di Maria Puleo, ex allieva Centro Milanese di terapia della Famiglia
Nel mio lavoro di tesi di Specializzazione in psicoterapia dal titolo Trigenerazionale e dipendenze patologiche. Una triade epistemologica per la lettura dell’eziopatogenesi delle dipendenze patologiche, ho sviluppato due parti: una prima in cui ho approfondito la cornice epistemologica, una seconda nella quale ho presentato una breve indagine esplorativa svolta durante la mia esperienza di tirocinio del quarto anno di Specializzazione, con quattordici membri di sei famiglie di utenti di un Servizio Dipendenze Patologiche dell’Asp Palermo, ai quali ho somministrato l’intervista Adult Attachment Interview.
La cornice epistemologica alla quale ho fatto riferimento concerne i tre vertici: sistemico relazionale, teoria dell’attaccamento e costrutto della mentalizzazione.
Partendo dalle ricerche di Cirillo e dei suoi collaboratori (1996) ho sviluppato l’idea che la storia trigenerazionale, i legami familiari carenti/traumatici e l’impensabilità di tali carenze/traumi sono le dimensioni fondanti che connettono i tre costrutti su indicati in una triade epistemologica di riferimento che incardina la dipendenza di un membro della famiglia all’interno di una storia di legami familiari non mentalizzati che si dipana su almeno tre generazioni.
Il tema che ha investito trasversalmente l’intero lavoro di tesi è quello dell’accudimento, delle pratiche ad esso connesse nella costruzione dei legami familiari a livello trigenerazionale e della trasmissione trigenerazionale della carenza (trauma) di accudimento nel processo di costruzione di legami nelle famiglie in cui un membro della terza generazione sviluppa una dipendenza patologica. Nella teoria dell’attaccamento le pratiche d’accudimento assumono una funzione centrale nella costruzione del legame affettivo/emotivo madre-bambino, sulla base della quale il bambino svilupperà il proprio Sé e la propria compentenza/capacità sociale di esplorare il mondo circostante. Sin dai primi istanti di vita del bambino, i due schemi di comportamento del richiedere cure e dare cure vedono mamma e figlio impegnati in una coordinazione emotiva ed interattiva che porta alla costruzione di un legame che divenga per il bambino una “base sicura”(Bowlby, 1988). La continuità e ripetitività delle pratiche di accudimento (cullare, abbraciare, nutrire, consolare, confortare) caratterizzate da pattern comunicativi continui verbali e non verbali (parole, gesti, sguardi, azioni) coordinate mamma-bambino divengono veicolo dei significati emotivo-affettivi che caratterizzeranno il legame madre-figlio. A partire dalla costruzione di tale legame come relazione emotivamente significativa, duratura e stabile, il bambino interiorizzerà dei modelli rappresentazionali relazionali (MOI) di se stesso, dell’altro e della relazione con l’altro che permetteranno al bambino di prevedere e di crearsi un’aspettativa della relazione con l’ambiente e di entrarvi in relazione con uno specifico stile di attaccamento. Anche la madre avrà dei modelli operativi interni che la orienteranno nella relazione con il bambino: l’ interazione coordinata madre/figlio è connessa alla capacità della madre di riconosce il figlio come persona separata, dotata di stati mentali e della capacità di operare continui adattamenti ed aggiornamenti interattivi connessi a tali stati mentali: una madre capace di mentalizzare. Rappresentazione ed interazione divengono due dimensioni sincronicamente coordinate che favoriscono un legame d’attaccamento sicuro oppure insicuro. Facendo ricorso al linguaggio sistemico, possiamo dire che il legame di attaccamento è espressione dell’intersecazione tra: livello sincronico-interattivo madre-bambino e livello diacronico-rappresentazionale della storia della madre e degli effetti pragmatici che essa ha nel presente.
Il modello sistemico-relazionale permette di operare un ampliamento e una complessificazione del campo di osservazione dal legame affettivo madre-bambino allargandolo al legame madre-padre-figlio e ai legami affettivi che caratterizzano la storia trigenerazionale del sistema familiare.
