di Liz Arévalo Naranjo
In questo capitolo verranno esposti i principali aspetti del libro/rapporto:Desaparición Forzada en el Magdalena Medio (2017) del Centro Nacional de Memoria Histórica de Colombia, ovvero: Memoria dell’infamia: Sparizione Forzata (a seguire SF) in Magdalena Medio (2017), del Centro Nazionale per la Memoria Storica della Colombia, di cui sono stata coordinatrice e relatrice.
Tra gli aspetti principali, viene presentata la ricostruzione della memoria storica sulle sparizioni forzate, basata sull’analisi delle testimonianze in 128 casi di desaparecidos in 10 comuni della Magdalena Medio (regione della Colombia), rispetto a quanto espresso dalle famiglie delle vittime, in base alla loro tragica e singolare esperienza. Il rapporto fornisce un resoconto sulle vittime, onorandone la dignità e la storia; su chi fossero le persone scomparse, sul metodo infame messo in atto, sul modo in cui si è originato tale crimine e come si è protratto nel tempo, non essendo mai stato ostacolato dal sistema di giustizia, e dagli Organi dello Stato Colombiano. Il lavoro intende, inoltre, mettere in luce la micro-politica sottostante e fornire alcune spiegazioni riguardo a come questo crimine sia stato sostenuto e supportato da un sistema sociale che ha implicitamente supportato le giustificazioni presentate rispetto ai casi dei desaparecidos. Vi è inoltre, un resoconto di come i riferimenti concettuali della teoria critico-poetica proposti da Marcelo Pakman (che è stato uno dei consulenti della ricerca) siano stati usati per effettuare l’analisi delle testimonianze e di come tale teoria sia stata messa al servizio della costruzione della memoria in un contesto di violazione dei diritti umani.
Le sparizioni forzate in Colombia mostrano un repertorio di violenze provocate dal conflitto armato interno, che il paese ha sofferto per decenni. Tale conflitto non si è limitato a un periodo preciso, ma è continuato, tragicamente e in modo complesso. La violenza si è ripetuta, sia nei periodi di cambiamento, sia nei periodi di stabilità, nei territori controllati dai diversi gruppi armati. Questo è il motivo per cui è nato il rapporto del Centro Nazionale della Memoria Storica: “Memoria dell’infamia: le sparizioni forzate nella Magdalena Media” (2017), sulla base dei diritti delle vittime e delle loro famiglie, della verità, della giustizia e del risarcimento. Il nostro scopo è ribadire che ciò che è avvenuto non si ripeta, spinti dalla necessità di comprendere le esperienze coinvolte in questi crimini.
Il rapporto presenta un’analisi testimoniale (Delle 128 testimonianze analizzate, 91 sono di donne, 31 di loro madri delle vittime) di 128 desaparecidos (117 uomini e 11 donne, 11 casi sono di minorenni, alcuni di loro reclutati dai gruppi armati), nel periodo tra il 1970 e il 2013 (Secondo l’Osservatorio Nazionale della Memoria e del Conflitto ONMC, in questo periodo vi furono 2627 sparizioni forzate nella regione.), nella regione chiamata Magdalena Medio, nella Colombia centrale, regione formata da 31 comuni in 8 Regioni. In particolare, si riferisce ad alcuni dei casi invisibili, verificatisi in 10 comuni delle quattro regioni (1-Santander: Barrancabermeja, Puerto Wilches, Sabana de Torres, Cimitarra e San Vicente de Chucurí; 2- Bolívar: San Pablo e Cantagallo; 3- Antioquia: Yondó e Puerto Berrío; 4- Cesar: Aguachica). Tenendo conto che questa regione è stata scenario del conflitto armato nella disputa per le ricchezze e per il controllo da parte di gruppi legali e illegali, così come espressione dei conflitti sociali nella lotta per la rivendicazione dei diritti della popolazione. La sparizione forzata è stata utilizzata dai gruppi armati, come strategia di guerra, controllo sociale e territoriale, come mezzo per istaurare un clima terrore e di silenzio.
