di Veronica Ferrara e Marzia Molteni
psicologhe, psicoterapeute
La vita non è quella che si è vissuta,
ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
Gabriel Garcia Marquez
Introduzione
Nella mia prima vita io mi chiamavo Antonio. Il giorno in cui sono morto è stato quello in cui la mia ex moglie mi ha portato via per sempre i miei figli. O, forse, quello in cui ho scoperto che si vergognavano di me.
Dopo la separazione ho vissuto tre anni in auto e poi, per altri sette, ho galleggiato in strada, senza vederli.
Non ho niente di originale, a parte il fatto che sono un senzatetto. Tutti, qui, in questa nuova dimensione, mi chiamano Antò. Ho cinquant’anni anche se ne dimostro molti di più, e ho avutoun passato. Felice persino, da raccontare. Più o meno come tutti.
Questo racconto di Antò, un padre separato che vive per strada, rappresenta una delle numerose commoventi testimonianze tratte dal libro Tutta la vita in un giorno. Viaggio fra la gente che sopravvive mentre nessuno se ne accorge (Barra, 2014), che racconta i percorsi di vita di persone senza fissa dimora, personeetichettate nella nostra società come “povere”. Sono queste storie le protagoniste del nostro progetto di tesi di specializzazione che verrà in parte presentato nel seguente articolo.
Qualche lettore si chiederà: perché un progetto di ricerca sulla povertà e sulla grave emarginazione?
Sono pochi i terapeuti che si sono relazionati con questa tipologia di persone. Difficilmente questi utenti accedono a servizi di consulenza psicologica, sia privata che pubblica, proprio per il loro modo di vivere, per la mancanza di risorse economiche e di documenti di riconoscimento, rimanendo quasi invisibili ai margini della società. Molto spesso vengono aiutati attraverso approcci assistenzialistici, che tuttavia non considerano l’influenza di variabili relazionali e sociali sulla loro condizione. In questo senso pensiamo che l’epistemologia sistemica possa fornire una lente di analisi interessante al fenomeno. Nell’articolo di Gianfranco Cecchin (1987) Revisione dei concetti di Ipotizzazione, Circolarità, Neutralità: un invito alla Curiosità viene ben definito come l’approccio sistemico utilizzi la curiosità per allontanare l’etichettamento e il pregiudizio. Si parla di una terapia che esalta la complessità e la molteplicità di prospettive, restituendo valore alla relazione e introducendo un pensiero olistico. La curiosità diviene l’elemento essenziale che guida la terapia e ne diventa catalizzatore. Esaltare la complessità dell’interazione e permettere di inventare punteggiature multiple di un comportamento, attraverso un orientamento polifonico nella descrizione e spiegazione dell’interazione, rappresentano i concetti chiave in grado di favorire la complessità.
L’epistemologia sistemica inoltre ha la capacità di leggere dinamiche complesse e di riuscire quindi ad affrontare le sfide sociali attuali. Tra queste sfide si colloca il più evidente paradosso contemporaneo, quello “dell’abbondanza e della privazione”1: all’aumentare dello sviluppo del sistema contemporaneo cresce anche il numero delle persone in stato di povertà ed emarginazione. Gli ultimi dati Istat ci mettono, infatti, di fronte a una realtà cruda: la povertà assoluta in Italia è in aumento. Sono 4,7 milioni le persone che oggi vivono in stato di indigenza (dati ISTAT 2016), non riuscendo ad accedere ai beni e ai servizi necessari per una vita dignitosa. Nel 2007 erano 1,8 milioni. Altro dato significativo è che, nonostante siano aumentate le forme di sostegno sociale (dormitori, servizi di distribuzione pacchi, viveri, etc.), il numero delle persone in stato di povertà ed emarginazione non tende a diminuire; sembra che gli interventi favoriscano la condizione assistenzialistica e non incentivino forme di autonomia personale.
Da qui l’idea di una sfida: provare a leggere con lenti sistemiche il tema della povertà e sperimentare un approccio terapeutico nuovo per questa tipologia di utenza.
La terapia sistemica può essere un approccio funzionale per un’utenza così complessa, come le persone in stato di disoccupazione ed emarginazione?