Ciò implica rileggere il tema dell’accudimento e le pratiche ad esso connesse cogliendo il modo in cui le dimensioni del dare cure e del ricevere cure si declinano nella storia familiare e del modo in cui ogni membro costruisce la propria semantica in relazione ai modelli interiorizzati. Tale trama di relazione è caratterizzata dalla coesistenza e continua connessione tra la relazioni della famiglia nel presente e la storia trigenerazionale. Byng Hall (1998) propone i due concetti di copione/script familiare di accudimento e di famiglia come base sicura come “evoluzione familiare” dei concetti di modello operativo interno e base sicura della teorizzazione bowlbyana. Per copione familiare o script familiare di accudimento ci si riferisce alle aspettative condivise della famiglia di come i ruoli familiari debbano essere rispettati all’interno di contesti differenti in relazione alla distribuzione di ruoli tra chi accudisce e chi riceve cure. Quella degli script familiari è una visione che integra i copioni intrarelazionali dei singoli membri della famiglia e i copioni individuali di comportamenti con i modelli operativi interni (Cacioppo, Gori, Guccione 2017). Rappresentazione mentale del copione familiare tramandato a livello trigenerazionale e interazione nella scena familiare che contribuiscono alla costruzione dello scenario familiare di accudimento. Ad esso è connesso il concetto di “base sicura della famiglia” che si fonda sulla consapevolezza condivisa da tutti i familiari che le relazioni di attaccamento vanno protette e non minacciate. Per il bambino, crescere in una famiglia-base sicura ed interiorizzare uno script familiare sicuro significa avere la certezza di potere costruire un senso di fiducia verso gli altri, sia interni che esterni alla famiglia. L’attenzione all’intero sistema familiare di accudimento offre la possibilità di osservare in che modo si costruiscano i legami familiari in termini di di vicinanza/distanza fra i membri e alle posizioni emotive che assumono gli uni rispetto agli altri aprendo una riflessione sul tema degli attaccamenti multipli e dei conflitti di lealtà all’interno del sistema familiare a livello trigenerazionale, in che modo, cioè, la vicinanza fra i vari membri della famiglia escluda o alimenti la relazione con gli altri familiari. Partendo dal modello della CMM di Cronen e Pierce (1983), Byng Hall inscrive gli script familiari d’accudimento all’interno di una gerarchia di significati più ampi condivisi che include i Miti (familiari, culturali, sociali, comunitari) in cui ogni livello diviene il contesto di un altro. I Modelli Operativi Interni, gli Script Familiari ed i Miti familiari si possono osservare all’interno di una “matrice di contesto” in cui sono connessi attraverso livelli gerarchici di significati più ampi della storia familiare trigenerazionale e vanno a costituire quella che è state definita “conoscenza relazionale implicita” (Onnis, 2017). Secondo Onnis, infatti, esiste un “inconscio non rimosso” in cui si depositano emozioni, esperienze, ricordi, che non hanno potuto accedere all’elaborazione della coscienza. L’azione dei modelli operativi interni, degli script e dei miti continua ad essere inconsapevole, ma possiamo definirli dei conosciuti non pensati, una conoscenza relazionale che la persona possiede a livello non consapevole e che può rimanere tale finché gli eventi impongono una traduzione verbale.
Il rapporto tra script familiari e miti familiari è tale che questi ultimi sono le credenze che la famiglia ha di se stessa che orientano gli script familiari e che sono anch’essi depositati nel registro dell’implicito formandosi lungo la storia familiare trigenerazionale sulla base della condivisione affettivo-familiare e che sono divenuti credenze familiari condivise inconsapevoli. La messa in atto del copione familiare d’accudimento viene comunicata inconsapevolmente mediante il simbolismo dell’azione o mediante le metafore linguistiche (Byng Hall, 1998). Ogni storia familiare porta in sé i suoi miti e avrà il proprio “mito fondatore” su cui la famiglia evolve, si organizza e riorganizza nel corso della sua storia trigenerazionale. In seno a tale riflessione sulle pratiche di accudimento, la mentalizzazione è espressione dei legami affettivi ed emotivi che il bambino costruisce con i propri genitori e con la propria famiglia allargata. Tali legami familiari potranno essere connotati da una buona mentalizzazione o da una scarsa o assente mentalizzazione che minaccerà una rottura dei legami familiari e/o determinerà un rottura dei legami. La capacità del genitore a trattare il figlio come individuo dotato di stati mentali (Bateman, Fonagy, 2010) e non soltanto come portatore di bisogni pemette di cogliere la stretta relazione tra sicurezza dell’attaccamento e mentalizzazione. Più un genitore sarà capace di mentalizzazione rispetto alla propria storia familiare trigenerazionale di attaccamenti, tanto più sarà capace di mentalizzare gli stati mentali del figlio e di costruire un legame sicuro con il figlio. La mind-mindness diviene un facilitatore delle costruzione di legami sicuri genitori-figli.