Tabella n. 1. Caratteristiche temporali delle sparizioni nel Magdalena Medio
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Per la realizzazione di questo rapporto sull’infamia delle sparizioni forzate (SF, nell’originale DF, desaparición forzada), vi è stato un lavoro di grande collaborazione con le organizzazioni locali per i diritti umani, sono state effettuate interviste a familiari, leader e difensori dei diritti umani, così come seminari psicosociali e analisi del contesto locale e regionale, avendo sempre come punto di partenza le vittime dirette di questi atroci crimini: persone per lo più in età produttiva (51,5% tra 18 e 40 anni), contadini e abitanti di questo territorio conteso, così come la voce dei loro familiari, anch’essi considerate vittime, secondo la legislazione colombiana (Legge n. 1448 del 2011, finalizzata ad un processo riparativo globale).
In questo modo, le testimonianze si configurano come esperienze che fanno parte di una memoria storica che dovrebbe essere inserita in una dimensione tragica. Le testimonianze diventano il centro dell’indagine e guidano le indagini rispetto alle vittime, al contesto in cui è avvenuta la sparizione e all’identità del responsabile del sequestro (el desaparecedor, concetto utilizzato nel rapporto per connotare chi compie questo atto vile e disumanizzante). Si trattava di conoscere i modelli dell’orrore, della tragedia vissuta. Tutto ciò trova una correlazione con la sofferenza espressa nelle testimonianze e con il tipo di società in cui si è verificata la scomparsa. Come segnalato nel rapporto, le testimonianze ampliano il concetto di sofferenza condivisa, sofferenza causata dall’azione umana (CNMH, 2017).
A partire dall’analisi delle testimonianze, vengono identificate tipologie di azione che si ripetono. Emergono cinque categorie di lettura e analisi comparativa attraverso il detto e il non detto (Gatti, 2008) riguardo a ogni crimine nella Magdalena Media. I capitoli del rapporto, sono strutturati su queste categorie che si configurano come una dimensione tragica della sparizione forzata e si riferiscono al modo in cui è stato commesso il crimine, alle giustificazioni, all’assenza di giustizia, all’impatto che hanno avuto le sparizioni di persone e all’emergere di reti di sostegno e solidarietà.
Si tratta di considerare che il linguaggio del testimone è fratturato, che la possibilità di esprimere quanto accaduto nella sparizione delle persone affetta il limite della ragione e del sentimento (Gatti, 2008).
Le testimonianze parlano dell’impossibilità di raccontare, del vuoto come sintomo del non rappresentabile. Ecco perché le testimonianze si rivitalizzano nell’esperienza vissuta, dando valore a una dimensione di significato che non si riduce al significato linguistico o alle percezioni sensoriali (Pakman, 2017). Nel lavoro sulla memoria viene riconosciuto il non rappresentabile, si lavora sul racconto dell’invisibile e si tenta di dare origine alle testimonianze dalla stessa difficoltà della parola come veicolo di rappresentazione assoluta dell’esperienza vissuta (CNMH, 2017).
Le testimonianze hanno permesso un resoconto dell’esistenza e delle dinamiche di questo doppio crimine delle sparizioni, ancor più se si considera che prevale l’impunità nella maggior parte dei casi, che non vi è alcuna indagine giudiziaria che riferisca ciò che è accaduto, che regna l’indifferenza della società, nonché la mancanza di riconoscimento delle lotte dei familiari e delle organizzazioni che li accompagnano. Per questo motivo, la memoria collettiva, cerca di costruire un rapporto attraverso la raccolta di testimonianze. Una racconta che riguarda un’etica della memoria (Pakman, 2019), ed è orientata verso la dignità delle vittime e la riflessione sociale sulla realtà che noi colombiani abbiamo costruito e che ci ha permesso l’implementazione e la continuità di questo infame crimine.
