Da un video di Petros Polychronis, Metalogos 39
https://www.metalogos-systemic-therapy-journal.eu/en/issue/article/39-04
traduzione di Elena Karliampa
Da Metalogos Systemic therapy journal, edito da SEVE, Associazione Sistemica Ellenica del Nord – Systemic Association of Northern Greece Systemic Ass. Systemic Association of Northern Greece.
In questo numero di Connessioni pubblichiamo un contributo di Metalogos dal sapore speciale, stima e tristezza lo accompagnano. Vogliamo ricordare il collega Petros Polychronis, deceduto recentemente. Psichiatra infantile, psicoterapeuta di gruppo e familiare, formatore e supervisore, collaborava da tempo con il gruppo di Metalogos ed era Direttore dell’istituto AKMA (Athenian Institute of Anthropos), tra i primi centri a praticare la terapia familiare in Europa. Era membro fondatore dell’Associazione Europea di Terapia Familiare (E.F.T.A.), dell’Associazione Ellenica per il Pensiero Sistemico e la Psicoterapia Familiare e della Società Greca per la De-Istituzionalizzazione e la Salute Mentale. Agli amici di Metalogos e alla moglie, Kyriaki Polychronis, vanno le nostre condoglianze. L’articolo che qui presentiamo appare in Metalogos in formato video.
Cari amici, Metalogos desidera salutare il nostro amato Petros Polychronis, e ha in programma un grande tributo a lui nel prossimo numero 41 (luglio 2022). Vi invitiamo a collaborare inviandoci un vostro contributo, in testo e video, per onorare in modo creativo questo grande collega – un Umanista che continuerà a guidare la nostra vita.
Penso che il prossimo secolo sarà il secolo della complessità
Stephen Hawking
Voi siete le vostre reti
Geoffrey West
I sistemi complessi e viventi secondo Capra sono autopoietici e autotrascendenti. Quando un sistema complesso si sbilancia, emergono le opportunità della creatività e di nuovi significati – tra le molteplici alternative – nell’ambiente in continua evoluzione. Questi nuovi significati creano, richiedono e rendono possibile una forma di attivismo che riguarda il rapporto del sistema complesso con se stesso e il suo ambiente.
Visto che ho cercato di condensare questo materiale molto ricco di cui voglio parlare, ho dovuto pensare ai miei eroi per sostenermi nella dimostrazione di un punto specifico. Ricordo sempre che George Vassiliou mi diceva “concentrati su un punto”, mentre io ho sempre voluto raccontare tutto, mostrare che sapevo molto, includendo il più possibile. Tuttavia, quando ho fatto così, è stato un disastro, ma quando mi ricordavo di quel “punto”, riuscivo sempre a ottenere qualcosa. I primi eroi, ovviamente, saranno i miei maestri, la coppia Vassiliou (George e Vasso Vassiliou, pionieri della Terapia Familiare Sistemica in Grecia).
Va innanzitutto detto che L’AKMA (Athenian Institute of Anthropos), non è nato come scuola di psicoterapia, ma come un centro attivista. L’idea del centro è nata quando Vassiliou si trovava in una valle piena di ossa di partigiani e soldati, che avevano combattuto durante la guerra civile. La priorità a quel tempo era rinnovare le strade, ricostruire l’economia, mentre lui si era chiesto: “Cosa faremo con le persone che si sono massacrate?” e aveva concluso che dovevamo creare un centro per l’essere umano. Così è nata l’idea, e nel processo di miglioramento della comprensione dell’essere umano e dei fenomeni che lo caratterizzano, i fondatori hanno incontrato il pensiero sistemico e lo hanno fatto loro come strumento per comprendere il mondo, e questo strumento li ha aiutati a prendersi cura delle persone. I terapeuti, tornando in Grecia dopo essersi formati secondo il sistema americano di terapia familiare e di gruppo, si sono resi conto che questo era molto estraneo alla realtà che affrontavano, e per questo nei primi anni del loro lavoro hanno studiato la cultura locale. In altre parole, hanno cercato di capire come queste specifiche persone vivono e comprendono significati, in quanto buon padre, buona madre, buon coniuge, cosa è giusto e cosa è sbagliato. Hanno fatto molte ricerche per capire prima di intervenire, e per questo venne organizzato un simposio dal titolo “Terapia familiare in contesto”, che si svolse a Lesbo. La prima volta che abbiamo visto la terapia familiare a Boston era molto diversa da quella di Mitilene.
