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Recensione di “Le pratiche collaborative nei servizi di cura e tutela”

Letto da Arianna Girard
Rivista Connessioni 3 Gennaio 2023 3 min read

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a cura di Jimmy Ciliberto e Mauro Piccinin
Carocci (2022)

Letto da Arianna Girard

Le pratiche collaborative nei servizi di cura e tutela scritto a cura di Jimmy Ciliberto e Mauro Piccinin è un libro corale che unisce in centosettanta pagine le voci di sei professionisti: i curatori sono entrambi psicoterapeuti con orientamento sistemico-relazionale, Davide Sacchelli è psicoterapeuta esperto di counselling psicologico, Guendalina Dell’Anno è sociologa, Francesca Maci è assistente sociale, Paola Turroni è social worker esperta di affido e operatore di advocacy.

La presenza di differenti professionalità all’interno dello stesso volume ben rappresenta uno dei principi fondanti le pratiche collaborative ovvero la partecipazione delle persone nei processi decisionali che riguardano sé e la propria famiglia attraverso momenti più o meno strutturati in cui dare voce alla pluralità dei punti di vista.

Il libro è rivolto a psicologi, assistenti sociali, educatori, docenti e a tutti coloro che operano nei servizi sociali, sanitari, scolastici che vogliano introdurre nei propri sistemi un nuovo modo di lavorare, agendo una collaborazione attiva tra colleghi (in équipe o non) e le persone per cui i servizi sono pensati, che va ben oltre al “andare d’accordo”.

Nell’opera troviamo una descrizione di differenti esperienze di pratiche collaborative, accumunate da una stessa epistemologia, che vede le persone non come utenti, ma soggetti attivi, competenti e in grado di partecipare ai processi decisionali esprimendo il proprio punto di vista, anche in situazioni di difficoltà, crisi o scarsità di risorse.

L’approccio collaborativo si delinea attraverso una pratica dove l’altro partecipa al proprio percorso di cura (per esempio nel Dialogo Aperto descritto da Ciliberto nel cap. 2), al proprio progetto (nelle Riunioni di famiglia illustrate da Maci nel cap. 3, nella Tutale minorile raccontata da Sacchelli nel cap. 4 e nei casi di advocacy dei minori di cui si occupa Torroni nel cap. 6) e nel proprio benessere a scuola (nella Giustizia riparativa descritta da Dell’Anno nel cap. 5).

Trasversalmente alle pratiche illustrate troviamo un ribaltamento della prospettiva autoritaria che talvolta ricorre nei diversi servizi.

Un nuovo modo, quello collaborativo, che trova le radici in approcci emersi in differenti parti del mondo e periodi storici (Bateson, Seikkula, Boscolo e Cecchin, Anderson e Goolishian) come sarà possibile approfondire nel primo capitolo scritto da Mauro Piccinin. Egli guida il lettore in una riflessione sulla potenza delle epistemologie e sulle possibili ripercussioni nelle pratiche operative. Emerge che senza una rivoluzione epistemologica le pratiche collaborative non possono essere realmente applicate e finirebbero per essere una retorica della democrazia e della partecipazione. Questo comporta un radicale cambiamento da parte dell’operatore, che forse varrebbe la pena iniziare a considerare come una persona, con idee, ipotesi, punti ciechi, saperi e non-saperi, che dovrà essere in grado di avere a che fare con l’incertezza nell’incontro con l’utente, considerato anch’egli una persona con idee, ipotesi, ecc. Tutto ciò implica un andare oltre le procedure standardizzate e istituzionalizzate e la sfida è farlo da dentro, in sistemi complessi, talvolta rigidi, impregnati di intenti oggettivizzanti, diagnosi, valutazioni, protocolli, come lo sono le nostre scuole, i servizi di tutela dei minori, i servizi sociali in senso lato.

Come suggerisce Laura Fruggeri nelle prime pagine di presentazione del libro, questo è possibile solo se le pratiche collaborative si affiancano a quelle esistenti integrandosi in una cornice di complementarietà, attivandosi come processi trasformativi dei contesti istituzionali.

Una sfida affascinante, forse a tratti utopica, ma che certamente vale la pena abbracciare.

Nella lettura ho ritrovato il pensiero di Bateson e del Milan Approach applicato in pratiche (descritte in fasi, procedure, setting) senza quella hybris che tanto temo quando incontro “modelli” clinici e non. Un libro che infonde speranza, la cui lettura consiglio a tutti i colleghi psicologi e non, chi attivamente lavora nei servizi ma anche chi sente il bisogno di confrontarsi con i vincoli (di cui ogni sistema e le istituzioni sono pregne) in un’ottica di opportunità, per l’appunto collaborativa.

 

Leggi anche:

In memoria di Alain Chabert
L’inconscio sistemico
Recensione di "The Milan Approach, History and Evolution” di Pietro Barbetta e Umberta Telfener
Un ricordo di Giorgio Bert

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