Recuperando il concetto di famiglia base sicura e connettendola al concetto di mentalizzazione in una cornice sistemica potremmo dire che un sistema familiare diviene base sicura per i suoi membri se il legame fra essi sarà caratterizzato da una posizione mentalizzante di ognuno rispetto a se stesso e all’altro, che potrà favorire maggiori livelli di riflessività individuali delle rappresentazioni, credenze, miti in relazione ai legami familiari costruitisi lungo la storia familiare. Ma cosa può creare problemi di mentalizzazione, minacciando i legami familiari?
Affrontare il tema dell’incapacità della famiglia di mentalizzare ci permette di connettere emozione, mentalizzazione e minaccia dei legami familiari al contesto-specifico, alla matrice di significato, in cui emergono. Quando si dice che la mentalizzazione è contesto-specifica (Bateman, Fonagy 2010) ci si riferisce al fatto che una persona mostrerà una incapacità a mentalizzare in specifici contesti emotivo/affettivi in cui sono in gioco emozioni intense e/o rappresentazioni connesse all’attaccamento che portano la persona a non riuscire a mentalizzare. Le emozioni sono connesse e si esprimono attraverso il linguaggio analogico, pre verbale, implicito: ci informano del livello “relazionale” che caratterizza gli stati mentali che sottendono gli scambi emotivi e affettivi di un sistema familiare e che ne determineranno il frattale emotivo (Bertrando 2014) che caratterizzerà la storia dei legami famialiri.
Cirillo (1996) ha evidenziato che nella storia trigenerazionale delle famiglie in cui un membro della terza generazione sviluppa una dipendenza, tale sintomo è connesso all’estrema difficoltà che l’intera famiglia aveva incontrato nell’affrontare i compiti caratteristici della fase dell’adolescenza, e a passare ai figli il senso della responsabilità di se stessi quali persone autonome e differenziate, non riuscendo ad assecondare con flessibilità i tentativi di differenziazione e fornire quella “base sicura” cui fare ritorno nei momenti di difficoltà e da cui ripartire per nuove esplorazioni. Tale impossibilità dei genitori di porsi come base sicura viene connessa alla trasmissione intergenerazionale del trauma come espressione di “una carenza di accudimento che crea nel figlio un pattern di attaccamento patologico”. Dunque, il trauma dovuto alla carenza di accudimento viene a porsi come fattore che trasversalmente attraversa la storia familiare a livello diacronico e che si interseca con il livello sincronico familiare presente, in cui un membro della famiglia sviluppa una sintomatologia da uso di sostanze. Nello studio di Cirillo le due dimensioni emergenti nella storia trigenerazionale familiare che co-occorrono nello sviluppo sintomatologico del sottosistema filiale che sviluppa una dipendenza sono: la dimensione intergenerazionale del trauma/carenza accudimento e la dimensione transgenerazionale che si riferisce alla trasmissione inconscia di eventi sfavorevoli non eleborati, espressione di un’impossibilità di riconoscere tali carenze/traumi esperiti da parte del sistema familiare.
Il modello eziopatogenetico relazionale familiare trigenerazionale proposto di Cirillo e i suoi collaboratori ha individuato tre sottogruppi di famiglie nelle quali vengono evidenziati tre processi relazionali trigenerazionali attraverso i quali viene trasmesso tale trauma. In ognuno dei tre percorsi relazionali individuati (abbandono dissimulato, abbandono misconosciuto abbandono agito) sono stati evidenziate delle differenze nei modi in cui il trauma della carenza d’accudimento viene occultato/taciuto.
L’attenzione posta da Byng Hall ai miti familiari oltre che agli script familiari di accudimento ci permette di comprendere in che modo tali credenze che orientano le aspettative condivise dei ruoli ricoperti dai membri della famiglia nei copioni familiari, possono contribuire all’occultamento del trauma della carenza di accudimento nelle famiglie oggetto di osservazione portando in sé quello che definisce “autoinganno” (Byng Hall 1998). Byng-Hall individua tre gruppi di immagini di ruolo presenti nei miti familiari che orientano i copioni messi in scena tra i quali le immagini di ruolo consensuali rispetto alle quali vi è il tacito accordo che ognuno adempirà al ruolo assegnatogli e eventuali tentavi di mettere in discussione queste immagini vengono respinti da tutti. Sussiste, in tal senso, il consenso della famiglia sul fatto che le verità della casa non possono essere rivelate. Il membro che sviluppa una dipendenza diviene espressione di una sfida, seppur maldestra e disfunzionale, del mito familire consensuale di autoinganno che attraverso il sintomo intende rivelare, disoccultare la verità sulla storia dei legami familiari.
