Per un Deleuze sistemico

Per un Deleuze sistemico

di Antonello Sciacchitano
psichiatra e psicanalista di formazione lacaniana

Testo presentato al Centro Milanese di Terapia della Famiglia nell’occasione della presentazione del volume di Maria Nichterlein e John R. Morss Deleuze e la psicologia (Raffaello Cortina, 2017) il 26 gennaio 2018

Be not the first by whom the new are tried,
Nor yet the last to lay the old aside.
A. Pope, Essay on Criticism

A dream you dream alone is only a dream.
A dream you dream together is a reality.
John Lennon

 

Solo oggi mi rendo conto di quanto imprudente io sia stato accettando l’invito di Pietro Barbetta a partecipare alla presentazione di un libro su Deleuze e la psicologia. Perché Deleuze è un filosofo impresentabile; non si può presentarlo secondo i canoni tradizionali con concetti filosofici correnti.
In Che cos’è la filosofia? (1991) Deleuze assegna alla filosofia un compito creativo: creare concetti nuovi come il romanziere crea romanzi, il pittore dipinti, l’uomo di scienza modelli scientifici. Ma c’è un ma; produrre concetti nuovi, evitando i vecchi, è rischioso; l’innovazione, soprattutto scientifica, è invisa ai conservatori e può risultare incomprensibile. Allora anche presentando Deleuze corro il rischio di essere incomprensibile, soprattutto se parlo di un Deleuze scientifico. Comunque ci provo. Se fallirò, sarà stato deleuziano.
Non mi crederete. A questa presentazione mi sono preparato con diligenza. Ho studiato Differenza e ripetizione; l’ho sottolineata fino a pagina 124 delle sue 388. Mi sono fermato quando sono incappato in questo filosofema: “Il presente è il ripetitore, il passato è la ripetizione stessa, ma il futuro è il ripetuto” (Deleuze, 1997, p. 124). Imbarazzante.
Allora ho cambiato testo. Ho aperto L’Anti-edipo (Deleuze, Guattari,1972). Non è cambiato molto. Mi sono inceppato dopo le prime 38 pagine, davanti a questa definizione: “Una macchina si definisce come sistema di tagli. Non si tratta affatto del taglio come separazione dalla realtà; i tagli operano in dimensioni variabili secondo il carattere considerato. Ogni macchina, in primo luogo, è in rapporto con un flusso materiale continuo (hyle) nel quale essa recide. Funziona come macchina per tagliare il prosciutto” (pag. 38).
Provate a chiedere a un ingegnere della Ferrari di progettare un nuovo motore per la formula uno, applicando questa definizione di macchina. È vero, tuttavia, che l’ingegnere della Ferrari non progetta macchine desideranti ma che corrono. Cosa desiderano le macchine desideranti?
Se c’è desiderio, il senso comune presuppone la sessualità. Ebbene, nell’Anti-Edipodi senso comune ce n’è poco; di riferimento sessuale ancora meno; si parla per dritto e per traverso di Edipo come complesso familiaristico, ma si parla poco di sessualità. Sfogliandolo fino a pag. 243, ho trovato un’unica citazione, dove si parla di “storia sessuale del desiderio (non ce ne sono altre)”.
Ho l’impressione che il corpo senza organi, di cui parla l’Anti-Edipo, sia un corpo senza organi sessuali. Sono molto critico nei confronti della mitologia edipica di Freud, ma per demitologizzare il freudismo e passare a più convincenti psicanalisi sistemiche pretendo argomenti più forti.
Maria Nichterlein e John R. Morss provano a salvare Deleuze dall’incomprensione con risultati interessanti. Il loro libro Deleuze e la psicologia si compone di due parti: una pars destruense una construens.
L’argomentazione destruens è facile da seguire. Con Deleuze, gli autori propongono di cambiare l’unità di riferimento della psicologia (della psicanalisi per Deleuze): non più l’individuo ma… lo dico dopo.
Da due anni esatti curo su Psychiatry on lineuna rubrica intitolata “Il soggetto collettivo”. Il primo post (del 29 gennaio 2016), che ancora oggi sottoscrivo, si intitolava Per un collettivo di pensiero psicanalitico. Sono convinto che l’impostazione individualista, con il soggetto in posizione infantile nei confronti di mamma e papà, come dicono Deleuze e Guattari, sia il tallone di Achille del freudismo. È giusta la loro critica all’edipismo; sostanzialmente la condivido, magari con argomenti meno filosofici e più scientifici. Il punto è come uscire dall’infantilismo edipico che, se va bene all’analizzante, all’analista va stretto.
La psicologia delle masse, proposta da Freud, è un derivato edipico. Secondo me non ha futuro, ammesso che abbia mai avuto un presente. (In realtà ebbe un presente nazista). O meglio, ha un triste futuro come banale estensione al collettivo delle narrazioni mitologiche individuali.
Secondo Freud ogni individuo si identifica al Führer; si mette in posizione di figlio rispetto al padre ideale, ma non fa sistema con altri individui, cioè non interagisce con il prossimo. Nella massa freudiana ogni individuo è estraneo all’altro. Il modello geometrico tridimensionale di questa psicologia è il cono, dove tutte le rette concorrono nel vertice (nel caso bidimensionale il modello è il cerchio). È la situazione favorevole al despota, che può governare in base al millenario divide et impera.
