Peggy Papp e il coro greco
di Pietro Barbetta
È scomparsa di recente Peggy Papp, è accaduto il 13 novembre, all’età di 98 anni, quasi dimenticata dal mondo della terapia familiare. Eppure fu una delle antesignane nell’applicazione della terapia sistemico-relazionale presso l’Ackerman Institute di New York. Una delle antesignane di quanto oggi sta emergendo dalle pratiche dell’approccio della scuola di Milano.
Così scrive Papp: “Nelle parole di Foucault, la famiglia: ‘è condotta ad attraversare uno stato in cui si viene a confrontare con se stessa e portata inevitabilmente a discutere a proposito della sua propria verità’”.
Nel marzo 1980, Peggy Papp pubblica su Family Process un articolo intitolato The Greek Chorus and Others Tecniques of Paradoxical Therapy (Il coro greco e altre tecniche ti terapia paradossale). In questo saggio, una dei tre riferimenti citati in bibliografia è il libro di Michel Foucault Madness and Civilization: A History of Insanity in the Age of Reason, New York, Pantheon, 1965. La cui ultima versione completa, in italiano (Storia della follia nell’età classica) fu curata, di recente da Mario Galzigna, con il contributo in traduzione della collega psicoanalista junghiana Beatrice Catini.
Peggy Papp scrive che il gruppo terapeutico dietro lo specchio lavora come il coro nella tragedia greca. La tragedia è una forma d’arte che nasce ad Atene con alcuni autori, i cui lavori ci sono pervenuti, intorno al V secolo prima dell’era cristiana. Il termine “tragedia” è la composizione di due parole: Tragos, cioè capro, e Aido, cioè canto, dunque canto dei capri, che indica la figura mitologica dei satiri. Al contrario di quanto presuma il senso comune, la tragedia è dunque un canto pieno di erotismo, vitale. Abbiamo tra autori le cui opere tragiche ci sono rimaste e possiamo leggere e vedere a teatro: Eschilo, Sofocle ed Euripide. Eschilo, che nasce a Eleusi nel 525 a.C. e muore a Gela 456 a.C.) è il primo autore che ci è noto. Nelle sue opere la presenza del coro è preponderante, Sofocle (496-406 a.C.) è l’autore prediletto dagli psicologi e dagli psicoterapeuti per via dell’opera Edipo Re, riscritta e raccontata più e più volte da vari autori – ricordo il “complesso di Edipo” di Freud, che si rifà alla tragedia di Sofocle, e il film omonimo di Pier Paolo Pasolini, solo per fare due esempi tra i numerosi – e Antigone, che ha avuto anche numerose varianti – si legga l’opera di George Steiner Le Antigoni e la folle traduzione della schizofrenico Hölderlin – ed è popolare oggi nei pensieri dei movimenti femministi e queer.
Scrivere della tragedia greca richiederebbe competenze che non ho e numerose pagine. Ma i riferimenti che ho fornito sopra sono abbastanza esaustivi, per farsi un’idea della complessità di questa forma d’arte relativa a un’epoca storica definita, molto lontana, ma che ancora ci affeziona profondamente.
Il coro, nella tragedia, ha un ruolo esterno all’opera. Come se l’opera si svolgesse su due piani: quello dell’azione qui ed ora e quello del coro.
Un esempio di azione: l’Edipo Re di Sofocle si apre con un’azione qui e ora: i sacerdoti bendati si recano da Edipo a chiedere come mai, nonostante il suo regno illuminato, Tebe sia affetta da una grave pestilenza. Lascio al lettore la continuazione della lettura. A livello della terapia sistemica: la famiglia si reca dal terapeuta a chiedere come mai, nonostante le rispettabili apparenze, ci sia un paziente designato.
Un esempio di coro: durante l’Antigone di Sofocle, prima del momento in cui Antigone viene consegnata da una guardia al cospetto del tiranno Creonte, il coro recita: “Molte sono le inquietudini nel mondo, ma nulla è più inquietante dell’uomo…”, un commento, ancora per noi misterioso, che precede l’arrivo di Antigone al cospetto di Creonte.
Vediamo ora che cosa sostiene Peggy Papp in una mia traduzione:
Il gruppo di consultazione come un coro greco
Un altro aspetto distinto del nostro lavoro è l’uso di un gruppo di consultazione sottotraccia rispetto all’intervento terapeutico. Quel gruppo è composto da colleghi […] che si si alternano nell’osservazione tra loro dietro lo specchio unidirezionale. Questo gruppo agisce come un coro greco, conducendo un continuo commento da dietro lo specchio riguardo all’interazione tra la famiglia e il terapeuta. È la voce del profeta familiare che proclama la verità sistemica nella famiglia e predice il futuro corso degli eventi. La sua maggior preoccupazione è legata al fenomeno del cambiamento sistemico. Il coro trasmette messaggi regolari sul fenomeno del cambiamento: come arriverà, quali conseguenze avrà, che ne sarà coinvolto, in che modo e che alternative ci possono essere.
È chiaro, almeno a me pare, che il contributo di Papp è stato molto importante. Che Papp è stata una delle prime pensatrici nel campo della terapia familiare ad accorgersi quanto il nostro lavoro avesse a che fare con il pensiero di Michel Foucault e quanto l’opera Storia della follia nell’età classica sia una lettura necessaria per ogni terapeuta familiare sistemico-relazionale.