L’articolazione del progetto si è definita in corso d’opera, grazie anche a tutti coloro che hanno contribuito con indicazioni e feedback stimolanti ad arricchirla. Il presente lavoro non si sarebbe realizzato senza il prezioso aiuto del dott. Wolfgang Ullrich, relatore della tesi. Con i numerosi colloqui, i rimandi teorici, l’insegnamento di tecniche di conduzione e tramite le sue supervisioni, ci ha affiancato per tutto il lavoro di tesi. Abbiamo spesso sbagliato, peccato d’ingenuità̀ ed entusiasmo e lui non ha esitato a farcelo capire, aiutandoci ad imparare ancora. Noi abbiamo accettato la sfida di questo percorso e le critiche costruttive che ci arrivavano con rinnovato entusiasmo e con la voglia di fare sempre meglio.
Il progetto è stato ideato e realizzato in un periodo compreso tra settembre 2015 e ottobre 2016 e si caratterizza come una ricerca-intervento volta ad esplorare in modo sistemico, dandone una nuova lettura, i vissuti psicologici delle persone in stato di povertà.
Il desiderio che ha mosso questo lavoro è di andare oltre un’idea falsata e romantica delle persone in stato di emarginazione e povertà, sfidando l’immaginario e in primis i pregiudizi delle terapeute stesse.
Il lavoro di tesi si è articolato in due sezioni. La prima dedicata alla teoria, ricca di premesse epistemologiche di riferimento e riflessioni, la seconda riservata alla clinica, con la descrizione dell’applicazione dell’approccio sistemico in un gruppo di terapia con persone in condizioni di povertà ed emarginazione.
Premesse teoriche
Per comprendere appieno l’impostazione data al progetto di ricerca occorre prima definire alcune premesse teoriche.
Premessa I: L’approccio sistemico-relazionale.
Se tentiamo di analizzare il fenomeno della povertà all’interno del sistema sociale ed economico, la teoria generale dei sistemi e l’applicazione dei concetti fondamentali di apertura e chiusura dei sistemi, di omeostasi, auto-regolazione e di equifinalità possono esserci di aiuto. Negli anni ’50 Gregory Bateson riteneva che il pensiero cibernetico potesse essere applicato per descrivere le interazioni umane, elaborò quindi i concetti di comportamento simmetrico e asimmetrico (o complementare) ed osservò che la società da lui esaminata conteneva due tipi di forze: unadi queste spingeva verso schemi di progressivo antagonismo, fino alla rottura da parte di un gruppo, e l’altra sosteneva l’adattamento, il compromesso e la coesione sociale. Ciascuna parte reagiva alle reazioni dell’altra, attraverso forze in equilibrio dinamico e la teoria dei sistemi poteva spiegare questo equilibrio con la nozione di autogoverno attraverso la retroazione. L’informazione che giungeva da una data azione veniva ricorsivamente re-introiettata nel sistema, consentendo di regolare l’attività successiva modificandola. Si trattava del verificarsi della retroazione negativa, mentre la retroazione positiva sarebbe stata scoperta più tardi.
La società contemporanea, al pari di altri sistemi sociali, può quindi essere considerata come un sistema cibernetico, che si autogoverna tramite retroazione.Con la retroazione negativa il sistema (per il principio di autoconservazione) si corregge e ritornava allo stato originario, ogni volta che viene colpito con informazioni nuove che tendono invece a sbilanciarlo. In questo senso è interessante notare come in passato fossero in molti a credere che lo sviluppo, inteso come crescita economica, avrebbe modificato il sistema e ridotto il problema della povertà (Hirsch, 1981). In realtà, non solo questa si è rivelata un’utopia, ma ad oggi è evidente che lo sviluppo abbia portato a diversi paradossi:
- l’aumento della ricchezza media e del reddito medio si accompagna all’aumento dell’ineguaglianza e del disagio, situazioni non più di classe, ma territoriali e personali: la povertà aumenta laddove alberga l’opulenza (Segrè, Falasconi, 2002);
- la crescita del PIL non è correlata all’aumento dell’occupazione: oggi se si vuole aumentare produttività e produzione è necessario ridurre i posti di lavoro;
- l’aumento del reddito medio pro capite non è correlato all’aumento della qualità della vita.
Da una parte l’economia produce un surplus, dall’altra una parte della società risulta in deficit.
La società può quindi essere vista come un sistema omeostatico, con una “autoregolazione automatica” che tende a “mantenere il sistema” riducendo qualsiasi deviazione dall’introduzione di nuove informazioni. Ogni sistema è composto da rigide regole.