Freud non si rese conto che la Massenpsychologie del 1921 era una psicologia a servizio del potere. Su questo punto credo non ci sia molto altro da dire. Il Disagio della civiltà del 1930 più che un dato di realtà è un artefatto della psicologia individualistica. Infatti Freud scrive del “disagio del soggetto individuale nel collettivo”, non del “disagio della civiltà come soggetto collettivo”. Il soggetto freudiano è un individuo senza individui intorno, esclusi mamma e papà, a volte qualche fratellino. Ma di terapia familiare Freud non parla, proprio perché è familiaristico. Non arriva a concepire sistemi di interazioni tra componenti, neppure familiari. In termini topologici, nella massa freudiana l’individuo è un punto isolato: ha un unico intorno, sé stesso.
Deleuze tenta di uscire dall’impasse solipsistica di Freud. E sono alla promessa pars construens. Qui colloco anche il mio contributo positivo alla presentazione del libro Deleuze e la psicologia.
Deleuze costruisce la sua psicologia interattiva sull’agencement. Agencement è il concetto nuovo di cui voglio parlare. Bisogna stare attenti a non confonderlo con “concatenamento”, che in francese si dice enchainement. “Concatenamento” riduce la portata semantica del termine associazione; la limita alla connessione di due elementi contigui in una catena lineare, com’è la catena significante. Agencementha più di una dimensione; significa “sistemazione”, ad esempio, “arredamento” della casa o la “disposizione” delle frasi in un testo.
Deleuze fa un discorso pluridimensionale. Sa bene che diminuendo le dimensioni diminuiscono le interazioni tra elementi. In una catena lineare ogni elemento interagisce solo con due elementi: quelli contigui, uno a monte, l’altro a valle. In un reticolo bidimensionale un elemento interferisce con otto elementi contigui diversi; in un reticolo cubico con ventisei. La complessità del sistema si misura col numero di interazioni, che cresce rapidamente con la dimensione. Insisto sul punto perché sembra che la densità delle interazioni sociali abbia ricadute anche biologiche in termini di densità neuronale a livello della corteccia cerebrale: più interazioni, più neuroni, più fittamente stipati.
Tipicamente l’agencementdeleuziano si riferisce alla topologia di una superficie, detta piano di immanenza. È lì che si sviluppa in orizzontale il rizoma; il rizoma è una struttura collettiva che si sviluppa in modo controntologico; non cresce come ciò che “è”, ma come “e, e, e,…” per variazione e aggiunzione; conquista sempre nuovi territori, cattura e inietta nel terreno dell’immanenza nuove radici. Deleuze è francese, quindi ignora Darwin; per lui non esiste l’albero darwiniano della vita ma un fitto intrico di cespugli, espansi in orizzontale prima che in verticale. Il verticale, se mai, si nutre dell’orizzontale. Oggi è la versione prevalente del darwinismo, in particolare attestata nell’evoluzione degli ominidi.
Di più. Le attuali reti di apprendimento profondo dell’intelligenza artificiale, che consentono di distinguere specie animali differenti o pedoni sulle strisce pedonali, non sono altro che stratificazioni di rizomi collegati a cascata.
Detto questo, devo dichiarare la molla segreta della mia lettura di Deleuze; grazie a lei ho in parte domato il pensiero di Deleuze non meno nomade di quello di Nietzsche. Ho operato una ricodificazione – termine esecrato da Deleuze; ho ricodificato i suoi concetti filosofici in scientifici.
Allora differenza e ripetizione diventano sincronia e diacronia; l’eterno ritorno del differente (non dell’identico) diventa l’infinito, che non è l’indefinito aristotelico; la costruzione di nuovi concetti diventa la messa alla prova di congetture, che tuttavia Deleuze non si cura di falsificare, perché da filosofo qual è opera con il vero e non con il falso. Il piano di immanenza, dove il trascendente è immanente, diventa una superficie topologica dove il dentro coincide con il fuori, l’intimo con l’extimo, direbbe Lacan, come nella bottiglia di Klein, o nella banda di Möbius, dove il recto è il verso.
Cade qui a proposito un breve détour matematico; me lo perdonerete, giusto per chiarire un concetto base della psicologia sistemica di Deleuze. L’umanista ha difficoltà a distinguere tra elemento e insieme,cioè tra l’elemento individuale x e l’insieme {x} tra parentesi graffe, formato dall’unico elemento x ma già collettivo. Parallelamente gli è difficile concepire insieme vuoto, ∅ = {}, senza elementi, che è sottoinsieme universale di ogni insieme, nel senso che è incluso in ogni insieme.