Byng-Hall connette tali immagini consensuali di miti familiari agli stili narrativi delle varie relazioni di attaccamento nelle famiglie. Nelle famiglie con attaccamento sicuro vi è una credenza di reciproca accettazione in cui ognuno si aspetta e accetta comportamenti sia buoni sia cattivi, con una visione realistica e coerente delle relazioni. Nello stile insicuro/evitane vi è un rifiuto condiviso, in queste famiglie si rileva un alto grado di negazione difensiva degli eventi passati e presenti, per cui le immagini di ruolo sono separate tra bene e male e le persone sono a volte idealizzate e a volte denigrate. Nello stile insicuro-ambivalente prevalgono i fantasmi dal passato: in queste famiglie vi è una continua rivisitazione del giusto e dello sbagliato nel passato, sia recente che remoto, senza che mai si raggiunga la soluzione. I componenti della famiglia sono invasi da forti sentimenti di ingiustizia e immaginano come le cose avrebbero potuto, e dovuto, essere gestite ma provano anche sentimenti di obbligo e gratitudine nei confronti delle figure del passato. A causa di tale consenso le immagini di ruolo sono confuse e segnate dalle esperienze del passato. I ruoli sono spesso invertiti, e i bambini possono assumere il ruolo genitoriale. Lo script familiare condiviso si ripete mantenendo aspettative di ruolo rigidamente polarizzate, sano/malato, buono/cattivo, forte/debole.
Nel caso della famiglie oggetto di studio, lo script ripetitivo si riorganizza intorno al problema del figlio “malato” che diviene l’unica causa del problema familiare che altrimenti non avrebbe nessun problema. Ciò non permette al sottosistema filiale di costruire un senso di sé unico e differenziato poichè si verifca una regressione evolutiva dei sottosistemi familiari (Cacioppo, Gori, Guccione 2017). Il corpo malato del membro che sviluppa una dipendenza rimane un corpo segno che viene guardato dal sistema familiare come un principio dormitivo (Bateson 1977) nell’impossibilità di cogliere le possibili connessioni con i significati relazionali familiari che permettano di trasformarlo in corpo con storia, in corpo vissuto, connesso ai i significati del suo esistere e del suo essere in rapporto con il mondo (Onnis 2017). Il corpo malato del figlio che incontra la sostanza in adolescenza diventa espressione di un corpo familiare che organizza la propria rigida omeostasi intorno al problema del figlio che oscilla tra una dipendenza infantilizzante, unico modo per essere confermato e accudito dal sistema familiare e un bisogno di svincolo, operato maldestramente attraverso una pseduoindividuazione. Sul versante familiare la dipendenza del figlio ricalca il mito familiare della famiglia che non avrebbe nessun problema se non fosse per la dipendenza del figlio che protegge il sistema familiare dal disoccultamento, dalla consapevolezza del trauma relazionale familiare d’accudimento che ha interessato la storia familiare a livello trigenerazionale. La dipendenza del figlio si inserisce in tale contesto di significati, in cui il corpo porta in sé la sofferenza, sintomo che si connette ai blocchi emotivi, alle conflittualità inespresse, agli impossibili movimenti evolutivi del corpo familiare.