Da questo ragionamento, l’ipotesi che la società deleghi ad alcuni dei suoi membri il ruolo di “componente omeostatica”, che riporta ogni volta il sistema al suo stato di tranquillità dopo che una regola è stata minacciata. Le persone emarginate potrebbero assolvere a questa funzione, permettendo agli altri membri di mantenere i rispettivi ruoli.
Ovviamente non vi è una responsabilità specifica, (teoria della circolarità reciproca) e non ha senso ricercare una relazione causa-effetto. Il sintomo e la sua persistenza possono essere considerati all’interno di un contesto relazionale in cui i “tentativi di soluzione” diventano il problema.
L’applicazione di questa idea potrebbe spiegare il fallimento dei programmi di lotta alla povertà e di quanto la maggior parte degli aiuti emessi dai Comuni, dalle Associazioni no profit e dal mondo del volontariato spesso non favoriscano l’autonomia delle persone ma, anzi, aumentino la situazione di assistenzialismo.
Anche il pensiero costruttivista, secondo cui la realtà viene co-costruita nel linguaggio attraverso il consenso, può fornire una chiave di lettura interessante. Il pensiero costruttivista di Maturana e Varela (1984) ebbe una notevole importanza nella cibernetica di secondo ordine e pose l’accento sull’idea che la conoscenza non è oggettiva, ma viene costruita attraverso l’autoriflessività,e che i sistemi viventi sono sistemi autonomi e autorganizzati. In questo senso si può capire meglio la famosa frase dell’economista Orshansky (1878) “La povertà è come la bellezza, è negli occhi di chi la guarda”. Poiché secondo il costruttivismo non esiste una verità che abbia un valore assoluto, ma esistono verità che hanno un valore e una validità locale (Rosenau, 1992), si può definire solo una visione contestuale della povertà: i poveri esistono solo in relazione ai ricchi e viceversa.
Se guardiamo la povertà con queste lenti, come terapeuti sistemici possiamo fornire dei contributi importanti alla problematica e proporre modelli di aiuto nuovi ed innovativi.
Premessa II: Il tema dell’identità.
Concetto d’interesse su cui soffermarsi è quello di “soggetto contestuale”, che nasce con Gregory Bateson negli anni ’30 e che risulta essere molto importante se parliamo d’identità e della sua costruzione. Il concetto di soggetto contestuale ricorda come una relazione sia in grado di modificare e influenzare tutti i suoi partecipanti a partire dall’azione di uno solo di essi. Questa è la base per affermare che l’individuo costruisce la propria mente ed identità (e quindi i sintomi stessi) nella relazione ed interazione con gli altri: su questa pertanto è necessario agire per potere dare sollievo al disagio percepito. L’individuo, inteso come soggetto contestuale, non esiste se non in relazione con l’altro (Bateson, 1979).
L’ipotesi del lavoro di ricerca è che l’identità si sviluppi e sia in continua evoluzione in un processo sociale di scambi. In quest’ottica, l’emarginazione, la perdita lavorativa e la povertà comportano un’impossibilità o una possibilità molto più limitata di scambi sociali. Possiamo immaginare come conseguenza di tale perdita di “possibilità di scambio a livello sociale” una situazione di empasse o comunque di stallo che può divenire pervasiva nel modo di percepirsi dell’individuo. La perdita del lavoro connessa ad un fase di declino e di isolamento può comportare una consistente perdita di riconoscimento dello status sociale dell’individuo da parte degli altri. Risulta difficile dare un valore assoluto al concetto di povertà, a quello di emarginazione o all’insuccesso lavorativo, tuttavia è evidente che il valore che l’individuo attribuirà a questi concetti si baserà sempre sulla percezione di una differenza di status tra un prima e un dopo il momento di rottura del proprio filo esistenziale e sul feedback che arriverà dal suo contesto di appartenenza.
Premessa III: L’approccio narrativo.
Secondo la teorizzazione di White (1993) i sintomi non sono anomalie, ma sono strettamente collegati alla costruzione di sé e del mondo: di conseguenza gli individui possono cambiare, ma non in solitudine. Per poterlo fare, le persone devono mutare le narrazioni che organizzano le loro interazioni, le auto descrizioni e le descrizioni del mondo. Focalizzare quindi l’intervento sulle storie di povertà, su come si sono costruite, aprendo alla cornice temporale dal presente al passato e infine al futuro, permette di lavorare sulle connessioni di eventi e significati nel fluire del tempo. La sofferenza diventa quindi espressione di discrepanze tra le storie che le persone raccontano di se stesse e la propria attuale esperienza.