E ciò è continuato per molti anni, infatti, cinque anni fa, il centro ha realizzato un progetto di integrazione, per favorire la convivenza tra migranti, minori afgani e pakistani, e la popolazione locale, che fino ad allora vivevano in reciproca ostilità. E questo lavoro è andato molto bene, anche se è stato cancellato dalla politica e dai finanziatori pubblici. Quello che sto dicendo, quindi, è che a monte della nascita di AKMA e nella sua pratica, c’è stato un attivismo. Spero che con questa conferenza il nostro spirito attivista possa intensificarsi.
Un’altra persona a cui mi riferirò è Fritjof Capra. Il video che verrà presentato è tratto da un film in cui propone le sue idee. Il titolo del film è Mindwalk ed è stato realizzato dal fratello di Capra. In una scena son presenti un politico che voleva correre per le presidenziali americane, il suo scrittore di discorsi e una terapeuta sistemica.
– Chi lo sa? Potresti avere quel pezzo vitale di informazione che noi politici… venali e stupidi come siamo ci siamo lasciati sfuggire per tutto il tempo.
– Ecco, pensi in termini di pezzi, I pezzi sono tutto ciò che abbiamo del quadro, solo frammenti.
-Dai fammi qualche esempio
– Beh, prendiamo ad esempio il problema della popolazione. Non puoi risolverlo guardando le diverse forme di controllo delle nascite in modo isolato. La ricerca ha dimostrato più e più volte che il controllo delle nascite più efficace non è la pillola. È il miglioramento sociale ed economico che riduce il desiderio di famiglie numerose. Lo sai che ogni giorno 40.000 bambini muoiono di malnutrizione e malattie prevenibili? Uno ogni due secondi, adesso, e adesso, e adesso… Ma la breve vita di questi bambini non può essere vista isolatamente. Fanno parte di un intero sistema che include economia, ambiente e più specificamente il debito altissimo dei paesi del terzo mondo. L’onere non colpisce coloro che hanno creato lo squilibrio, colpisce coloro che lo subiscono.
Il dialogo continua e una persona afferma:
– Un cartesiano guarderebbe l’albero e potrebbe concettualmente farlo a pezzi. Ma poi non potrebbe comprendere la natura dell’albero. Un pensatore sistemico guarderebbe l’albero e vedrebbe lo scambio stagionale tra albero e terra, terra e cielo. Vedrebbe il ciclo annuale, che in realtà è un grande respiro che la terra fa attraverso le sue foreste, fornendoci ossigeno. Un respiro di vita, che collega la terra con il cielo e noi con l’universo. Il pensatore siistemico guarderebbe l’albero e vedrebbe la vita dell’albero in relazione alla vita dell’intera foresta. Vedrebbe l’albero come un habitat per gli uccelli, una casa per gli insetti. Ma se guardi l’albero e cerchi di capirlo come qualcosa di separato, rimarrai colpito dai milioni di frutti che sta producendo nel corso della sua vita, perché solo uno o due alberi cresceranno da questi frutti. Ma se guardi l’albero e lo vedi come elemento di un sistema vivente più ampio, quella quantità infinita di frutti avrà senso perché centinaia di animali e uccelli della foresta sopravviveranno grazie a questi. Interdipendenza. E l’albero non può sopravvivere da solo. Per attingere acqua dal terreno, ha bisogno del fungo che vive nella sua radice e il fungo ha bisogno della radice per sopravvivere e la radice ha bisogno del fungo. Se muore uno, muore l’altro. E ci sono milioni di relazioni del genere nel nostro mondo, ognuna dipendente l’una dall’altra per tutta la vita. La teoria dei sistemi riconosce questa rete di relazioni come l’essenza di tutti gli esseri viventi. Solo i disinformati chiamerebbero questa nozione come ingenua o romantica, perché questa dipendenza che condividiamo tutti è un fatto scientifico.
