di Arianna Girard
La psicoterapia sistemico-relazionale è sempre più diffusa in tutto il mondo e molti sono i colleghi che adottano il Milan Approach nella loro pratica clinica e non solo.
In occasione del Congresso Nazionale delle Scuole del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, avvenuto il 20 e 21 Novembre 2021, si sono connessi via ZOOM più di 200 colleghi provenienti da diverse parti del mondo, per riflettere su quali sono le influenze del Milan Approach nelle psicoterapie e su come le idee cambiano e si trasformano nei diversi contesti, clinici e non, all’interno di un sistema più ampio in cui il Paese di appartenenza può fare la differenza.
Sono state raccolte le testimonianze di colleghi provenienti dal Messico, dalla Svizzera, dalla Cina e dalla Grecia, partendo dalla richiesta di riflettere su come le idee di Boscolo e Cecchin si sono rivelate utili e hanno influenzato il lavoro, in questo momento storico di forte accelerazione dei cambiamenti dovuti anche dalla pandemia in corso.
I relatori sono stati invitati a portare un contributo partendo dalle domande: Qual è lo stato dell’arte della psicoterapia (sistemica) nel tuo Paese? Quali idee del Milan Approach si rivelano utili nella tua pratica clinica? Quesiti ampi, che hanno permesso di spaziare tra Paesi e culture differenti, toccando alcuni concetti ricorrenti, tra cui:
- le influenze sociali, politiche, economiche del contesto di riferimento e la tipologia di richieste di aiuto;
- il riconoscimento del ruolo del professionista psicoterapeuta e la sua formazione sistemica;
- la diffusione della psicoterapia sistemico relazionale e delle idee di Boscolo e Cecchin.
Dalla Cina Micol Ascoli e Siyi Zhu
Micol Ascoli, psichiatra e psicoterapeuta italiana lavora in Cina dal 2020 e insieme alla collega psicologa Siyi Zhu in occasione del convegno, ha portato la propria esperienza clinica “occidentale” collocandola dentro a una cornice di senso data da una lettura storica dei cambiamenti socio culturali della Cina, a partire dalle società patriarcali del diciannovesimo ad oggi.
Racconta che per quanto la struttura delle famiglie si sia evoluta nel corso dei decenni, lasciandosi alle spalle l’imponente presenza di grandi clan allargati, ancora oggi, è connotata da un’idea di “collettivismo” che lascia poco spazio all’individualismo dei membri.
Le onde lunghe dei cambiamenti socioculturali portano a concepire il benessere individuale interdipendente da quello della famiglia di origine, nel bene e nel male, fattore che porta i genitori cinesi ad accogliere favorevolmente le psicoterapie familiari come possibili soluzioni dei problemi dei figli, differentemente da quanto accade abitualmente nelle famiglie di origine occidentale.
La Dott.ssa Ascoli, partendo dagli studi del Professore Zhao Xudong dell’Università Tongji di Shanghai, offre una descrizione delle famiglie cinesi attuali, fortemente influenzate dalla “one-child policy” degli anni ‘80 e caratterizzate oggi dalla presenza di figli unici e dal fenomeno “4-2-1”, ovvero quattro nonni, due genitori e un solo figlio, spesso viziatissimo e sul quale si polarizzano le aspettative di successo oltre che dei genitori anche dei nonni. Abbinato a ciò, può avvenire che in famiglie in cui è assegnato al padre il ruolo del sostentamento economico, si trovano così le dette “madri tigre” che incitano una sfrenata competitività nel figlio all’interno del contesto scolastico e “madri elicottero” particolarmente intrusive nella vita del figlio unico, che sorvolano monitorando e atterranno all’occorrenza nella dimensione privata del ragazzo.
Le psicoterapie familiari avvengono in un contesto culturale in cui lo psichiatra e lo psicoterapeuta, vengono concepiti come figure d’autorità a cui rivolgersi con lo scopo di ricevere ricette-soluzioni e indicazioni su come comportarsi, verità e chiarimenti su cosa sia giusto e cosa sbagliato. Ecco che la figura del terapeuta sistemico-relazionale, che concepisce la terapia come uno spazio di ampliamento delle libertà possibili, può entrare in difficoltà se non tiene conto delle premesse socio-culturali dei pazienti che incontra. Micol Ascoli nel raccontare la sua esperienza nei panni di terapeuta occidentale in Cina, ci porta a ragionare su quanto avviene anche in Italia, ogni volta in cui il terapeuta si trova a dover rispondere alle richieste di certezze dei pazienti, ponendo l’attenzione al rischio di essere eccessivamente rigido o prescrittivo. Alcune idee cliniche sistemiche del Milan Approach sembrano avere successo anche con le famiglie cinesi (es. le domande circolari, le domande ipotetiche sul futuro, l’assegnazione di compiti e rituali). Con alcuni pazienti, per esempio giovani e adolescenti cinesi, alle prese con problematiche relative all’identità di genere, uno stile terapeutico non prescrittivo e affine al Milan Approach si può rilevare un valido spazio di relazione e cura ed è apprezzato e ricercato. Tuttavia, come ci si può aspettare, non tutte le idee sistemiche di Milano sembrano funzionare con i pazienti cinesi. In alcune terapie familiari per esempio, si possono attivare forti resistenze (con possibile riacutizzazione dei sintomi ansiosi) a fronte di alcuni interventi che in effetti ai nostri occhi potrebbero sembrare “strategici”, per esempio in casi in cui si vogliano facilitare i processi di individuazione dei figli o altri in cui l’intento sia di riequilibrare ruoli o poteri, per esempio enfatizzando lo status della moglie o dei figli. Infine, alcune tecniche di terapia familiare sembrano essere molto difficili da proporre, come le sculture familiari o l’espressione diretta delle emozioni, mentre diventano più accettate modalità più creative, come le allegorie, le storie e le metafore.