La ricerca: progettazione e metodologia di conduzione
Le premesse descritte hanno permesso, in fase di progettazione del lavoro, di formulare due ipotesi terapeuticheche sono poi divenute linee guida nella conduzione del gruppo:
- la grave emarginazione legata alla perdita del lavoro, della rete sociale e della casa può comportare un momento imprevisto di rottura e di scollamento da un percorso di vita lineare, implicando la rivalutazione del sé dell’individuo tra un prima ed un dopo “l’evento di rottura” con conseguente difficoltà a ri-definirsi secondo i nuovi parametri del contesto;
- potrebbe esserci un circolo riflessivo tra emarginazione e senso di fallimento, senso di fallimento che potrebbe inoltre avere un significato preciso per la famiglia d’origine e per la società di appartenenza.
Partendo dalle ipotesi proposte un percorso di aiuto di gruppo per persone in stato di povertà potrebbe mirare a co-costruire, mediante le relazioni interne al gruppo stesso, un “nuovo” senso identitario per i partecipanti.
Finalità principale del gruppo diventa quella di creare un contesto che possa permettere alle persone di imparare a ri-raccontarsi, costruendo narrazioni di sé molteplici, anche attraverso l’esperienza pratica.
Di seguito sono riassunte alcune fasi peculiari della ricerca:
Fase I: scelta del contesto;
Fase II: conoscenza del contesto e committente;
Fase III: selezione dei componenti del gruppo;
Fase IV: contratto terapeutico;
Fase V: conduzione del gruppo;
Fase VI: verifica degli obiettivi.
Fase I: Scelta del contesto
Come contesto di attuazione del progetto è stato scelto il Servizio SILOE, un Servizio dell’Arcidiocesi di Milano promosso dalla Caritas Ambrosiana e dal Servizio per la vita sociale e il lavoro, gestito dalla Fondazione Caritas Ambrosiana.
Il SILOE offre consulenza, affianca e sostiene le Parrocchie della Diocesi ambrosiana al fine di progettare in modo condiviso interventi a favore delle diverse situazioni di povertà, disagio ed esclusione sociale. Il lavoro presentato nell’articolo mira a verificare se l’integrazione della terapia di gruppo, basata sull’epistemologia sistemica, possa aumentare l’efficacia degli interventi.
Fase II: Conoscenza del contesto e del committente
Una volta trovato il contesto più opportuno di applicazione del modello diviene necessario un momento di conoscenza al fine di formulare una o più ipotesi sulle aspettative del committente e sugli equilibri del sistema in cui si andrà ad inserire il gruppo.La fase II si è concretizzata attraverso alcuni colloqui con la Responsabile e la partecipazione ad alcune équipe settimanali di discussione dei casi, promosse dagli operatori del Servizio. È stato proficuo, nella fase di conoscenza, instaurare una relazione di fiducia con la committenza, sfruttando gli incontri organizzati per condividere con l’equipe il background teorico, la metodologia sperimentale e le modalità di selezione dell’utenza che avrebbe partecipato al gruppo. Durante questi incontri con gli operatori, è stata condivisa l’ipotesi sistemica quale cornice di selezione dei componenti del gruppo.
Fase III: Selezione dei componenti del gruppo
I criteri di selezione dei componenti del gruppo sono stati concordati tra terapeute e operatori del Servizio, col fine di sviluppare una visione condivisa dell’utenza.
I criteri fondamentali:
- non in carico ad altri servizi di supporto psicologico;
- sufficienti competenze cognitive;
- discrete capacità di comunicazione;
- età superiore ai 20 anni;
- assenza di patologia psichiatrica grave;
- buona motivazione (Giordano e Curino, 2013).
