di Pietro Barbetta
Direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia.
Una variante di questo saggio è stata pubblicata sulla rubrica “Clinica sistemica” di www.psychiatryonline.it
Gregory Bateson e la (in)distinzione epistemologia/ontologia
La differenza tra epistemologia e ontologia può essere rintracciata, nel pensiero di Gregory Bateson, a partire dal saggio The Cybernetics of “Self”, pubblicato nel 1971 [1], tradotto in italiano come Cibernetica dell’“io” (Bateson, 1971, p. 309). Invero, il termine “Self”, così come usato da Bateson, maiuscolo e virgolettato, è significante ironico; rinvia alla distanza dalla tradizione occidentale moderna.
L’alcolista nel discorso batesoniano, è un personaggio tipicamente moderno e Bateson sembra essere il suo Prologo. In preda al paradosso della volontà, l’alcolista ingaggia una sfida simmetrica con la bottiglia e finisce per non riuscire mai a “smettere, di smettere di bere”, come ben dice Deleuze (Deleuze, 2005).
Il cosiddetto “Self”, virgolettato e maiuscolo – parte essenziale e intraducibile del titolo dell’opera di Bateson – si presenta sulla scena occidentale come personaggio che pretende di esaurire la propria vita attraverso le forme della rappresentazione mentale. Oggi lo chiamano mentalismo o “teoria della mente”. L’alcolista – lungi dall’essere in primo luogo una persona con patologia individuale – è la cifra del fallimento di questa ipotesi puritana sul mondo. Come il giocatore d’azzardo, l’alcolista è intrattabile dalla psicologia cognitiva perché il cognitivismo esercita la neutralità nei confronti del mondo sociale, non prende posizione. Perciò, foucaultianamente, non può conoscere l’alcolismo, si limita a balbettare un imperativo lineare: “devi smettere di bere”, cosa che l’alcolista sa meglio di chiunque altro, e risponde: “non riesco a smettere di smettere, ci riprovo sempre”.
Il “Self” – con l’iniziale maiuscolo, come tipicamente nei nomi di origine germanica – è espressione ironica di un processo che parte dalla sua negazione e giunge, purificato da ogni inclinazione sentimentale, al suo opposto nel self made man. Ciò che unisce il diabolico Self puritano all’intraprendente Self americano è il paradigma del controllo. In questo mondo di uomini fatti da sé – in questo trionfo della volontà di matrice liberista – la mente subisce uno scacco, non fa i conti col corpo. L’uomo che si fa da sé, di fronte alla frustrazione sociale – come non ricordare Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller – perde la grazia [2]. Vuole dimenticare la prima grande crisi del trionfo della volontà, 1929, e per dimenticare ci vuole un pharmakon. L’alcol fa il suo ingresso legale negli Stati Uniti nel 1933, lo stesso anno in cui, come un sol uomo, il trionfo della volontà totalitario inizia la sua marcia in Germania, con le conseguenze catastrofiche che conosciamo.
Nell’opzione liberale, orientata al soggetto come individuo, l’alcol diventa mezzo per dimenticare e il suo potere commerciale crea il paradosso dell’uomo con la bottiglia, relazione simmetrica perdente.
Dimenticare serve a rinnovare quotidianamente la sfida, coazione a ripetere della frustrazione, circolo mnemotecnico: per dimenticare è necessario ricordare la pratica quotidiana, il rituale con la bottiglia. Bateson, nel descrivere la simmetria con la bottiglia, anticipa la svolta ontologica proposta da Bruno Latour (Latour, 2007) a proposito dell’indistinzione funzionale tra attanti umani e non umani. L’uomo moderno è caduto in disgrazia sul versante ontologico. Di qui, la svolta ontologica della conversione, che giunge da Jung [3] nei termini di “esperienza spirituale”, e, al plurale, “forti esperienze emotive seguite da una ristrutturazione della personalità” (Bateson, 1971, p. 319).
Per l’alcolista, paradigma del soggetto occidentale moderno, non basta cambiare epistemologia (punto di vista) si tratta di cambiare ontologia (metanoia). Come vedremo tra poco, Bateson riprende Jung, in più di un’occasione, per stabilire i confini tra ontologia ed epistemologia. Tema essenziale per capire il rapporto tra soggetto e potere.
