In ricordo di Salvador Minuchin

In ricordo di Salvador Minuchin

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Salvador Minuchin, uno dei fondatori della Terapia Familiare, è morto.
Ricordo di essere stato a visitare la Child Guidance a Philadelphia e di essere stato colpito dalla capacità  di accogliere famiglie in ogni tipo di condizione, di dar loro ospitalità  evitando, in ogni modo possibile, la separazione tra genitori e figli. Ricordo quando venne a Milano e fu ospite, durante una seduta di terapia familiare, presso la nostra Scuola, al Centro Milanese di Terapia della Famiglia. Ricordo il suo modo forte, imponente, ma accogliente, di fare terapia muovendo le sedie, spostando le persone. Questo modo non è mai stato il modo della nostra scuola. Ricordo le discussioni di Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin riguardo a quel modo, per noi distante, eppure interessante, di fare terapia. È scomparso un maestro, forse il più anziano dei maestri della terapia familiare. A lui dobbiamo l’interesse per la famiglie degli slums, le famiglie socialmente deprivate, emarginate, che hanno fatto di Minuchin un terapeuta familiare rivoluzionario in un’epoca in cui, dall’Argentina, veniva esportata la rivoluzione. Un Che Guevara della Terapia Familiare. Lui era riuscito a far sentire questo spirito rivoluzionario dentro le istituzioni sanitarie e sociali degli Stati Uniti. Impresa non facile, impresa encomiabile.
Pietro Barbetta

Alla Philadelphia Child Guidance Clinic teneva un seminario per gli studenti ogni martedì dalle 12 alle 14. Eravamo tutti convocati coi nostri panini; dopo cinque minuti chiudeva la porta a chiave: se arrivavi in ritardo eri fuori. Ognuno si presentava con un tape di una seduta, Sal sceglieva a caso chi dovesse mostrare il suo lavoro e a caso faceva scorrere il nastro, osservava una sequenza per poi chiedere ai presenti cosa vi trovassero di “giusto” e di “sbagliato”. A volte anche cosa ci fosse di poetico e singolare, ma questo sembrava interessarlo di meno. Ciascuno allievo disegnava alla lavagna il genogramma della famiglia di cui parlava, ma veniva azzittito fino ad altra occasione se non includeva anche il terapeuta, che era considerato già  allora parte fondante del processo. Ogni martedì prima dell’incontro prendevo un ansiolitico e ho sognato questi appuntamenti, assieme alla maturità, per un periodo lungo.
Sal Minuchin mi ha insegnato a pensare, perché faceva domande imprevedibili e si soffermava su chi rispondeva in maniera più plausibile ma anche creativa. Mi ha insegnato a entrare in relazione con la patologia, con i problemi e con le possibili soluzioni. Alla Child Guidance — dove sono stata dal 1976 al 1979 — era il deus ex machina, il direttore supremo, colui a cui venivano inviati i casi più difficili con cui si ingaggiava in terapia, mentre noi cercavamo sempre di stare dietro lo specchio unidirezionale. Con le famiglie era “severo” e direttivo quanto lo era con noi studenti, mai in maniera aggressiva, ma giocosa e autorevole. Credeva talmente in quello che diceva che era impossibile non farci i conti e non farsi perturbare dalle sue proposte. Mi ha raccontato un giorno che venendo da una famiglia ebraico argentina molto numerosa, aveva dovuto imparare a farsi sentire e a ottenere ciò che desiderava.
Sal mi ha anche insegnato a stare con le famiglie, a non averne paura mai. Un giorno ero in seduta con una coppia wasp americana — credevo da sola — quando suona il citofono: “Togliti una scarpa e annusala. Non uscire dalla seduta finché non lo hai fatto”. Ho subito riconosciuto la sua voce e mi è stato chiaro di non avere scampo: dovevo obbedirgli. Oggi gli sono grata di avermi portato oltre il mio limite.
Sal Minuchin è morto lo scorso 31 ottobre e ha lasciato un grande vuoto. Con lui è morto un pioniere della terapia familiare, l’inventore del modello strutturale, un uomo capace di gestire i problemi e di vederne le soluzioni. Un grande esperto di anoressia (sintomo che negli Stati Uniti si è sdoganato all’inizio degli anni settanta, a seguito di un cresciuto benessere sociale), di asma e diabete mellito, di malattie psicosomatiche e di famiglie disorganizzate, più tardi di situazioni di svantaggio e povertà. Ha proposto un modello clinico rassicurante, chiaro, pragmatico, e ha insegnato a molti di noi a vedere la struttura familiare come l’aspetto organizzatore delle interazioni.
Si era formato con Nathan Ackerman prima e con le teorie psicoanalitiche dello scomparso Harry Stack Sullivan poi; insieme a Bralio Montalvo — suo fedelissimo collaboratore — ha lavorato negli anni sessanta come psichiatra infantile all’Istituto Wiltwyck per ragazzi delinquenziali, dove ha messo a punto la sua teoria strutturale (Families of the slum è un libro del 1967 che racchiude la loro esperienza). Nel 1965 diventa direttore della Philadelphia Child Guidance Clinic dove resterà  fino all’inizio degli anni ottanta, insieme a Jay Haley, Bralio stesso, e le collaboratrici e amiche Bernice Rosman (Famiglie psicosomatiche, l’anoressia mentale nel contesto familiare, scritto insieme, è del 1978) e Marianne Walters, femminista appassionata. Si sposterà  poi a New York dove crea il Family Studies Institute, dove oltre a insegnare il suo modello si interfaccia con I Servizi dedicati a situazioni sociali a rischio di povertà, razzismo e discriminazione. Tra i libri scritti da lui ci sono anche Famiglie e terapia della famiglia (1978), Tecniche di terapia familiare (con Fishman, 1981), L’arte della terapia della famiglia (2013).
Molti di noi se lo ricordano nei seminari-maratona che faceva in giro per l’America e l’Europa fino a due anni fa: mai stanco, pieno di energia, intenso, ironico, tagliente, capace di grandi simpatie e di opinioni definite e tranchant, assieme alla fedele moglie Patricia, psicologa, che lo ha affiancato nei suoi ultimi progetti (Working with families of the poor, è il libro che hanno scritto insieme con Jeorge Colapinto nel 1998).
Sono fiera di averlo conosciuto e sono certa che Sal continuerà  a vivere nei nostri insegnamenti come un pioniere e un maestro.
Umberta Telfener

Il mondo della psicoterapia ha perso un grande maestro e pioniere della terapia familiare. Ricordo Salvador Minuchin per la sua generosità, il suo coraggio e il suo impegno sociale. Ha raggiunto i maestri del Centro Milanese di Terapia della Famiglia che lo hanno molto stimato e che hanno apprezzato i loro incontri con lui durante questo lungo viaggio. Ringrazio il Professor Minuchin per il suo prezioso contributo alle professioni di aiuto.
Jacqueline Pereira
(Amministratore delegato del CMTF)