Di seguito la descrizione di un potenziale candidato che poteva far parte del gruppo:
- la persona condivide una narrazione rigida e vincolante circa la storia passata che l’ha condotta alla perdita lavorativa e alla situazione di stallo, da cui la difficoltà di cogliere altri punti di vista e letture alternative sulle condizioni passate che l’hanno condotta a quella attuale;
- impossibilità o difficoltà consistente a collocarsi in una situazione futura che non sia una ripetizione di quella idealizzata del passato o di quella faticosa del presente, o in alternativa una visione estremamente idealizzata e acritica di sé nel futuro;
- descrizione del sé attuale influenzata in maniera preponderante dal percepirsi come scartato dal contesto sociale, vissuto di “povertà”, o in alternativa difficoltà generica a definirsi, se non rispetto a schemi riguardanti il passato non più realistici.
Fase IV: Contratto terapeutico
Si è previsto di stilare, durante il primo incontro del gruppo, un “contratto di lavoro” per concordare le tematiche di interesse e avviare un processo virtuoso di reciproca conoscenza e fiducia basato sull’assunzione di responsabilità a livello personale. Inoltre, prima di iniziare, a ciascun membro è stato consegnato il modulo del Consenso informato.
Fase V: La conduzione del gruppo
I cinque incontri previsti, della durata di un’ora e trenta, sono stati audio-registrati. Il numero di partecipanti previsto era di massimo 8 persone, con la presenza di un operatore con ruolo di osservatore su richiesta dell’équipe del SILOE. In questi incontri gli obiettivi esplicitati sono stati: ricostruzione dell’identità personale e sociale, accresciuto adattamento al cambiamento, conoscenza e utilizzo delle risorse personali.
Fase VI: Verifica degli obiettivi
Alla fine dei cinque incontri è stata effettuata un’équipe di verifica con gli operatori del SILOE ed un sesto incontro col gruppo, con funzione di follow-up e valutazione dell’impatto del percorso sulla propria condizione di vita.
Conclusioni
Questo progetto è nato da una domanda: “Può l’epistemologia sistemica essere un valido strumento di analisi del fenomeno della povertà e un efficace modello d’intervento?”
Il gruppo di apprendimento che abbiamo condotto ci ha dato dimostrazione di come un’offerta di lavoro terapeutico per persone in stato di emarginazione possa creare le condizioni ideali affinché i componenti si sentano accolti e ascoltati e divenire occasione evolutiva.
L’utilizzo della terapia della narrazione si è rivelata una scelta vincente perché ha permesso a tutti di ripercorrere la propria storia e di affrontare tematiche legate non solo alla sfera lavorativa ma anche a quella familiare e relazionale.
Centrale si è rivelato il lavoro sull’identità personale: se nella relazione d’aiuto non si co-costruisce una nuova identità alternativa a quella di “povero e fallito”, qualsiasi intervento potrebbe non risultare efficace. In quest’ottica, l’emarginazione, la perdita lavorativa e la povertà comportano un’impossibilità o una possibilità molto più limitata di scambi sociali. Possiamo immaginare come conseguenza di tale perdita una situazione di empasseche può divenire pervasiva nel modo di percepirsi dell’individuo.
Come i membri del gruppo, anche noi, con questo lavoro di tesi, siamo cambiate. Scrivere una tesi di specializzazione sulle storie di persone povere, emarginate, senza dimora è come affidarsi alla scabrosità di una possibilità che ci appartiene. Crediamo, con un po’ d’ironia, che i terapeuti sistemici possano essere considerati dei “barboni” fortunati: ce l’hanno fatta a non finire all’addiaccio, ma conservano alcuni tratti disturbati e creativi come l’inquietudine dell’erranza. Vagano per il mondo osservandolo con curiosità, affamati di risposte, pieni di domande, di ossessioni, riti. Ogni giorno corrono il rischio di perdersi, di non trovare più la strada del ritorno. Pensiamo che questo sia una fortuna e sia alla base dell’irriverenza di cui parlava Cecchin (1993).
I “poveri” non sono persone che corrono tutto il giorno guardando a terra per raggiungere un’ideale di performance e perfezione, ma persone che hanno ancora voglia di guardare in faccia le altre persone. Sono curiosi e scrutano i “regolari”, quelli che stanno girando nel “frullatore della civiltà organizzata” senza esserne consapevoli, quelli che spingono la mattina per salire sulla metropolitana senza accorgersi di tutto quello che gli succede accanto.