Secondo Paul Dell:
Nel suo articolo ormai classico “La cibernetica dell’io: una teoria dell’alcolismo”, Bateson descrive la relazione tra epistemologia (cioè lo studio di come conosciamo ciò che conosciamo) e ontologia (cioè lo studio della natura dell’essere). L’ontologia, egli afferma, ha a che vedere con “i problemi di come sono le cose, che cos’è una persona e che genere di mondo è questo” (p. 344). Si tratta di una definizione informale ma adeguata di ontologia, mentre la sua definizione di epistemologia è di tutt’altro tipo. Bateson infatti sostiene che quest’ultima riguarda il problema di “come noi conosciamo che genere di mondo è questo e che genere di creature siamo noi che possiamo conoscere qualcosa (o forse niente) di tali questioni” (p. 344). Il problema “che genere di creature siamo noi” è certamente rilevante per l’indagine epistemologica, ma resta comunque una questione ontologica (riguarda cioè lo studio dell’essere umano). La descrizione che Bateson fa dell’epistemologia finisce per espropriare un territorio che in realtà appartiene all’ontologia. (Dell, 1985, p. 3)
Invero Bateson afferma:
Nella storia naturale dell’essere umano, ontologia ed epistemologia non possono essere separate. Le convinzioni dell’uomo (di solito inconsce) sul mondo che lo circonda [cioè, le sue premesse ontologiche] determineranno il suo modo di vederlo [cioè, le sue premesse epistemologiche] e di agirvi, e questo suo modo di percepire e di agire determinerà le sue convinzioni sulla natura del mondo. L’uomo vivente è quindi imprigionato in una trama di premesse epistemologiche e ontologiche. È scomodo far sempre riferimento all’epistemologia e all’ontologia insieme, e d’altronde è errato pensare che esse si possano separare nell’ambito della storia naturale… Pertanto in questo saggio impiegherò il termine unico “epistemologia” per designare entrambi gli aspetti della trama di premesse che reggono l’adattamento (e il disadattamento) all’ambiente umano e fisico. (Bateson, 1971, p. 320)
Come anticipato, Bateson, nel differenziare “ontologia” da “epistemologia”, si rifà alla questione junghiana del rapporto tra “pleroma” e “creatura”. Differenza tra l’indistinto del pleroma, la cosa in sé, e le distinzioni della creatura, tra le quali quelle prodotte dall’osservatore umano.
Dopo un periodo di psicosi, Jung sembra riprendersi scrivendo; ha forse bisogno di qualcosa di solido cui riferirsi, distingue tra mondo fisico, che reagisce in base a forze e urti, e mondo creaturale, che funziona per differenze.
Pur considerando utile questa differenza, Bateson aggiunge una serie di riflessioni che riguardano la fisica e la neurofisiologia e rendono la distinzione junghiana più complessa. In Bateson, questa distinzione rende le due istanze – ontologia ed epistemologia – sfumate, come se, nella “creatura”, ci fosse una parte pleromatica. Il soggetto che distingue è invero un corpo, mantiene una parte pleromatica nel gesto della distinzione. Il corpo è un corpo fisico, anch’esso reagisce agli urti, ma non è solo questo il problema.
Possiamo chiamarli due mondi di spiegazione. Jung li chiama il pleroma e la creatura; si tratta di termini Gnostici. Il pleroma è il mondo in cui gli eventi sono causati da forze e urti, in cui non ci sono “distinzioni”. Io direi “differenze”. Nella creatura, gli effetti emergono dalla differenza. Invero questa è l’antica dicotomia tra mente e sostanza. Possiamo studiare e descrivere il pleroma, ma le distinzioni che estraiamo nel pleroma sono sempre attribuite da noi. Il pleroma non sa nulla su differenze e distinzioni, non contiene “idee” nel senso in cui sto usando questo termine. Quando si studia e si descrive la creatura, bisogna identificare in modo corretto le differenze che hanno effetto dentro di lei.
Suggerisco che “pleroma” e “creatura” siano parole che possiamo adottare in modo utile, e tuttavia è importante osservare le connessioni che esistono tra questi due “mondi”. È un’enorme semplificazione dire che le “scienze dure” hanno a che fare solo col pleroma e che le scienze dello spirito hanno a che fare solo con la creatura. È molto più complicato. (Bateson, 1972, p. 456)
Queste asserzioni possono venire intese come: le scienze della natura dovrebbero occuparsi anche della creatura, come spesso accade. Tuttavia credo che si possa anche considerare l’opposto: le scienze dello spirito dovrebbero occuparsi anche del pleroma.
In altre occasioni Bateson parlerà di “mappa” e “territorio” definendo la mappa come qualcosa che va distinto dal territorio. La descrizione del territorio da parte della mappa è sempre altro rispetto al territorio, in sé inconoscibile. Tuttavia la mappa, a differenza della creatura, non ha un corpo vivente, la mappa è fatta di fibre di carta e inchiostro. Le due distinzioni, a mio avviso, non coincidono.
Il “pleroma” è Ding-an-Sich, sostiene Bateson, riferendosi chiaramente al noumeno della prima edizione della Critica della Ragion Pura di Kant (Kant, 1781) e, indirettamente – attraverso Schopenhauer – a Freud.
A proposito dell’inconscio in Freud, Bateson scrive:
La psicologia freudiana ha ampliato la nozione di mente nell’interiorità, fino a includere l’intero sistema di comunicazione interno al corpo – l’anatomico, l’abitudinario, e l’ampia gamma di processi inconsci. Ciò che propongo è di espandere la mente all’esterno. Questi due cambiamenti riducono lo scopo del Self consapevole. (Bateson, 1970, p. 461)
In questo passaggio, Bateson ritiene che la “scoperta dell’inconscio” fatta da Freud, come processo interiore, supplementata dall’ipotesi batesoniana della mente come ambiente esterno – aggiungerei sociale e naturale – mettono in scacco la pretesa di esaustività cognitiva del Self. All’ipotesi puritana in psicoterapia – formulata in modo intelligente da Jay Haley quando asserì che gli esseri umani entrano in relazione per controllare le relazioni in cui entrano – Bateson rispose con un’obiezione etica: “l’idea del potere corrompe sempre”.
Qual è il problema che pone Bateson? Nell’immaginare un inconscio interno che si gira verso l’esterno, Bateson ha il merito di ricordare, ante litteram e per ossimoro, i fallimenti dei trionfi della volontà. Il soggetto non è il Self. Perciò il Self pienamente consapevole, nel sociale, è destinato allo scacco.
L’invito a evitare l’idea del potere s’incrocia e si complica nel confronto con l’imperativo etico enunciato dall’epistemologo e matematico Heinz von Foerster: “agirò (dovrei agire) sempre in modo da accrescere il numero totale di scelte”. “Accrescere il numero totale di scelte” può essere intesa in senso quantitativo: tuttavia la locuzione “sempre in modo da accrescere il numero totale” (always as to increase the total number), pronunciata da un matematico, vuol dir qualcosa che va al di là della crescita numerica. Non si tratta della prima forma intuitiva in cui viene alla mente l’infinito: l’infinito più uno. La crescita del numero totale di scelte comprende, nel numero totale, anche, per esempio, i numeri irrazionali.
Come noto, partendo da un numero irrazionale qualsiasi, non è possibile alcuna progressione o regressione numerica; tra quel numero e qualsiasi numero successivo o precedente ci sono sempre infiniti altri numeri successivi al precedente e precedenti al successivo. L’irrazionale è unico, benché ve ne siano infiniti altri, altrettanto unici. I numeri irrazionali sono regno di infinita singolarità, in quel regno non c’è rarefazione. Quando il signor Palomar, prima dell’imbrunire, si infila nel mare, si accorge che solo lui è la punta della spada di luce proiettata da sole. Palomar ha un momento di gloria, seguito dall’amara costatazione che, ogni altro bagnante, a quell’ora, si trova a essere la punta della medesima spada di luce emanata dal sole. La spada è unica, ma ognuno, dal suo punto di osservazione, è la punta di quella stessa spada: unico e molteplice (Ceruti, Bocchi, 1981).
L’irrazionale non è campo che possa essere ordinato, non ha un prima/dopo, un sopra/sotto, un alto/basso, una destra/sinistra, ma non è nemmeno il Demiurgo di Platone – altrimenti non sarebbe affatto irrazionale. L’irrazionale, attualità dell’infinito, possiede una quidditas particolare e immanente. Come un’epifania, va avanti-indietro, dal pensiero alla vita e viceversa.
Quando von Foerster enuncia l’imperativo su “dover agire in modo da accrescere il numero totale delle scelte”, ripensa l’uso del verbo “potere”. “Potere” deve includere il sogno, il delirio, l’allucinazione e, sopratutto, potere non è volere. Si tratta della Biblioteca di Babele, di Borges, del Chaosmos di Joyce. Questo potere include l’impossibile, ha una rilevanza sociale anarchica, va ben al di là del mercato capitalista, non è il successo del Self-made-man. Sono in gioco spazi assolutamente altri, che i bambini conoscono bene, eterotopie, oceani di deliro, abitati da qualche raro caso di rarefazione ordinata [4].
I paradossi sono la premessa per passare dal razionale all’irrazionale. La freccia ferma di Zenone anticipa la scoperta dell’infinito attuale. Oltre ai paradossi di Zenone, che rendono ferma la freccia del divenire temporale, ci sono altri paradossi, come quello del mentitore, che creano una condizione di blocco nella logica: “Epimenide il cretese dice: ‘Tutti i cretesi mentono’, Epimenide mente oppure dice il vero?”. La risposta è che se dice il vero mente, ma se mente conferma la verità dell’enunciato.
Chi, come Bertrand Russell, impone un ordine alla logica, lo fa per evitare lo sconcerto di condizioni impossibili, indecidibili. Crea però una condizione gerarchica imposta dall’esterno, dal basso verso l’alto, formata da: 1. elementi, 2. insiemi di elementi, 3. insiemi di insiemi di elementi, ecc. Tra l’uno e l’altro dei punti 1, 2, 3, n, c’è quel tipo di rarefazione che rende impossibile la connessione tra loro. Un po’ come nelle aree sociali intoccabili dello spazio urbano.