Alcuni aspetti della tragica dimensione delle sparizioni forzate
I paramilitari hanno usato la sparizione forzata come strategia di guerra perché la scomparsa smantella, paralizza, uccide tutto, uccide la speranza, uccide la fede e lascia in vita altri morti. (CNMH, 2017, pagina 284)
Come è stato denunciato, la sparizione forzata cerca di infliggere terrore, rendere invisibile il crimine e garantirne l’impunità. Soprattutto in Magdalena Medio, l’implementazione di questo crimine infame è stata utilizzata da attori armati, principalmente dai paramilitari (61,7% dei casi studiati), come risorsa efficace per generare terrore e paralizzare i residenti, in particolare leader politici e sociali al fine di modellare i comportamenti ed eliminare le opzioni politiche o sociali contrarie all’ordine e ai poteri dominanti. In effetti, il 14% dei casi studiati (18 persone) corrispondono a vittime con una leadership comunitaria, politica o sindacale. È stato anche esercitato indiscriminatamente per mantenere il controllo su determinate risorse legali e illegali, nonché per il controllo sociale e territoriale.
Wilson José Cáceres il 6 aprile 1995, lasciò la sua casa situata nell’area urbana del comune di Sabana de Torres (Santander), per fare alcune commissioni, al suo ritorno fu intercettato da un gruppo di uomini armati appartenenti al AUSAC (Autodefensas de Santander y sur del Cesar). Secondo i vicini, questo gruppo lo portò su un camion e da allora non si seppe più nulla di lui. Wilson era un consigliere dell’Unione patriottica e un candidato per il Movimento operaio e contadino di Sabana de Torres. Al momento della sua scomparsa era presidente della cooperativa lattiero-casearia Aprisa. (CNMH, 2017, pagina 67).
Da questa logica di terrore della scomparsa forzata, che è conosciuta e rivelata dalla comunità visto la sua pratica continuativa nel tempo (In alcune delle testimonianze raccolte, si fa riferimento a luoghi conosciuti dalla comunità, come i posti dove venivano portate le persone per essere assassinate, torturate e fatte sparire.) con lo scopo stesso di rafforzare il terrore, dove il corpo diviene territorio di violenza e l’autore, per mostrare il suo potere, ha un potere illimitato su di esso. I corpi, quindi, sono reificati, etichettati, disumanizzati (In vari casi documentati il corpo è stato violentemente torturato o smembrato, gettato in fosse, fiumi o corsi d’acqua per cancellare tutte le prove e impedirne la ricerca e l’indagine), non appartengono più alle possibili vittime, alle persone, al contrario, sono in balia del dominatore, proprio come i territori dominati.
A Cantagallo (Bolívar) si trovavano i corpi (In soli 13 casi, il 10%, i corpi delle vittime vennero recuperati) di Pedro Cárdenas Peña, Julio Cesar Torres Estrada, Eliécer Cantillo Oliveros e Miguel Díaz Martínez. Nei primi due casi, furono ritrovati galleggianti nel fiume, grazie alle ricerche effettuate della comunità e della famiglia, negli altri invece, vennero ritrovati perché trascinati dalla corrente su una spiaggia. I corpi presentavano segni di tortura, come bruciature con acido e sigarette, decapitazione – uno dei casi – e un altro dei cadaveri aveva l’addome aperto per rimuovere l’intestino e rendere difficile il galleggiamento del corpo. (CNMH, 2017, pagina 127).
In alcuni casi, la SF fa parte di una catena di atti violenti (tortura, violenza sessuale, tra gli altri) che sottopone le vittime a trattamenti crudeli e degradanti, che colpiscono le donne specialmente a causa del loro genere, come riferito dalle testimonianze degli 11 casi raccolti nel rapporto. Da una prospettiva di genere, vengono quindi esplorate le relazioni di violenza e dominio e i fattori di rischio nelle zone di conflitto, così come le credenze culturali che accompagnano il crimine e che sono strettamente correlate al modo in cui il femminile è tradizionalmente assunto.
