di Carla Mazzoleni e Enrico Cazzaniga
Unicopli, 2022
Letto da Gianluca Ganda
“Ascoltandovi, mi sono vista”, dice Rebecca. Con queste parole commenta quanto è appena accaduto. Quattro terapeute hanno parlato di lei, mentre lei, davanti a loro, le ascoltava. Le quattro terapeute avevano ascoltato da dietro lo specchio, il dialogo tra Rebecca e Pietro, il terapeuta che conduceva il colloquio.
Lo specchio è parte integrante dell’alchimia terapeutica sistemica. Non proprio una pietra filosofale, non è grazie a esso che si costruiscono i cambiamenti. Ma attorno a esso si sviluppa il processo della terapia, provocando e sollecitando quei confronti e riflessioni che permettono alle persone di vedersi. Da una parte dello specchio arriva la famiglia con la propria realtà, ignara che troverà un terapeuta pronto a smontarla e riassemblarla. Dall’altra parte, nella stanza buia, un gruppo di terapeuti cui arrivano le immagini delle interazioni che sono chiamati a descrivere, consapevoli di farlo a partire dai propri occhiali e pregiudizi. Per questo si dovrebbero attenere a quel rispetto e umiltà che permettono a ogni persona di esprimersi e manifestarsi; e di far emergere quelle risorse su cui il processo sistemico fa leva per indurre il cambiamento.
Le quattro terapeute hanno parlato di cosa le ha colpite del racconto di Rebecca, lei sente che quattro sconosciute, nascoste nello specchio e si stupisce di ricevere un’immagine di sé, aderente alla propria e, nello stesso tempo differente, nuova e più ricca. Un effetto di quel processo o tecnica terapeutica che si chiama Reflecting Team.
Mazzoleni e Cazzaniga parlano di questo nel loro interessante volume. Raccontano una tecnica preoccupandosi di incorniciarla nelle sue premesse epistemologiche e incrociarla con l’epistemologia del Milan Approach, invero strettamente imparentato con la prassi sviluppata da Tom Andersen nel 1987. Lo psicoterapeuta norvegese, da quanto si racconta, aveva avuto numerosi scambi con Boscolo e Cecchin. Ed è emblematico che Mazzoleni e Cazzaniga dicano che il Reflecting Team nasca dal desiderio del terapeuta di uscire dalla sua sensazione di sentirsi bloccato nella narrazione della famiglia, “un sistema che si trova in un punto morto” perché “contiene troppe identità e troppe poche differenze”. Bloccato, stuck, come Cecchin soleva descrivere quei sistemi che portavano avanti ripetitivamente uno stesso pattern, uguali dinamiche e interazioni inossidabili al tempo. Interessante la storia della tecnica, nata da una sorta di percorso di serendipità, con Tom Andersen che voleva passare al terapeuta alcune considerazioni nate dietro lo specchio. Invece di parlar col terapeuta fuori dalla stanza di terapia, senza comunicare con lui attraverso un interfono, nasce l’idea, resa possibile dalla sonorizzazione delle stanze ai due lati dello specchio, di far ascoltare al terapeuta e alla famiglia i commenti del gruppo di osservazione. Gli effetti sono sorprendenti. L’intervento si perfeziona con l’incontro delle premesse teoriche del socio-costruzionismo, in un percorso mostratoci dagli autori: arriviamo così a comprendere quanto ciò che dice il cliente ha lo stesso valore di ciò che dice il clinico. La pratica riflessiva, caratteristica creativa del processo terapeutico, emerge inoltre nell’uso del RT nei processi di formazione, sia nelle supervisioni che nei racconti delle storie personali degli allievi. l’esperienza di rilettura dei vissuti personali degli allievi in un processo di ascolto riflessivo, viene collegata con la curiosità, l’irriverenza e l’uso del tempo. Come da tempo assistiamo, una rilettura del lavoro di Boscolo e Cecchin e dell’epistemologia del Milan Approach alla luce dell’etica, analizzando gli effetti del RT con le idee di potere, libertà e responsabilità.
Gli autori mostrano quanto il RT concretizzi la cibernetica di II° ordine, una visione pluriversale dove le diverse visioni sono ospitate e legittimate. Dove le diverse descrizioni delle relazioni sono chiamate a dialogare tra loro. Se il lavoro del Milan Approach trova nelle domande circolari una occasione per creare una dimensione di riflessione sulle relazioni, il RT amplifica questa posizione riflessiva orientandola a tutti i membri del sistema che sentono come un gruppo di terapeuti li vede. Già qui possiamo cogliere quella riflessività di secondo livello di cui parla Cazzaniga: il terapeuta dietro lo specchio infatti fa delle riflessioni sulle riflessioni emerse nella stanza di terapia e le propone al sistema.
Gli autori ci portano poi una indagine degli effetti del RT, a partire dall’analisi della letteratura scientifica che se ne occupa.
Il testo riporta poi le riflessioni Cazzaniga sul processo dialogico dei gruppi di mutuo – autoaiuto. Una di queste esperienze è riportata e analizzata nel volume.