-Una rete di relazioni?
-Sì, ma solo questa volta è la rete della vita stessa. La teoria dei sistemi viventi in realtà fornisce uno schema di risposta all’eterna domanda: che cos’è la vita?… Un sistema vivente è autosufficiente, auto-rinnovante.
[…]
-Che cosa significa auto-mantenimento?
-L’auto-organizzazione non è solo riferita ai sistemi viventi che si mantengono e si rinnovano continuamente. Significa anche che hanno una tendenza intrinseca a trascendere se stessi, a raggiungere e creare nuove forme. La dinamica di base dell’evoluzione non è l’adattamento, ma la creatività. La creatività è l’elemento base dell’evoluzione. Ogni organismo vivente ha un potenziale creativo, per sorprendere e trascendere se stesso. Vedi, l’evoluzione è molto più che adattamento all’ambiente. Perché cos’è l’ambiente se non un sistema vivente che si evolve e si adatta creativamente? Quindi cosa si adatta a che cosa? L’uno all’altro, co-evolvono. L’evoluzione è una danza in corso, una conversazione in corso.
-Noi siamo un sistema e il pianeta è un sistema. Non evolviamo sul pianeta, evolviamo con il pianeta.
Questo film mette in luce il limite di tagliare a pezzetti, come più volte ci ha detto Bateson. Più avanti ci sarà un esempio e vedrete quanto ho sbagliato con una famiglia perché ho spezzettato il sistema. Il secondo punto è che cos’è un albero agli occhi del pensatore sistemico. Che è esattamente il concetto di complessità. Una volta che vediamo tutta questa complessità, capiamo, prima di tutto, che non possiamo tagliare a pezzi, e in secondo luogo capiamo che c’è adattabilità, che era il punto che mi interessava maggiormente. E una domanda che sorge è se questa coevoluzione riguardi anche il rapporto tra terapeuta e paziente, di cui parlerò più avanti.
E ora vorrei parlare del mio terzo eroe, Simone Weil. È una filosofa esistenzialista che ha combattuto con gli anarchici in Spagna. È stata la prima della sua classe in filosofia, la seconda era Simone de Beauvoir. Una cosa importante che dice è che il dolore è al di sopra e al di là delle ideologie. In realtà afferma che: “Se non sperimento da questa posizione il modo in cui vivono i lavoratori, non sono credibile perché lo vedo da fuori e non lo percepisco”.
Simone Weil ha influenzato molto la psicologia esistenzialista. Aveva cinque idee guida, mi riferirò però molto brevemente solo a due. Diceva che ci sono cinque cose importanti. La prima è l’infelicità, la seconda è l’attenzione, la terza le nostre radici, la quarta la resistenza e la quinta il sacro. Per quanto riguarda l’infelicità, si è concentrata sul fatto che il potere trasforma chiunque sia sotto il suo controllo in un oggetto. Si riferiva agli operai e ai dipendenti, il potere li trasforma in un oggetto. E penso che questo valga anche ai nostri giorni. Riguardo alle nostre radici, commentava molto l’alienazione perché l’ha vissuta in famiglia. E riguardo al sacro, stava parlando di qualcosa che penso sia legato alla creatività che abbiamo visto prima. Diceva che l’essere umano ha una tendenza ad avvicinarsi a Dio. E con ciò si riferiva al fatto che l’essere umano, attraverso la potenzialità di amare l’altro, è in grado di tendere alle relazioni con il sacro. Direi quindi che, ad un certo punto, si incontra con Bateson. Bateson diceva che ci sono luoghi che la coscienza umana non deve raggiungere, riferendosi al sacro. Simone Weil, stava cercando di perforare il velo della coscienza e di integrarsi nel mondo per come è realmente. Stava abitando nella sua filosofia. In altre parole, viveva nel modo in cui vedeva il mondo e la sua filosofia. Considero questa condizione una forma di attivismo. Da qui iniziato il suo attivismo, e la sua decisione di combattere nella guerra civile spagnola e così via. Ma questo, come ci interpella, in quanto terapeuti sistemici familiari?