Nuvis Padilla Atencia scomparve nel 2003 nel quartiere Pozo Azul di San Pablo (Bolivar), all’arrivo dei paramilitari, dove si trovava con altre persone. Tutti i presenti furono assassinati e lei fu portata a Santo Domingo. Una parente ha dichiarato che è stata “violentata da tutti i paracos [narcos paramilitari] che arrivarono” e che ritiene che sia stata successivamente uccisa e che il suo corpo sia stato gettato nel fiume. (CNMH, 2017, pagina 93).
In questo modo, partendo dalle diffamazioni subite dalla vittima si costruisce lo stigma e la distruzione della sua identità. L’assassinio viene normalizzato, arrivando a essere considerato come una risorsa, benché violenta, contro le persone diffamate. Si trovano così diversi motivi che lo giustificano. Muoversi, vivere in zone dove sono presenti gruppi armati è un grave rischio. Il controllo e il dominio del territorio da parte di questi gruppi costringe le persone ad appartenere a uno dei gruppi armati, essere sospetto di aiutare i gruppi armati o rivolgersi a loro per risolvere conflitti personali o quotidiani, di altro tipo.
Il 30 giugno, Alfonso Bautista, settantenne, pensionato di una società appaltatrice di Ecopetrol, con 9 figli e segni di demenza senile, andò a fare una passeggiata, i testimoni lo videro passare vicino al sito chiamato El Retén a Barrancabermeja (Santander), dove il i paramilitari erano soliti rubare benzina. Secondo le varie versioni, è stato caricato su una macchina rossa e da quel momento sono state perse le sue tracce, apparentemente perché aveva assistito al furto di carburante. (CNMH, 2017, pagina 70).
Si creano copioni che spiegano e giustificano il crimine partendo da una logica di guerra (amico/nemico) e dai repertori violenti e terroristici che generano paralisi e silenzio. Ad esempio, in alcuni comuni studiati, lo stigma della “guerriglia” contro i sindacalisti o i leader che rivendicavano i loro diritti di lavoro o di comunità o contro i contadini della zona che le dicerie additavano come collaboratori del “nemico”. Anche lo stigma di “indesiderabile” era necessario per mantenere un certo ordine. Si creano inoltre significati impliciti, condivisi, stabiliti da chi detiene un potere violento, ma che vengono implicitamente assunti dal sistema sociale.
Il metodo SF segue uno schema pianificato e “giustificato”, ed è orientato alla distruzione dell’identità, non solo per la scomparsa del corpo, ma anche grazie alla stigmatizzazione e all’annullamento della storia della vittima e della sua famiglia, in molte occasioni vittima di ostracismo sociale, o del dover rimanere in silenzio, o di essere re-vittimizzata tramite minacce di sfollamenti, violenze e sparizioni. Il copione comune nei 128 casi ha un momento precedente di minacce e aggressioni (il che lo rende selettivo – 96 casi), seguito da detenzioni in luoghi pubblici o nelle case delle vittime, poi la mancanza di conoscenza dell’accaduto e l’assenza stessa, e successivamente, l’applicazione di dispositivi comunicativi che rafforzano il terrore affinché il suo effetto trascenda socialmente e duri nel tempo. Tutto ciò al fine di impedire la ricerca del familiare scomparso e la denuncia di quanto accaduto. Il metodo mira a favorire l’impunità dei perpetratori, in un sistema giudiziario precario e scoraggiare la protezione da parte dello Stato, che accresce il timore delle famiglie a denunciare.