Peggy Papp: un ricordo
di Umberta Telfener
Alla fine degli anni Settanta, mentre ero alla Philadelphia Child Guidance Clinic, ho conosciuto Peggy Papp, assistente sociale, donna degli anni cinquanta, raffinata e semplice contemporaneamente, colonna portante dell’Ackerman Institute di New York, è morta all’età di novantotto anni. Collaborava con Olga Silverstein e Lynn Hoffman e insieme sperimentavano – precocemente, in tempi non sospetti – con le tecniche attive, influenzate probabilmente dal marito di Peggy, il celebre produttore teatrale e regista Joseph Papp, fondatore del Public Theater, intellettuale raffinato. Sperimentavano con le sculture mobili, con la coreografia familiare (Family Coreography, metaphors, problem focused genograms, the innovative use of questions in Family Therapy Debates, Family Process vol. 46, 3, 2007), con il coro greco (The Greek Chorus and other Tecniques of Paradoxical Therapy, Family Process, 1980). Le tre donne, insieme a Brad Keeney appena arrivato a New York, uscivano dal seminato più degli altri professionisti che ho conosciuto all’epoca. Il collega David Kantor aveva all’inizio degli anni ’70 introdotto l’argilla in seduta, chiedendo ai clienti di rappresentare la loro relazione. Peggy ci ha raccontato allora come pensasse di far muovere i partner nella stanza, di rendere le sculture in movimento per interrompere un copione sempre uguale, per non proporre una fotografia dello status quo ma ipotizzare un’evoluzione, un cambiamento. Intendeva anche accedere alla fantasia, alla metafora come via principale per entrare nella relazione: per questo chiedeva ai partecipanti, spesso gruppi di coppie riunite insieme, di chiudere gli occhi e avere una immagine del loro rapporto, di costruire una metafora che li rappresentasse. Sosteneva di rifarsi alla frase di Bateson “Solo nei sogni le persone non possono mentire”. Da sistemica aveva deciso di non ricorrere ai sogni ma di guidare i partner verso una metaforizzazione della relazione di cui cercava le complementarietà e gli incastri, per ridefinirli come forze adattative del sistema, come teorizzerà con voce più autorevole in seguito Philippe Caillé. Nella sperimentazione non sembravano interessati tanto al comportamento delle persone, piuttosto a come sperimentassero la relazione in cui si trovavano, a chi credevano di essere, a come rappresentavano se stessi in rapporto all’altro, a come immaginavano un’evoluzione dalla situazione attuale. Con le coppie in impasse poi le sculture permettevano di far emergere il blocco della coppia, sottolineando le sfumature del loro sentire, le emozioni nel presente e nel passato.
Le sperimentazioni all’Ackerman prendevano le distanze da ogni intellettualismo e tutti gli operatori si vantavano di rendere la terapia concreta, pragmatica, basata sul fare, data anche la popolazione che incontravano. Appena riuscivo lasciavo Filadelfia e mi precipitavo dietro lo specchio all’Ackerman, c’erano sempre osservatori curiosi che venivano “spremuti e utilizzati” per i loro feedback; la richiesta era quella di proporre domande, di tentare soluzioni e alternative di fronte all’impasse. Mi ricordo l’eccitazione del lavoro di sperimentazione e la grande energia che ci accomunava, oltre allo stupore che ci coglieva di fronte a storie che sembravano materializzarsi dal nulla. Mi ricordo il mio sforzo personale per “sembrare” intelligente, la loro accettazione di qualsiasi proposta senza mai giudicare, i tentativi ed errori che venivano messi in atto come fossimo carbonari che tentavano vie intentate prima. Il gruppo dietro lo specchio era considerato un coro greco, come ben racconta Pietro Barbetta in questo stesso numero.
Le idee di Boscolo e Cecchin iniziavano a circolare, mi ricordo letture collettive di Paradosso e Contro-paradosso, e le disquisizioni ancora ipotetiche rispetto a questi due personaggi rivoluzionari, che portavano un linguaggio assolutamente nuovo e che all’Ackerman saranno invitati molte volte. Anche in questo caso l’attenzione del gruppo era però concreto al fare piuttosto che agli aspetti epistemologici, per questo attenzione principale veniva data alle domande che il gruppo di Milano formulava.
Nel tempo Peggy si è occupata di tutti i temi più significativi della storia della terapia familiare nella cultura americana, tra cui il cambiamento (The process of change, 1994), è stata co-fondatrice del progetto sulle donne in terapia, si è occupata di genere e depressione, studiando le differenze tra uomini e donne rispetto alle cause scatenanti (Couples on the Fault Line: New Directions for Therapy, 2000; The invisible web: gender patterns in Family Relationships, 1988). Negli ultimi tempi si occupava degli adolescenti e delle loro famiglie.
È stata insignita di un premio alla carriera dall’American Family Therapy Association. Posso azzardare un pettegolezzo di fronte alla famiglia dei colleghi, come ci ha insegnato a fare Mara Selvini con le famiglie? Credo che la sua intraprendenza e il suo entusiasmo siano stati un po’ spenti dall’arrivo all’Ackerman di Peggy Penn che ha sparigliato il gruppo, costruendo un’alleanza speciale con Lynn Hoffman che le ha poi portate a scrivere il libro sul Milan Approach insieme a Boscolo e Cecchin. Altrimenti la sua fama europea sarebbe stata più luminosa in quanto me la ricordo come clinica brillante e coraggiosa, piena di ironia e rispetto.