Per quanto negli ultimi decenni sia aumentato l’interesse verso la psicoterapia e la psicoanalisi, Micol Ascoli riporta la presenza in Cina di uno stigma verso la malattia mentale e la figura dello psichiatra e, quindi, bassi tassi di accesso ai servizi di sostegno psicologico. Ma anche questo va letto tenendo presente il contesto socioculturale. Da un lato il Partito Comunista si prende “cura” delle persone offrendo servizi di sostegno, sotto forma di percorsi di mediazione e consulenza per diffondere “l’armonia tra le persone” all’interno delle proprie sedi dislocate sul territorio, dall’altro la medicina cinese tradizionale è diffusissima tanto da avere interi ospedali completamente dedicati. In una cultura altamente “collettivista”, esistono, quindi, numerosi mezzi per trovare sostegno oltre alla psicoterapia (es. gruppi di auto mutuo aiuto anche online, comitati locali eletti dai residenti, il Partito Comunista stesso) che, per quanto a noi terapeuti occidentali possano sembrare sistemi di “controllo sociale”, sono largamente diffusi e trovano una loro funzione di cura, coerentemente con il sistema e il contesto.
Dalla Svizzera Michele Mattia
Michele Mattia, psichiatra e psicoterapeuta sistemico-relazionale di origine italiana, si è formato come psicoterapeuta al CMTF e ha portato il Milan Approach in Svizzera, dove pratica la professione privatamente da quasi vent’anni con un team di colleghi psicologi e psicoterapeuti di differenti orientamenti.
Nel portare la sua testimonianza si è focalizzato in particolare sul contesto socio-culturale in cui opera. Il primo elemento che spicca è la diversità. Ci racconta di un Paese, la Svizzera, caratterizzato da una forte multiculturalità e un sistema di inclusione ancora parzialmente rigido: 24 cantoni e 4 lingue parlate, di cui solo il 10% è l’italiano, un tasso di immigrazione elevato (27% di persone immigrate che provengono da tutto il mondo), tant’è che solo a Lugano sono presenti più di 135 nazionalità differenti. Un secondo elemento riguarda la competitività capitalista degli ambienti lavorativi altamente orientati alla prestazione e alla performance, il che porta al manifestarsi di stress e disagi relazionali.
Anche la dimensione della cura sembra essere soggetta a una dinamica della fretta e della riduzione dei tempi, in cui il paziente, di fatto poco “paziente”, ricerca soluzioni rapide ai problemi che si trova ad affrontare nella vita quotidiana. In questo contesto per il terapeuta sistemico-relazionale non sempre è facile accompagnare il paziente verso una dimensione della riflessione su di sé, dell’analisi relazionale e dell’esplorazione dei sistemi e dei sottosistemi.
Di fatto gli orientamenti di psicoterapia più diffusi sono quello psico-analitico (32%) e cognitivo comportamentale (19%), solo il 12% è sistemico relazionale. Questi trovano particolare spazio in presenza di disturbi della condotta alimentare, schizofrenie, disturbi dell’attenzione e iperattività, disturbi d’ansia e psicosomatici, disturbi relazionali di coppia e delle famiglie.
Sono molte le richieste di cura psicologica che arrivano anche nel privato e non solo da soggetti facoltosi. Questo è dovuto non solo a causa della presenza di disagi trasversali a tutte le fasce di reddito, ma anche perché la psicoterapia in Svizzera per una buona parte viene riconosciuta dal sistema sanitario nazionale che, seppur organizzato con un meccanismo di rimborsi sanitari, permette a un gran numero di persone di accedere ai servizi di cura senza avere un esborso personale significativo.
Negli studi privati si incontra ogni tipo di paziente e il terapeuta si trova ad entrare in contatto con la diversità. Ecco che idee del Milan Approach, come la neutralità, l’attenzione ai pregiudizi e la curiosità, diventano strumenti imprescindibili al lavoro terapeutico. Particolarmente utile esercitare un modo di pensare aperto, non focalizzato sulla risoluzione del problema, ma che introduce nel sistema di cura, tutte le persone significative e non solo il paziente che si rivolge al servizio.
