di Massimo Giuliani
Alla fine di gennaio ci ha lasciati Giorgio Bert. È stato medico, docente universitario di semiotica medica e acuto osservatore sistemico della realtà. Con Silvana Quadrino aveva dato vita al gruppo torinese di professionisti e formatori sistemici che conosciamo come “Istituto Change” e fra le altre cose ha legato il suo nome alla medicina narrativa.
La notizia della sua morte ha forse colto di sorpresa qualcuno, perché Giorgio è riuscito anche nel periodo più difficile a tenere viva la discussione sui temi che per lui erano importanti. Lo faceva attraverso i suoi spazi sui social network, in cui da anni era una presenza attiva. La dimensione della conversazione, del confronto, della curiosità per punti di vista diversi e divergenti (anche dal suo) era quella nella quale si trovava a proprio agio.
Certi commiati hanno un che di intollerabile che si aggiunge al dolore e al rimpianto. Nel caso di Giorgio Bert fa male pensare che se n’è andato in un momento in cui la sua voce sarebbe quanto mai necessaria. È sotto i nostri occhii come il tema del potere nella cura oggi divida spesso i cittadini dalla medicina e li divida anche fra di loro. Al riguardo, mi viene da raccontare di quando a maggio lo abbiamo ricordato in una giornata intensa e commovente in cui ci siamo stretti intorno a Silvana Quadrino, sua compagna di vita e di lavoro. Fra le voci affettuose che si sono avvicendate, il Presidente dell’Ordine dei Medici torinese Guido Giustetto ha ricordato la curiosità e il rispetto di Giorgio per il pensiero “stravagante” di cui a volte sono portatori i pazienti. Osservava Giustetto come Giorgio avesse un modo non banale di scegliere le parole: fra un termine consueto e uno meno abituale, era assai probabile che scegliesse il secondo. A pensarci, “extra-vagante” è tutto quello che “vaga all’esterno”, che si muove al di là dei confini di un cerchio. Sappiamo che il pensiero “extra-vagante” dei pazienti oggi è non di rado deriso dalla scienza. Quando poi i cittadini, i pazienti, quelli che della medicina e della scienza dovrebbero essere gli utenti, si avventurano a parlare di quello che sta “dentro al cerchio”, qualcuno gli ricorda che possono parlare solo se laureati in medicina. Insomma, se sei “extra-vagante” ti biasimo, se sei “intra-vagante” ti biasimo.
Sul rapporto fra medicina e opinione pubblica il medico Giorgio Bert aveva certamente l’idea che la relazione fra medicina e società vada costruita in modo collaborativo e sistemico: ma non nel senso che – come sciaguratamente qualcuno in questi anni ha avanzato – ai cittadini tocchi “mettere ai voti” vaccini e pratiche mediche. Ma che possano dire la loro su quale medicina vogliono, al servizio di chi. Di sé stessa? Di qualche potere? O della società?
Giorgio Bert non aveva solo amici nell’accademia. Da docente universitario negli anni ’70 lavorava con gli studenti su questi temi. E molti anni dopo era emozionante sentirlo raccontare di come quell’ingente mole di pensieri prodotti sul tema fosse anzi sollecitata dagli studenti stessi. Non a caso, la giornata in cui lo abbiamo ricordato a Torino ha avuto per titolo “Non chiamatemi maestro”. E non a caso, in quella giornata la voce di Giorgio ha risuonato con le canzoni di Gaber e di Brassens, perché i confini di quel “cerchio” non li tracciava precisamente dove si è soliti tracciarli.
In quegli anni lavorava fianco a fianco con Giulio Maccacaro. Insieme immaginarono una medicina critica e attenta al proprio rapporto col potere – e al rischio di farsi “potere” essa stessa.
Mi è capitato qualche anno fa di immergermi nella lettura di “Il medico immaginario e il malato per forza”, il testo che pubblicò nel 1974 per la collana “Medicina e potere” che Maccacaro aveva fondato e dirigeva. Ne realizzammo una nuova edizione che uscì nel 2018 per Durango Edizioni. È la storia di quella piccola rivoluzione e una buona summa del pensiero di Giorgio sulla questione. Ebbene, salvo dotarlo di pre- e postfazioni che lo contestualizzassero storicamente, non abbiamo mai avuto bisogno di porci la domanda di come “attualizzare” quel libro, che incredibilmente sembrava scritto il giorno prima.
Giorgio Bert è stato naturalmente ben più di quello che si capisce da queste righe. L’auspicio è quello di poter tornare periodicamente, grazie agli amici di Change, sul suo pensiero rigoroso eppure “extra-vagante” in incontri pubblici vivi e partecipati come è stato quello in cui l’abbiamo salutato.
Ai familiari di Giorgio, a Change e in particolare a Silvana va l’abbraccio di noi di Connessioni e del Centro Milanese.