Adesso vorrei fare un esempio tratto da un percorso con una famiglia. Una madre mi ha chiamato al centro, mi ha chiesto di indirizzarla a qualcuno con cui suo figlio potesse fare un test WISC, figlio che frequenta la seconda media. Conoscevo la famiglia, l’avevo incontrata undici anni prima, per un motivo diverso, quando il figlio era molto piccolo, un bambino. E conoscevo il nonno del ragazzo. Provenivano da una famiglia aristocratica del Peloponneso. Quindi la madre, riprendendo il contatto del nonno, e il fatto che li ho visti prima, mi ha chiamato e ha chiesto il test. Le ho detto che sarebbe stato meglio fare una sessione familiare, perché il test è stato chiesto dalla scuola del ragazzo, ma non è bene fare quei test quando qualcuno li richiede sospettando difficoltà di apprendimento. Lei mi rispose: “sì, ma dobbiamo rispettare le scadenze per consegnare il documento, quindi per favore facciamolo e poi possiamo fare la seduta familiare”. Così ho accettato, ho ceduto all’autorità della scuola. Mi chiama di nuovo e chiede una valutazione psichiatrica del bambino, perché lo abbiamo portato da uno psicologo dell’età evolutiva e lui ci ha detto che probabilmente il bambino è nello spettro autistico. Inoltre, c’era anche un parente della famiglia, uno psichiatra, e ha detto che abbiamo molte persone in famiglia nello spettro autistico, rafforzando quindi tale ipotesi. Ho insistito e sollecitato la sessione familiare, e ancora una volta la mia richiesta ha ricevuto la stessa risposta, che avevano bisogno di consegnare il documento nella scuola. Ho detto va bene, il ragazzo verrà visto da uno psichiatra infantile in grado di fare una diagnosi e una valutazione, ma non ti daremo alcun documento prima di fare la sessione familiare, come avevamo concordato.
Quindi sono arrivati per la sessione familiare, e ci sono arrivati con due “diagnosi” aperte: le difficoltà di apprendimento e l’autismo. Questo ragazzo è il terzo figlio, le prime due sono femmine. È nato con inseminazione artificiale perché volevano un altro figlio. Il mio sospetto è che volessero un maschio per continuare il nome della famiglia. Quindi questo ragazzo è nato dopo il loro quarto tentativo. Successivamente è nata un’altra ragazza, questa volta senza inseminazione artificiale, e del tutto inaspettata. Quindi il ragazzo è il terzo di quattro figli. Le due sorelle sono campionesse sportive, la seconda sorella è stata premiata a livello internazionale. Quindi possiamo capire che questo ragazzino, che è anche il ragazzo maschio della famiglia, non ha avuto altra scelta che distinguersi. Quindi sono venuti alla sessione di famiglia e ho iniziato a parlare con il ragazzo per un po’. L’ho trovato molto comunicativo ed emotivamente presente. L’autismo era stato proposto perché non gli piacciono i cambiamenti e perché manifesta qualche ossessione. Solo questi erano i motivi che li avevano portati a pensare che fosse autistico.
Ad un certo punto, quando hanno menzionato le figlie eccellenti negli sport, ho detto “bravi, avete tanti campioni in famiglia”, e la madre ha risposto: “Sono molto favorevole allo sport di alto livello. Hai un’opinione diversa?”, quindi mi ha chiesto cosa ne pensassi. All’inizio ero sconcertato perché non volevo dire la mia opinione, temendo che saremmo andati in conflitto. Mi accorgo che ho dimenticato di dire come sono arrivati. Sono comparsi la madre e il ragazzo, da qualche parte in sottofondo ho intuito la presenza del padre, che ci ha raggiunto 5 minuti dopo a causa di un impegno di lavoro, e ha facilitato la comunicazione usando il suo cellulare, le figlie non hanno partecipato. Ho chiesto loro, essendo una sessione di famiglia, dove fossero gli altri componenti. Mi hanno risposto che non avevano capito ecc. Sai com’è, è il paziente “designato” che deve venirci. “L’ultima, la più piccola, sta dormendo, devo andare a svegliarla?” “No”, ho risposto, restiamo come siamo e vediamo. Quindi la madre ha accennato a questa cosa dello sport di alto livello, e il padre, da dietro, ha aggiunto che anche il ragazzo ha iniziato, ed è molto bravo e probabilmente sarà anche un campione di Robotica.
