere, con la tecnologia attuale, solo una piccola frazione dell’attuale popolazione.
S: Ma per avviare il cambiamento verso una civiltà elevata servirebbe un radicale cambiamento di idee, nelle persone comuni e soprattutto in coloro che sono “ai posti di comando”. Sarebbe necessario un netto cambio di atteggiamento. La pandemia, come crisi sistemica potrebbe favorire un cambiamento in tale direzione? All’inizio, come ti dicevo, durante il lockdown, è sembrato che avessimo riscoperto l’unità e la solidarietà…forse avevamo imboccato la strada giusta.
Se penso a come si sono svolte le trattative europee per varare il piano economico di aiuti e al risultato raggiunto alla fine, sembra che forse qualcosa si è messo in movimento. Ricordo che in una delle tue conferenze, riportate in “Verso un’ecologia della mente”, individui nel Trattato di Versailles (1919) uno dei due eventi storici più importanti del XX secolo e della tua vita (l’altro è la scoperta della cibernetica). Lo identifichi come un momento nella storia in cui sono cambiati gli atteggiamenti.
G: Si trattò di una delle più grandi svendite della storia della nostra civiltà; un evento tra i più straordinari, che portò difilato ed inevitabilmente alla seconda guerra mondiale. Portò anche (e questo forse è più interessante che non la prima conseguenza) a uno scadimento morale della politica tedesca. Il trattato di Versailles è stato un giro di boa nell’ambito degli atteggiamenti morali. Ritengo che sia necessario attendere ancora un paio di generazioni prima che i postumi di quella svendita esauriscano i loro effetti. La cosa continua ad andare avanti. È la tragedia della sfiducia, dell’odio e della distruzione, che vibrano e si propagano attraverso le generazioni.
S: Forse la pandemia ha fatto da catalizzatore per superare gli effetti del Trattato di Versailles nei rapporti tra Nazioni. L’Unione Europea per sopravvivere alla crisi deve cambiare le regole del gioco nei rapporti tra le nazioni che ne fanno parte e con il resto del mondo. La trattativa sul Recovery Fund sembra mostrare che questo cambiamento si sta avviando. È interessante che la signora Merkel, Cancelliera tedesca, abbia avuto un ruolo cruciale per arrivare al risultato finale; forse gli effetti del Trattato di Versailles vanno esaurendosi. Possiamo sperare che a Bruxelles, abbia agito la saggezza sistemica e che una diversa ecologia delle idee stia facendosi spazio nella società umana? Un’ecologia delle idee per cui l’arroganza secondo la quale l’essere umano abbia potere di controllo unidirezionale sul sistema di cui fa parte, lasci il posto ad un nuovo modo di pensare e di agire?
G: Credo che queste idee non siano malvagie e che la nostra massima necessità (ecologica) sia la loro diffusione via via che si sviluppano, e via via che si sviluppano proprio grazie al processo (ecologico) della loro diffusione.
S: La pandemia ci ha reso evidente che siamo vulnerabili e non indispensabili, ha fatto crollare il nostro antropocentrismo. Forse è questa la lezione che possiamo imparare: siamo parte di un più vasto sistema e “la nostra non è l’unica maniera di essere uomini: è concepibile che la si possa cambiare”.
G: Io credo che questa massiccia congerie di minacce all’essere umano e ai suoi sistemi ecologici sorga da errori nelle nostre abitudini di pensiero a livelli profondi e in parte inconsci. Come terapeuti abbiamo un dovere. Primo, far luce in noi stessi; e poi cercare ogni segno di luce negli altri, e aiutarli e rinforzarli in tutto ciò che di saggio vi sia in loro. E vi sono oasi di saggezza che ancora sopravvivono nel mondo.
S: Grazie Gregory per aver condiviso le tue idee con me.
G: Le idee che sembravano essere “me” possono anche diventare immanenti in voi. Possano sopravvivere se sono vere.
Bibliografia
Barbetta, P. (2020), “Il virus come evidenza di antropocene”, Connessioni, n.7 Speciale Covid-19.
Bateson, G. (1976), Verso una ecologia della mente, Milano, Adelphi.
Bateson, G. (1984), Mente e Natura, Milano, Adelphi.
Bateson, G. (1997), Una sacra unità, Miilano, Adelphi.
Liotti, G. (2005), La dimensione interpersonale della coscienza, Firenze, Carocci.
Mosconi, A. (2020) “La natura non commette errori”, Connessioni, n.7 Speciale Covid-19.
Pievani, T. (2020), “Pandemia 2020: una storia darwiniana”, CICAP Fest 2020
Quammen, D. (2012), Spillover: L’evoluzione delle pandemie, Milano, Adelphi.
[1] “Eccola lì, che sta zampettando vicino ai tuoi piedi”, disse la Zanzara. (Alice tirò i piedi un po’ allarmata) “la Farfalla-pane-e-burro. Le sue ali sono fettine sottilissime di pane spalmato col burro, il corpo è un pezzo di crosta, e la testa è una zolletta di zucchero”. “E di che cosa si nutre?” “Di tè leggero con panna”. Venne in mente ad Alice una difficoltà imprevista. “E se non lo trova?” chiese. “Allora muore, naturalmente”. “Ma è una cosa che le deve capitare assai spesso” osservò Alice, pensierosa. “Le capita sempre” rispose la Zanzara. Dopo di che, Alice restò zitta per un paio di minuti, soprappensiero…”. Lewis Carroll “Attraverso lo specchio”, citato in G. Bateson, “Una sacra unità”, Adelphi 1997 (1991) p. 332.
[2] Il termine è preso dalla corsa della Regina Rossa nell’opera di Lewis Carroll “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”, in cui la Regina Rossa dice: «Ora, in questo luogo, come puoi vedere, ci vuole tutta la velocità di cui si dispone se si vuole rimanere nello stesso posto; se si vuole andare da qualche altra parte, si deve correre almeno due volte più veloce di così!» Questo termine è stato scelto da Van Valen, perché le specie devono continuamente evolversi (“correre”) per poter sopravvivere.