Lo schema è il seguente per i 128 casi: un momento antecedente di minaccia e istigazione – accaduto il 96 casi – seguito da molestie in luoghi pubblici o presso le abitazioni delle vittime, dopo la sua scomparsa si passa alla dichiarazione di non sapere dove sia la vittima, infine l’attuazione dei meccanismi comunicativi minacciosi finalizzati a terrorizzare i possibili effetti di pubblicizzazione dei fatti e mantenimento della memoria.
José Arístides Amado era un contadino, che arrivò nel villaggio di Santa Rosa de Cimitarra (Santander), fuggito da La Paz, a seguito delle minacce dei guerriglieri delle FARC. Venne indicato dai paramilitari come parte di un gruppo di supporto della guerriglia. Un giorno, mentre si trovava in centro, in compagnia della moglie, quattro uomini armati lo portarono via con forza caricandolo in un furgone, avendo prima avvertito la signora di tornare a casa senza dire nulla rispetto a ciò che era accaduto. L’impatto dell’evento e la minaccia furono così forti che la donna decise di non sporgere denuncia. (CNMH, 2017, pagina 141).
Nella storia sopra riportata possiamo non solo evidenziare una doppia scomparsa, (del corpo e del crimine stesso, in quanto le informazioni vengono occultate e i testimoni silenziati), ma anche come il metodo contribuisca a perpetuare tale crimine a manifestarsi. Inoltre, in assenza di giustizia e di pene, le informazioni rispetto ai fatti accaduti alle persone scomparse sono frammentarie e basate su versioni e voci che rendono fuorviante le ricerca e la spiegazione rispetto all’ accaduto, tutto ciò porta con sé il rischio essere contaminato dalle giustificazioni degli autori e di rafforzare l’impunità.
Nel caso di Albeiro de Jesús Builes, scomparso il 10 marzo 2002, apparentemente per mano dei paramilitari nella zona rurale di Puerto Berrío (Antioquia), uno dei membri della famiglia insistette durante uno dei seminari psicosociali, che Albeiro non venisse associato a nessun gruppi di guerriglia. Si trattava di onorarne il suo nome e la memoria. Chiarì che i guerriglieri volevano reclutarlo e per tale motivo nel 1995 dovette trasferirsi in un alto comune. […] La famiglia ha portato su di sé la diffamazione che si era creata sulla persona scomparsa, al punto da non averne denunciato la sparizione, né intrapreso azioni di ricerca. (CNMH, 2017, pagina 208).
Marlon Peña Moreno, scomparso il 21 marzo 2007 ad Aguachica (Cesar), minacciato in precedenza, a causa delle indagini effettuate dalla madre sull’omicidio del fratello, Jaime Peña, l’8 marzo 2006 per essersi rifiutato di aderire a gruppi paramilitari. La sua famiglia è stata diffamata nel vicinato e sul lavoro perché parenti di “uno scomparso e assassinato”. (CNMH, 2017, pagine 69-209)
Il metodo infame delle sparizioni forzate cerca di devastare la vita della vittima e dei suoi familiari, rendendo invisibile il crimine. Ad esempio, la famiglia e la comunità sono esposte al potere del dominio del gruppo armato, alle sue regole e ai suoi valori (che hanno contribuito a commettere il crimine stesso). Si configura così un contesto di violenza che sostituisce i principi democratici e il rispetto dei diritti umani. Questo finisce per influenzare le soggettività individuali e collettive, rendendo sempre più profonde la sofferenza costante, l’incertezza, la colpa, l’impotenza, la tragedia congelata nel tempo, l’impossibilità del lutto, l’alterazione della vita quotidiana.