Ci siamo divertite ad ascoltare le loro storie e ci siamo anche commosse. Pensiamo che la marginalità, nella sua terribile durezza, sia un osservatorio privilegiato. Così queste persone ci hanno insegnato molto e ci hanno aiutato ad affrontare una paura profonda inconfessata: la possibilità di smarrire improvvisamente i fili, di perdere il controllo che ci tiene ancorati al mondo regolare.
D’altronde, come ci ha detto un membro del gruppo:
“Qua a Milano correte sempre tutti, non guardate in faccia a nessuno e io non riesco proprio a starvi dietro. Sono fatto per la vita contemplativa io: potrei abbandonarmi ore a guardare la bellezza di un fiore che cresce o ad ascoltare i rumori della stazione centrale. E invece mi tocca correre se voglio rimanere nel sistema, non mi permettete di sedermi. Soprattutto ora che mi sono innamorato, se ami qualcuno devi abbandonare la strada.
Il mio passato è un mosaico costellato di ricordi: la casa dei miei genitori, mia madre che scalda l’acqua per farmi il bagno, l’agriturismo che ho avuto col mio primo amore e le capre del vicino che si sono mangiate tutti i cavoli del mio campo. Il ricordo più amaro è però quello della vita per strada: il sacco a pelo, la paura di dormire all’addiaccio e di essere vulnerabili, il non essere toccato da nessuno per venticinque anni.
Oggi ho una casa e un nuovo amore e tuttavia la tentazione di tornare per strada, di sentire il sapore acre e crudo della libertà, di fottermene della pioggia che cade e del tempo che scorre è ancora forte.”
Bibliografia
Barra, F. (2014), Tutta la vita in un giorno. Viaggio fra la gente che sopravvive mentre nessuno se accorge, Milano, Rizzoli.
Bateson, G. (1972), Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi.
Bateson, G. (1984), Mente e Natura, Milano, Adelphi.
Cecchin, G. (1987), “Revisione dei concetti di Ipotizzazione, Circolarità Neutralità: Un invito alla Curiosità”, Ecologia della Mente, 5, 1988.
Cecchin, G.; Lane, G.; Ray, W. A. (1993), Irriverenza, Milano, Franco Angeli.
Giordano, C.; Curino, M. G. (2013), Terapia sistemica di gruppi, Milano, Alpes Italia.
Hirsch, F. (1981), I limiti dello sviluppo, Milano, Bompiani.
Marquez, Gabriel, G. (2002), Vivere per raccontarla, Milano, Arnoldo Mondadori.
Maturana, H.; Varela, F. (1984), L’albero della conoscenza, Milano, Garzanti.
Mazzantini, M. (2004), Zorro: Un eremita sul marciapiede, Milano, Arnoldo Mondadori.
Rosenau, James N. (1992), Normative Challenges in a Turbulent World, Ethics & International Affairs, Cambridge.org.
Segrè, A.; Falasconi, L. (2002), Abbondanza e scarsità nelle economie sviluppate, Milano, Franco Angeli.
Orshansky, M. (1969), How poverty is measured, Perspective on poverty symposium, in Monthly Labor Review 92 (2), febbraio1969, pp. 37-41.
White, M. (1993), La terapia come narrazione, Roma, Astrolabio.
White, M. (2007), Maps of narrative practice, New York, Norton and Company, Inc.
Leggi anche:
Note
- Il paradosso è stato così teorizzato dall’Onu nel 2015, ed è scomponibile in tre aspetti:
– Stili di vita, cibo e ambiente. Secondo l’OMS, il 75% dei problemi di salute sono determinati da scorrette abitudini di vita e cattiva alimentazione, e ben il 60% dei decessi a livello mondiale sono da attribuire a malattie che potrebbero essere evitate con una corretta alimentazione e una moderata attività fisica. È incredibile che il sovrappeso e l’obesità causino più decessi che la denutrizione. 805 milioni di persone soffrono la fame e 500 milioni sono obese.
– Impiego delle risorse alimentari. Un terzo delle risorse alimentari sono destinate alla nutrizione di animali da allevamento ed è in forte aumento la produzione di biocarburanti.
– Spreco alimentare. Si sprecano 1,3 tonnellate di alimenti ogni anno, ossia un terzo della produzione totale del cibo destinato al consumo umano. E mentre nei Paesi più poveri lo spreco si verifica a monte della filiera agroalimentare (ossia durante la produzione, raccolta, stoccaggio), nei Paesi sviluppati lo troviamo a valle, ossia nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo.