di Daniele Nigris
Bonanno Editore, 2021
Letto da Massimo Giuliani
La formazione delle opinioni e la loro incidenza nel dibattito pubblico, la differenza fra opinioni ed esperienza, il legame tra informazione e azione sociale, la fiducia nelle informazioni e dunque la formazione di credenze, sono fra i grandi temi di questi anni. Come “sappiamo” che quello in cui crediamo è vero? E perché crediamo quello che crediamo?
Nigris ha scritto un libro denso e complesso che di tutto questo si occupa: se ne occupa in una prospettiva sociologica e antropologica, prospettive arricchite da quelle che l’autore chiama competenze “non ortodosse”: Nigris, associato di sociologia all’Università di Padova, è mentalista ed esperto di tecniche di suggestione, ipnotista, attore, ed è protagonista di performance in cui il pubblico sperimenta le dinamiche irrazionali che intervengono nella costruzione delle convinzioni, nei processi attraverso i quali le persone credono o dubitano.
Nel libro le capacità esplicative e affabulatorie dell’autore si ritrovano soprattutto nella prosa e nello stile: certo il linguaggio è più quello dell’epistemologo che quello dell’uomo di palcoscenico, ma già dalla dichiarazione di intenti è chiaro che l’attenzione non sarà sulle teorie ma su meccanismi e principi operativi.
Che gli esseri umani siano animali sociali è spiegato nel primo capitolo, in chiave etologica e evolutiva: in qualità di animali il loro compito principale è fare esperienza; in quanto animali che devono affrontare il mondo collettivamente, il loro modo di fare esperienza è essenzialmente apprendere.
Così, attraverso vari esempi, il ragionamento si snoda confrontando concetti come esperienza, informazione, credenza, conoscenza, opinione, azione sociale, e ragionando sui legami e sulle differenze fra questi concetti.
Certo non è casuale che il libro di Nigris sia stato scritto e pubblicato in questa forma nella fase della storia italiana in cui la questione del “disaccordo epistemico” è diventata così centrale nel discorso pubblico, anzi ricorrono riferimenti al dibattito che è seguito alla pandemia da Covid-19. Disaccordo che può verificarsi tra soggetti che condividono un piano di riferimento epistemico ma soprattutto tra soggetti con piani di riferimento differenti o persino incommensurabili.
Che è una questione che ne contiene tante altre, come ad esempio quella dell’atto di fiducia totale che compiamo, come individui e come società, nei confronti di saperi che sono in qualche misura esoterici e che pertanto non prevedono una base di consenso per le decisioni che ne discendono.
È interessante la critica nei confronti dell’approccio che ricorre quando si pone la questione, un approccio dicotomico basato su dualismi come scienza/superstizione o cultura/ignoranza. Che è un modo rassicurante di porre le cose, afferma Nigris, ma è semplicemente distante da come le cose funzionano: “abbiamo abbastanza prove empiriche che ovunque la modernità coesiste con la superstizione e la conoscenza con l’ignoranza”. Una alternativa è quella di affrontare simili differenze come conflitti fra sistemi culturali diversi.
Si capisce come il testo di Nigris sia un contributo eccellente anche per il clinico che voglia poter dire qualcosa sulla realtà più grande e magari farlo rifuggendo dalla tentazione del “senso comune, ma detto bene”, tentazione che sembra il più delle volte guidare tentativi che vanno in quel senso e che raccolgono anche un certo favore del pubblico.
Tutto questo sarebbe ovviamente una questione un po’ meno urgente se non fossimo in una fase in cui il discorso pubblico si svolge prevalentemente nella rete. Nigris ne ripercorre la storia e prova a segnalare gli elementi di complessità insieme a quelli problematici: naturalmente passando attraverso il fatto che il web consente a chiunque oltre che di proporre una propria versione di un certo argomento, anche di mistificare la fonte delle proprie certezze e la propria identità. Con le conseguenze che si possono immaginare sulla capacità delle persone di formulare giudizi circa quelle questioni e circa la credibilità di chiunque ne parli.
In coda alla trattazione puntuale del tema di come formiamo le nostre opinioni l’autore aggiunge un agile glossario, utile non solo a farci un vocabolario affidabile sulle questioni di cui si parla, ma anche a scendere più al fondo di certi concetti.
Dicevo di come questo testo dice qualcosa anche per il clinico meno miope, che abbia una visuale che va oltre le pareti della sua stanza. Come clinici sistemici abbiamo a portata di mano strumenti concettuali che ci permettono di dire la nostra non solo e non tanto sulle “cose” quanto sul “discorso sulle cose”. E anche di dire la nostra sulle fallacie di quel discorso pubblico, soprattutto quando va in cerca di consenso facile. È solo una delle ragioni che mi vengono in mente per consigliare ai colleghi di entrare nelle questioni che pone Nigris nel libro: in ogni caso, come detentori di conoscenze che riguardano le vite di persone che si fidano di noi, un libro come questo ci offre un’occasione per sviluppare un pensiero autoriflessivo sull’argomento.