L’insieme vuoto testimonia la precedenza logica della nozione di insieme rispetto all’elemento. Un insieme può essere elemento di un altroinsieme, anzi solo allora è un vero insieme e non una classe propria; per contro un elemento non è per forza un insieme. In termini psicologici il soggetto collettivo (cioè l’insieme) precede il soggetto individuale (cioè l’elemento). Il soggetto individuale non esiste per sé, ma solo come elemento di un insieme, cioè di un soggetto collettivo. Allora la psicologia sistemica precede l’individuale. Deleuze precede Freud. L’uomo discende dagli uomini – ho già avuto modo di dire in questa sede due anni fa (21 settembre 2015).
Il discorso insiemistico ha una valenza topologica. In topologia si dice che un punto è interno a un insieme se gli appartiene con i punti di un suo intorno. Un punto è esterno se è interno all’insieme complementare. Quindi anche i punti esterni sono interni a qualche insieme. La differenza topologica è tra punti interni e punti di frontiera, che non sono interni né all’insieme né al complementare.
Le classiche distinzioni psicologiche tra dentro e fuori, proiezioni e introiezioni, realtà psichica ed effettuale non hanno consistenza topologica. Esiste un algoritmo topologico che trasforma con continuità la faccia interna di una sfera o di una ciambella nella sua faccia esterna. Se l’esterno del soggetto individuale è il soggetto collettivo, esso è anche il suo interno. Non esistono fantasmi o paranoie solo individuali; le paranoie individuali si nutrono di fantasmi collettivi. Gli attuali populismi sono grandi fantasmi paranoici collettivi dove si innestano i piccoli fantasmi individuali di persecuzione e grandezza.
L’operazione di ricodifica scientifica mi consente di evitare la sterile influenza del vitalismo alla Bergson – l’élan vitale– sul pensiero di Deleuze. La mia ricodifica del pensiero di Deleuze fa posto alla funzione della variabilità, tipica funzione scientifica. Deleuze la ritraduce nella vecchia terminologia del divenire come agencementin perenne movimento nel piano di immanenza. Il piano di immanenza sarebbe allora la vita. (cfr. G. Deleuze, L’immanenza: una vita… “aut aut”, 271-272, 1996, p. 4, uno dei suoi ultimi scritti, praticamente il suo biotestamento). Non condivido l’esito vitalistico deleuziano. La vita come la morte non si concettualizza; conviene lasciarla lì dov’è, finché c’è. La morte, direi parafrasando von Klausewitz, non è altro che il prolungamento della vita con altri mezzi.
Le filosofie della vita, in versione biopolitica, oggi di moda, sono ideologie indecidibili: non si possono né dimostrare né confutare; sono impensabili, ma si vendono come trascendentali. Perciò vanno bene per giustificare le operazioni di controllo della vita del popolo da parte del despota. In definitiva quel che va conservato della nozione di agencementè la dimensione epistemica: il movimento nomade del pensiero prima che dell’essere. Diceva Cartesio quattro secoli fa nella Seconda meditazione metafisiche: gaudet aberrare mens mea necdum se patitur intra veritatis limites cohiberi.
Come concludere?
Deleuze fu un vero empirista. Se la psicologia diventasse una pratica empirica, guadagnerebbe in onorabilità – sostengono gli autori del libro qui presentato. Diventerebbe sì una scienza minore, ben diversa dalla professione legale, anche se un gradino sotto la medicina, sempre a servizio del potere.
Ho detto “pratica empirica”. Cosa si intende con empirismo? “Che tutta la nostra conoscenza cominci dall’esperienza, su ciò non c’è alcun dubbio”. Forse non tutti i presenti riconosceranno nell’affermazione l’incipit della prima critica di Kant. Ma Deleuze non è kantiano. In lui non è all’opera il trascendentale che precede e salva l’empirico. Per Deleuze l’empirico si costruisce – il termine deleuziano è “si produce” – insieme e al tempo stesso del trascendentale; ogni evento empirico ha il proprio particolare trascendentale nel piano di immanenza. La sincronia determina la diacronia, la languela parole. L’empirismo di Deleuze, come l’intuizionismo di Brouwer, è costruttivista.
Volendo, potete chiamarla psicologia sistemica, quella di Deleuze. Allora lascio la parola ai sistemici veri e propri, ai cultori di psicologie non individualistiche e ringrazio per l’attenzione.

Bibliografia

Deleuze, G. (1975), L’Anti-edipo,Torino, Einaudi.
Deleuze, G. (1997), Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina.
Deleuze, G. (1996), “L’immanenza: una vita…”, “aut aut”, 271-272, p. 4.
Deleuze, G.; Guattari, F. (1991), Che cos’è la filosofia?, Torino, Einaudi.
Freud, S. (1921 [1970]), Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in Opere, vol. 9, Torino, Bollati Boringhieri.
Freud, S. (1930 [1975]), Il Disagio della civiltà, inOpere, vol. 10, Torino, Bollati Boringhieri.
Nichterlein, M; Morss, John R. (2017), Deleuze e la psicologia, Milano, Raffaello Cortina.