A cura di Gianluca Ganda e Walter Troielli
Tra Guccini e Dumas
di Walter Troielli
Vent’anni dopo, tra Guccini e Dumas, da quando mi hai fregato. Ero giovane, ancora più arrogante e montato di quanto non sia tutt’ora, ma per te (e Luigi) stavo facendo un’eccezione: vi volevo conoscere, volevo “imparare” da te, da Voi. Volevo sentire le tue idee, scoprire il tuo modo di pensare, di affrontare la vita, di conoscere le persone. E ti ho incrociato così: mentre io entro al Centro, tu di spalle metti il cappotto (verde, direi) e esci. Sento una mezza risata. E penso che anche in quel (mancato) incontro, con il tempo, passato il dolore che per me si sarebbe sommato al dolore di un’altra perdita professionale un anno dopo, ci sia stata un’infinita serie di opportunità di apprendere e crescere. Anche nell’andartene, sembra tu lo abbia fatto dalla porta dell’irriverenza.
Ciao Gianfranco. Grazie.
Senza risposta
di Igino Bozzetto
Rapallo, fine anni novanta. Convegno nazionale delle sedi del CMTF. Dopo una densa giornata sono seduto a un bar con Gianfranco.
“Gianfranco” gli dico, “a proposito dei tuoi incontri con altri terapeuti, epistemologi, filosofi, quella che hai chiamato cross fertilization. Hai spesso parlato di Goolishan e di von Foester e mi è sembrato che ultimamente fossi interessato ai lavori di Richard Rorty.”
“Vero”.
“Ho letto un articolo in cui il filosofo americano proponeva di affrontare l’impegno civile come se si avessero delle verità da praticare e non la Verità da affermare. Quello scritto mi ha spinto ad approfondire il suo pensiero che ti riassumo in poche parole: non esiste una verità oggettiva di tipo platonico. Vero è ciò che una determinata comunità crede che sia tale sulla base di determinate regole storiche e di verifiche argomentate. Nel libro Contingency, Irony and Solidarity, Rorty afferma che non esistono essenze universali e sovratemporali ma bisogna riconoscere il carattere storico, fugace e contingente delle proprie convinzioni e infine battersi per diminuire la sofferenza e l’umiliazione degli esseri umani.
“Giusto”.
“Un trinomio strettamente collegato ad alcune tue parole-chiave: verità/pregiudizi, irriverenza e curiosità/rispetto…”
“La tirannia del linguaggio… In Paradosso e controparadosso affermammo che l’ostacolo più ostico del trattamento delle famiglie ce l’avevamo dentro. Per poter aiutare i membri della famiglia a comunicare in modo più utile eravamo incorsi nell’errore di utilizzare un codice linguistico presupponendo che la famiglia lo condividesse. Avevamo il pregiudizio che gli esseri umani concettualizzano la realtà secondo un modello lineare, l’idea di causa-effetto. Da metà anni ‘90 ho sostenuto che è inevitabile influenzare le relazioni, lo si fa in modo imprevedibile a causa dei pregiudizi impliciti di chi partecipa alla conversazione. Ogni parola è una tessera di un mosaico, per lo più inconsapevole, costituito dalle nostre premesse implicite che ci aiutano a decodificare, punteggiare e attribuire senso al mondo.”
“E su ironia e solidarietà? Per Rorty tutti abbiamo un repertorio di parole con cui giustifichiamo le nostre azioni e i significati che attribuiamo al nostro vivere: stima, disprezzo, incertezza, progetti, speranze. Gli ironici sanno non prendersi sul serio perché i termini con cui si autodescrivono sono destinati a cambiare. E per la solidarietà, il filosofo afferma che il valore dell’uomo è fondato su un temporaneo consenso su quali atteggiamenti sono normali e quali pratiche giuste o ingiuste. Tu cosa ne pensi?”
Lo chiamarono per la riunione dei direttori e non andammo più avanti. Qualcuno potrebbe rispondere per Gianfranco?