Infine, le riflessioni scaturite anche a fronte del dibattito e delle domande, arrivano a toccare il tema delle violenza intrafamiliare (significativamente aumentate con la pandemia) e di come il terapeuta talvolta si trova a non toccare determinati argomenti in terapia. Il dott. Mattia, chiude ricordando il principio di curiosità terapeutica, che permette al terapeuta sistemico di non chiudere gli occhi di fronte ai problemi portati dal paziente e di andare oltre, senza timore di cogliere anche sofferenze che vanno al di là di quello per cui egli si senta preparato.
Dal Messico Ricardo Rosas
Ricardo Rosas, psicologo e psicoterapeuta e professore universitario, si connette da Guadalajara, portandoci un’indagine sullo stato dell’arte della psicoterapia in Messico. Racconta di un Paese con un gran numero di colleghi, quasi 300 mila professionisti psicologi, tanti quanti i medici. Una grande diffusione della professione dovuta al fatto che in realtà non è regolamentata come in Italia. Lo psicologo pur essendo una figura molto diffusa appare poco formata e specializzata: non esistendo una legge che differenza lo psicologo dallo psicoterapeuta, solo in pochi svolgono studi di specializzazione successivi alla laurea.
Dalla descrizione emerge una società ancora patriarcale, il che ha risvolti non solo nelle vite dei pazienti, ma anche in quelle dei professionisti. Le differenze di genere sono evidenti: con una maggioranza di psicologhe (7 su 3) e pazienti donne che preferiscono recarsi da professionisti uomini, che si trovano, dunque, con molti più pazienti rispetto alle colleghe.
La maggioranza degli psicoterapeuti lavorano nelle strutture private e non pubbliche, con un guadagno medio piuttosto basso, che richiede al professionista spesso di dover svolgere anche un secondo lavoro (formatore, consulente, insegnante).
Secondo le statistiche solo due persone su dieci chiedono un sostegno psicologico e con molta probabilità appartengono alla classe medio-alta, rivolgendosi a professionisti privatamente. Nel pubblico, infatti, esistono servizi di sostegno che gestiscono le “urgenze” e i casi gravi, senza però una vera e propria presa in carico. In questi contesti, la terapia cognitivo-comportamentale è quella più affermata, mentre negli studi privati non è così diffusa. Sembrano essere più apprezzati approcci psicoanalitici moderni, relazionali, gestaltici, sistemici relazionali. Inoltre sembrano particolarmente avere successo le costellazioni familiari (B. Hellinger), decisamente molto ricercate e ben pagate, spesso abbinate al modello narrativo di M. White.
La terapia sistemico-relazionale dagli anni ‘90 in Messico, si è diffusa all’interno di percorsi di formazione universitari della durata di due anni, in cui di fatto viene insegnato anche il Milan Approach, anche se quello della prima cibernetica, fermo agli anni ‘80 di “Paradosso e Controparadosso”: molti psicoterapeuti sistemico-relazionali messicani, ancora oggi ignorano la separazione avvenuta tra Selvini-Palazzoli e Boscolo-Cecchin.
Ecco che, quindi, i terapeuti sistemico-relazionali messicani si muovono in una cornice della prima cibernetica, apprezzando molto le domande circolari e la connotazione positiva di via Leopardi. Questo perché di fatto la formazione dei terapeuti messicani essendo ridotta a soli due anni non riesce ad addentrarsi nella complessità della seconda cibernetica. Nell’arco dei due anni dei percorsi di formazione sistemici, vengono affrontati cinque approcci differenti (la terapia strategica, la terapia strutturale di Minuchin, il Milan Approach, la terapia narrativa di M. White, il conversazionalismo di Andersen) senza andare davvero a fondo in nessuno di essi.
Il dott. Rosas, riportando la sua esperienza di docente, condivide il fatto che gli allievi psicologi pur apprezzando il suo modo di fare terapia, spesso trovano il Milan Approach, rispetto alla terapia di Minuchin o alla terapia strategica, troppo complesso e difficile da applicare nella pratica clinica.
Ecco che i 20 anni di lavoro di Riccardo Rosas si rivelano davvero preziosi: l’idea è quella di avviare un approfondimento del Milan Approach e aprire i colleghi messicani alla seconda cibernetica invitando molti didatti di via Leopardi a Guadalajara a portare la loro esperienza all’interno dei percorsi di formazione per psicoterapeuti.
Dalla Grecia Fany Triantafillou
Fany Triantafillou, psicoterapeuta sistemico-relazionale, si connette dalla Grecia introducendo una ricostruzione video della durata di 30 minuti realizzata dal team editoriale della rivista sistemica online Metalogos (metalogos-systemic-therapy-journal.eu).
Il video è una narrazione che traccia i percorsi del pensiero e agire sistemico dal passato, significativamente influenzato da Gianfranco Cecchin, alle odierne mescolanze e giustapposizioni tra teorie e pratiche. La storia e lo sviluppo di Metalogos riflettono le storie professionali personali e collettive dei colleghi greci, che hanno contribuito all’evoluzione della sistemica in Grecia (in particolare della zona settentrionale). Riflettendo in un intreccio tra passato e presente si proiettano verso il futuro e lanciano un quesito: stiamo avanzando verso ecologie transcontestuali?