Per cogliere la funzione che assume l’uso della sostanza connettendola al trauma relazionale familiare trigenerazionale possiamo correlare i tre costrutti epistemologici ai quali si sta facendo riferimento ai contributi delle neuroscienze. Nello specifico, possiamo connettere la qualità dell’accudimento ricevuto all’interno dei legami familiari d’attaccamento ai circuiti neurofisiologici funzionali o disfunzionali che si attivano facendo riferimento alla teoria polivagale di Porges (2014) che ha studiato i correlati neurobiologici dei legami motivazionali di attaccamento e intersoggettvi. Tale teoria ha dimostrato che il funzionamento del sistema nervoso autonomo che regola in maniera involontaria gli organi interni è correlato alla qualità dei legami affettivi che il bambino prima e l’adulto poi esperiscono. I due sistemi che costituiscono il sistema nervoso autonomo, simpatico e parasimpatico, sono coinvolti e sincronizzati ai pattern relazionali che si sperimentano nel corso della vita. Porges sostiene che il sistema simpatico determina un’iperattivazione che comporta reazioni di attacco (fight) o di fuga (flight) in risposta a una minaccia imminente con conseguente aumento del battito cardiaco, riduzione della saliva, tensione gastrointestinale. Il versante vagale determina una risposta difensiva di congelamento (freezing) per proteggere l’individuo. Il sistema parasimpatico, invece favorisce la relazione di attaccamento permettendo una richiesta di aiuto regolamentando gli stati emotivi e comportamentali. Porges afferma che questi tre stati fisiologici regolati dal sistemo nervoso autonomo sono collegati alla capacità di ogni individuo di esperire sicurezza e pericolo (neurocezione) a partire dall’esperienza intersoggettiva: due dimensioni strettamente correlate alla costruzione del legame d’attaccamento nello sviluppo del bambino. Se ci si sente minacciati, ad un primo livello, la persona ricerca il coinvolgimento sociale chiedendo aiuto, supporto e conforto alle persone vicine (Van Der Kolk, 2015). Ad un secondo livello, lo stato fisiologico dell’attacco/fuga in cui la persona esperisce un’assenza di supporto e soccorso da parte di chi gli sta vicino torna ad una modalità primitiva di sopravvivenza. La terza reazione fisiologica viene messa in campo quando non si riesce a fuggire, si rimane trattenuti o intrappolati e l’essere umano cerca di preservarsi, spegnendosi o spendendo il minor quantitativo possibile di energia.
Gli studi di Porges sui livelli di sicurezza e gli studi sugli stili di attaccamento dei bambini possono essere correlati alle riorganizzazione post-traumatiche (Liotti, Fassone, Monticelli 2017) come espressione dell’adattamento post-traumatico legato a reazioni fight (ipervigilanza), flight (dissociazione), frozen (congelamento). La riorganizzaione traumatica si costituisce poiché essendo gli attaccamenti fonte di panico e di angoscia, il soggetto cerca di attivare gli altri sistemi motivazionali per risolvere l’impasse (Cirillo, Selvini, Sorrentino 2016). Le riorganizzazioni post-traumatiche possiamo intenderle come posizioni emotivo-affettive che il bambino assume nella relazione con le propria figure di riferimento. Nei termini di sviluppo identitario del sé, tali posizioni sono da intendere come una modalità adattiva del bambino di fronte a un conflitto che si viene a a creare tra il livello identitario del sé ed il livello relazionale (Mosconi 2014) caratterizzato da un pattern relazione prevalente organizzato intorno al trauma relazione d’accudimento che agisce disconfermando il livello identitario del Sé. Per ristabilire un senso di sé e per gestire l’ansia e l’angoscia legati ad una disconferma dei propri bisogni, il bambino si riorganizza assumendo posizioni strategiche che rispondono al bisogno di controllo adattivo della relazione con le figure di accudimento. Relazioni d’attaccamento insicure e disorganizzate comporteranno una continua attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico con conseguente malfunzionamento del circuito neurofisiologico amigdala-ippocampo-cingolato-neocorteccia comportando una disattivazione della corteccia prefrontale, il conseguente blocco della mentalizzazione e la costruzione di modelli operativi interni deficitari. Il mal funzionamento di tale circuito neurobiogico offre il correlato neurobiologico del trauma relazionale, inteso come rottura dei legami d’attaccamento sicuri che tutelano, proteggono da qualsiasi minaccia e pericolo e che sono connessi a forme di pre-mentalizzazione. L’integrazione mente/corpo viene ad interrompersi come funzione dei legami d’attaccamento