Ho chiesto poi al ragazzo come si sentisse al riguardo e lui ha risposto che gli piaceva, gli ho chiesto se è un’attività di gruppo e lui ha risposto che sono 2-3 ragazzi alla volta e che gli piace. Sapete com’è, lui è su internet, con i robot ecc. Ero arrabbiato con la madre per aver spinto i bambini allo sport di alto livello e simpatizzavo con il padre, che timidamente, secondo me, aveva iniziato ad aprire alcune porte. Ad esempio aveva esordito dicendo “sai che stiamo cercando di vedere cosa sta succedendo con il ragazzo, ma ha ottenuto 17 su 20 a scuola. Quando un bambino ha ottimi risultati in fisica e matematica, è un segno che è un bravo studente, la sua media è 17, il problema è che ha 12 in letteratura”. Ho chiesto loro se ne avessero discusso. Ha risposto affermativamente, ma che c’è sempre qualcuno che spinge. Ho chiesto chi stesse spingendo, e lui ha indicato la madre, non l’ha nominata, e siccome era seduto dietro di lei, lei non lo vedeva molto bene. Ha indicato lei. Pertanto, ho iniziato a valutare positivamente il padre, mentre non mi piaceva la madre e, naturalmente, più di tutti, ha iniziato a piacermi il ragazzo, e l’ho utilizzato come co-terapeuta durante tutta la discussione. Non posso ripetere parola per parola la sessione, ma nel suo sviluppo ho percepito che stavo lottando per non farmi strumento dell’autorità. L’autorità della scuola, l’autorità che è la tradizione di famiglia e voleva che il ragazzo fosse un grande, in grado di portare avanti il nome della famiglia.
Tuttavia, dentro di me, mi rendevo conto che li stavo sezionando, ovvero che secondo le parole di Bateson: “la divisione in parti, è un nostro dispositivo di convenienza”. In altre parole, ho scoperto che mi era conveniente dividerli in buoni e cattivi. Ho cominciato quindi a fare quello che non dovevo fare, cioè sdoppiarli dentro di me. E siccome la seduta stava per finire, e io avevo detto loro che era necessario parlare tutti insieme, il padre esordì: “Posso farti una domanda?”. “Sì”, ho risposto, quindi mi chiese: “Quando abbiamo delle ossessioni, come dobbiamo affrontarle?” Ho chiesto un esempio. “Ad esempio”, dice, “non vuole mai essere fotografato. Che sia solo, con le sorelle o con i nonni, non vuole essere fotografato. Come dobbiamo comportarci?” Gli ho detto che era una domanda molto interessante, alla quale non avevo risposta, ma che sarebbe stata una discussione interessante che avremmo potuto affrontare insieme la prossima volta che ci saremmo incontrati. Mi chiese perché tutti insieme.