La famiglia di Anderson Enrique Mercado (16 anni, scomparso per mano dei paramilitari di Aguachica, il 15 luglio 2001), nutre ancora la speranza di ritrovarlo vivo, per mezzo delle voci, che a volte arrivano, e che riferiscono si trovi in determinati luoghi, per esempio, a La Gloria o su un’isola nel fiume. La madre spera ancora che sia vivo ed è per questo che ogni 24 dicembre ed ogni ricorrenza del compleanno, così come il giorno della scomparsa di Anderson, scrive un biglietto e lo invia alla stazione locale con la speranza che lo riceva. Nel 2004 due sorelle di Anderson furono minacciate e dovettero trasferirsi, quindi la madre entrò in depressione ed ebbe paura ad uscire da sola per strada. In questi anni è rimasta in silenzio, in attesa di risposte e di sapere cosa è successo a suo figlio. (CNMH, 2017, pagina 224)
La delinquenza organizzata nega i valori sottostanti, la convivenza tra esseri umani, il rispetto della vita e della dignità. Nonostante ciò, i familiari delle vittime, le persone e le organizzazioni che li accompagnano, continuano a porre resistenza, attraverso ricerche incessanti. Nonostante il rischio di minacce e aggressioni, le denunce coraggiose che accrescono la voce e i diritti di altre vittime e familiari continuano. Il lavoro sull’identificazione delle vittime e la raccolta di documentazione sui molteplici casi verificatisi nella regione continua; anche attraverso la solidarietà e il sostegno delle reti, che lavorano per rafforzare la memoria delle vittime.
I passi verso il riconoscimento e superamento di questa atroce forma di delitto
All’interno del rapporto sugli orrori e sulla sparizione forzata in questa regione vengono indagati gli aspetti politici, sociali e culturali prevalenti, che si configurano come fattori che impediscono il cessare delle tragedie che circondano il crimine.
La disumanizzazione, che viene espressa attraverso la negazione degli attributi essenziali dell’essere umano, quali il corpo e l’identità, negando quindi la possibilità di una relazione e coesistenza pacifica, suggerisce come contropartita la possibilità di mettere al centro delle relazioni il rispetto della vita. Si avverte la necessità di cambiare modelli sociali dominanti, basati su identità assolute e polarizzanti, che alienano ogni relazione tra cittadini in un paese complesso e diversificato come la Colombia.
Secondo Pakman (2010), si tratta di partire da una conoscenza condivisa sulle conseguenze delle sparizioni forzate e sulla decostruzione delle “ragioni” che la supportano: i discorsi giustificativi che “banalizzano” e rendono i crimini invisibili. Si tratta inoltre di contrastare le menzogne dell’autore del reato riguardo alle vittime e i giudizi e le giustificazioni adottate per infierire sulla famiglia.
A tutto ciò bisogna aggiungere la debolezza Istituzionale e dell’apparato giudiziario, che non garantisce la verità e la pena riguardo a ciò che è accaduto nei ai casi di sparizione forzata, facilitando l’impunità. Infine i media, in risposta ai fatti da noi presentati, hanno replicato le stesse giustificazioni dei criminali, collaborando nella costruzione di immaginari collettivi che esaltano la paura.
La memoria collettiva e storica rispetto alle atrocità di questi crimini, contenuta nel Rapporto Regionale, fa appello alle trasformazioni richieste sia all’interno dello Stato che nell’intera società colombiana, indifferente e indolente di fronte a queste barbarie. Tutto ciò al fine di chiudere il ciclo dell’infamia rappresentato dalle sparizioni forzate e passare, finalmente ad un progetto congiunto per il paese volto alla collettività.
Bibliografia
Centro Nacional de Memoria Histórica (2017), Memoria de la infamia: Desaparición forzada en el Magdalena Medio, Bogotá, CNMH.
Gatti, G. (2008), El detenido-desaparecido.Narrativas posibles para una catástrofe de la identidad, Montevideo, Ediciones Trilce.
Pakman, M. (2010), Palabras que permanecen, palabras por venir: Micropolítica y poética en psicoterapia, Barcelona, Gedisa.
Pakman, M. (2014), Texturas e imaginación: Más allá de la ciencia empírica y del giro lingüístico, Barcelona, Gedisa.
Pakman, M., (2019), El sentido de lo justo: Ética de las intervenciones sociales, Barcelona, Gedisa.