traumatici esperiti all’interno della storia familiare e che si esprime attraverso tale disfunzione dei circuiti neurobiogici che, correlata a stili di attccammento definiti insicuri e disorganizzati, comportano la messa in atto di comportamenti impulsivi, compulsivi, ossessivi e frequentemente anche somatizzanti. A livello trigenerazionale possono strutturarsi memorie traumatiche che interessano l’intera famiglia che, a loro volta, influenzano l’adattamento dell’individuo al proprio ambiente e aumentano il rischio di organizzare problematiche dissociative. In tali sistemi familiari, il trauma relazionale caratterizzato dalla carenza di accudimento è legato a lutti, abbandoni, emigrazioni, distacchi radicali e dipendenze coercitive dalle generazioni precedenti che non sono stati riconosciuti come traumatici comportando la loro distorsione difensiva e la relativa trasmissione alla generazione successiva. Le memorie traumatiche sono dissociate: le diversa sensazioni registrate dal cervello non sono correttamente assemblate in una storia, in un pezzo di autobiografia. Nel suo studio Cirillo ha evidenziato che una storia familiare così caratterizzata a livello trigenerazionale può divenire generatore di vulnerabilità per lo sviluppo di una dipendenza patologica nel figlio, membro della terza generazione, in quanto le difese organizzate per cercare alternative al fallimento della relazione intersoggettiva sperimentata nei primi anni di vita si basano sull’attivazione di stati dissociativi del sè che non riparano l’individuo da esperienze soggettive stressanti intollerabili associate alle motivazioni di attaccamento. Tale tipo di disorganizzazione dell’attaccamento dovuto alla carenza/disorganizzazione di accudimento definito “trauma nascosto”, alla luce della teoria polivagale di Porges mette in evidenza in che modo entrano in conflitto i sistemi motivazionali dell’attaccamento e i sistemi di difesa legati alla sopravvivenza propri del sistema nervoso autonomo che comportano l’attivazione dei livelli di sicurezza secondari e terziari con la conseguente messa in atto di un comportamento di iperarousal o ipoarousal flight, fight o frozen. Secondo l’ottica della teoria polivagale di Porges la sostanza diviene un regolatore di sensazioni di stress che l’individuo percepisce in ogni momento in cui, nel corso della sua crescita personale e sociale, attiva il sistema dell’attaccamento per fare fronte alle insicurezze evolutive. È in questo senso che nelle dipendenze patologiche l’effetto della sostanza ha funzione di autoguarigione e di autocura.
Bibliografia
Bateman, A.; Fonagy, P. (2010), Giuda pratica al trattamento basato sulla mentalizzazione. Per il disturbo borderline della personalità, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Bateson, G. (1977), Verso un’ecologia della mente, Adelphi edizioni, Milano.
Bertrando, P.( 1997), Nodi Familiari, Feltrinelli, Milano.
Bertrando, P. (2014), Il terapeuta e le emozioni. Un modello sistemico-dialogico, Raffaello Cortina, Milano.
Bowlby, J. (1988), Una Base Sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Byng-Hall, J. (1998), Le trame della famiglia. Attaccamento sicuro e cambiamento sistemico, Raffaello Cortina editore, Milano.
Cacioppo, M.; Gori, A.; Guccione, C. (2017), Sistemi Familiari e mentalizzazione. Verso una prospettiva Integrata, Franco Angeli, Milano.
Cirillo, S.; Berrini, R.; Cambiaso, G.; Mazza, R. (1996), La famiglia del tossicodipendente. Tra terapia e ricerca. Raffaello Cortina editore, Milano.
Cirillo, S.; Selvini, M.; Sorrentino, A.M. (2016), Entrare in Terapia. Le sette porte della terapia sistemica, Raffaello Cortina editore, Milano.
Cronen, V.E.; Johnson, K.M.; Lannamann, J.W. (1983), “Paradossi, doppi-legami e circuiti riflessivi: una prospettiva teorica alternativa”, Terapia Familiare: Rivista Interdisciplinare di Ricerca e Intervento Relazionale, 14, 87-120.
Liotti, G.; Fassone, G.; Monticelli, F. (2017), L’evoluzione delle emozioni e dei sistemi motivazionali, Cortina Editore, Milano.
Mosconi, A.; Gonzo, M.; Sorgato, R.; Tirelli, M.; Tomas, M. (1999), “Ipotesi diagnostiche e relazione terapeutica: ricorsività e coerenza nel ‘Milan Model’”, Connessioni, 5, 67-96.
Mosconi, A. (2014), Identità ed Identità Sistemica in Mosconi, A.; Pezzolo, M.; Racerro, G. (a cura di) (2014), Identità Sistemiche, Ultima Books.
Onnis, L. (2017), Teatri di Famiglia. La parola e la scena in terapia familiare, Bollati Boringhieri editore, Torino.
Porges, S.W. (2014), La Teoria Polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione, Giovanni Fiorniti Editore, Roma.
Foto di liza popova da Pixabay