A questo punto, avendo riflettuto brevemente su questo, gli risposi che li avrei tenuti aggiornati, ma che per me sarebbe stato ingiusto far perdere a qualche membro della famiglia questa opportunità, questa “festa”. Cosa intendevo esattamente? Quando ho riflettuto sulla sessione, e ho pensato ai miei errori, ho capito alcune cose. Prima di tutto mi sono ricordato perché erano venuti dieci anni fa. La madre aveva avuto un incidente d’auto e la figlia più giovane era con lei, e rimase gravemente ferita. C’era il rischio che non riuscisse a sopravvivere, ha trascorso sei mesi negli ospedali e ha smesso di parlare. E ha ripreso a parlare grazie al questo ragazzo, che le era molto vicino e hanno passato tanto tempo insieme, almeno questo è quello che mi hanno detto i genitori: lui l’ha aiutata a parlare. Mi sono anche ricordato dall’ultima storia, che c’era una frase che mi aveva colpitoe che avevo conservato nella mia mente. La suocera aveva detto a questa donna, la madre: “Sai, sei entrata in famiglia” – e io allora avevo pensato che questa coppia non si fosse trovata e si fosse innamorata e si fosse sposata, ma stava entrando in una famiglia. Possiamo capire cosa questo significhi e il suo peso. E poi ho realizzato che ero stato ingiusto con questa madre, perché lei non solo stava entrando in una famiglia diversa dalla sua, ma aveva anche avuto questo incidente che aveva avvilito ancora di più la sua posizione in famiglia. Quindi cercava di diventare degna di appartenere a quella famiglia attraverso gli ideali sportivi di alto livello e così via.
La cosa che voglio dirvi è che, per me, ciò che porta la famiglia attraverso il ragazzo, è un’opportunità per l’autopoiesi. Una possibilità per loro di creare un altro significato: cosa significa essere padre, madre, cosa significa vivere tutti insieme, cosa significa essere una famiglia, cosa ne faremo delle nostre tradizioni. Per me, è un’opportunità per loro di co-evolversi, e ce l’hanno dentro. Ed è stato un mio errore dire che li ha portati il ragazzo. Non li ha portati. Dentro il ragazzo ci sono i punti di forza e le debolezze di tutta la famiglia.
E mi chiedo in primo luogo, qual è l’attivismo? Per cominciare, biasimo in primo luogo me stesso, per averli tagliati a pezzi e raccontare il buono, il brutto e il cattivo in famiglia. Invece, ho bisogno di imparare a vedere la complessità e godermela come una “festa”. In secondo luogo, devo oppormi al sistema scolastico e ad altri sistemi che richiedono la diagnosi e così via. Facciamo attenzione, perché secondo me, con le diverse diagnosi, le etichette e le esclusioni, siamo diventati collaboratori di professione di sistemi di potere che fanno schiantare l’essere umano ai nostri giorni. E naturalmente queste persone, con il lavoro su di sé che faranno, e con il loro potere di autotrascendenza, con la destabilizzazione che arriva attraverso il ragazzo, possono utilizzare questa autotrascendenza per un attivismo personale. Perché questo padre deve confrontarsi con la tradizione di famiglia, oppure deve confrontarsi con la scuola, definire da sé quali sono i suoi sogni e cosa significa prepararsi, crescere insieme ai suoi figli nel mondo di oggi.
A questo punto, a mio parere, hanno una grande opportunità di riformulare le cose attraverso la loro struttura complessa e non attraverso la frammentazione. Il terapeuta deve diventare un attivista contro se stesso e contro lo spazio e il contesto professionale, e il modo in cui questi ci stanno definendo. E ha anche bisogno di diventare attivista principalmente per i sogni per il futuro. La cosa che vorrei che ricordassimo è che Cecchin stava dicendo che, dal momento che le persone vengono in terapia, sono vive, e quando lo disse sorrise. Quello che sostengo è che dobbiamo fare un altro passo. Per me le sedute familiari, la terapia familiare, possono essere l’occasione per celebrare la complessità e anche l’opportunità che la complessità dà a noi e a loro, i pazienti, poiché insieme facciamo sistema, per agire a favore di questa autopoiesi e autotrascendenza, e creatività che abbiamo visto in precedenza nel film. A proposito, Mary-Catherine Bateson, ha descritto questa coevoluzione con la metafora della falce e dei muscoli. Parla dell’uomo che usa la falce, e di come l’uso della falce forma i muscoli di cui ha bisogno, e di come l’uomo e i muscoli e l’uso della falce intervengono sull’ambiente e così via. È una sua metafora perfetta per illustrare la coevoluzione tra l’essere umano e l’ambiente.