I tentativi di mettere ordine alla logica, imponendole limiti esterni, somiglia ai tentativi di ordinare la società. Il disordine si ripresenta costantemente, è linea di fuga. Il delirio è un irrazionale: troppo agglutinato, indifferenziato, inordinabile, incomprensibile e, soprattutto, singolare.
Ontico/ontologico, il caso Wolfson
Quando qualcuno che ami si irrigidisce mentre lo abbracci e poi, quando ti allontani ti dice: “non mi ami più? Non devi avere paura dei tuoi sentimenti!”, possono accadere alcune cose. Tu puoi irritarti e rispondere: “non dire scemenze!”, oppure puoi allontanarti ancora di più, andartene, puoi ancora commentare questo rimprovero dicendo “non sono io che ho paura dei sentimenti, sei tu che ti sei allontanato”, forse puoi fare ancora qualcosa, come per esempio fingere di non avere sentito, puoi inoltre rimanere sbalordito di quanto ti è stato detto, e questa emozione può premetterti di creare qualcosa di insolito, di originale. Tra le altre cose puoi reagire con un comportamento eccentrico che gli psichiatri definiscono “attacco acuto di schizofrenia” (Bateson, 1956, p. 217).
Il doppio legame è l’espressione di una relazione simbiotica sul piano della comunicazione, per realizzarsi sono necessarie almeno tre persone coinvolte: emittente (“non devi avere paura dei tuoi sentimenti”), ricevente (colui che reagisce in maniera eccentrica) e osservatore (colui che definisce la reazione eccentrica “schizofrenia”). Il risultato è la mancanza di rarefazione tra ciò che accade qui e ora, il piano ontico, e l’intera esistenza del soggetto, il piano ontologico, che reagisce in modo eccentrico, dal punto di vista di un osservatore esterno (il piano epistemologico).
Secondo Luois Sass la reazione schizofrenica ha il carattere dell’iperriflessività, con ciò egli intende affermare che, mentre nel nevrotico la vita quotidiana si costituisce su un piano ontico (per esempio: una bottiglia contiene acqua e serve per bere), per uno schizofrenico una bottiglia può essere un evento originario, che si trasfigura in qualcosa che tocca l’intera esistenza del soggetto. In questo senso Sass, assimila l’esperienza schizofrenica all’esperienza artistica e letteraria della modernità. Le bottiglie di Morandi sono un esempio di trasfigurazione ontologica di una normale bottiglia.
A differenza di Sass, che si rivolge a Heidegger, io penso che la migliore descrizione della schizofrenia sia data, ne L’Anti-Edipo, da Gilles Deleuze e Felix Guattari (Deleuze, Guattari, 1972). Infatti, mentre Sass si limita alla descrizione fenomenologica della Stimmung schizofrenica, io ritengo necessario considerare anche il punto di vista di chi descrive questa esperienza come parte dell’esperienza stessa. Come avviene in fisica, l’osservatore, nel definire e descrivere un’esperienza la costituisce in modo radicale, formula un’ipotesi.
Ne L’Anti-Edipo, gli autori cercano uno dei meccanismi storico/sociali che descrive la schizofrenia e lo individuano nell’Edipo. La teoria dell’Edipo, nel distinguere l’esperienza nevrotica da quella schizofrenica, sulla scorta della tradizione psicoanalitica classica, impone una rarefazione che distingue il soggetto edipizzato dal resto del mondo, fa del soggetto un principio staccato dal mondo attraverso la formazione di processi quali: l’attribuzione del nome proprio, il sesso, la continuità dell’esistenza, la famiglia di appartenenza, la memoria, la cittadinanza, la nazionalità, la religione, la professione, ecc.
La mancata edipizzazione corrisponde a una linea di fuga singolare. Lo schizofrenico non si soggettivizza neppure in modo performativo, come accade invece presso il soggetto queer (Butler, 1997, 1997a) o nelle nuove forme identitarie che costringono il potere psichiatrico a ridefinirsi [5]. Lo schizofrenico sembra esente dalla dialettica assoggettamento/soggettivazione, è (a)soggetto, il soggetto non c’è. Non ha cittadinanza, sesso, religione, nazionalità, famiglia, memoria, ecc. Nell’Antiedipo, non si tratta di ribellione all’edipizzazione, di qualcosa che riguarda il triangolo familiare, si tratta di rendere conto della schizofrenia in maniera diversa.
L’ipotesi di Sass descrive la schizofrenia come un’agglutinazione tra il percepito e il percetto, tra l’opera e l’autore; questo è di certo un punto importante. Tuttavia, benché eccentrica, questa posizione ontologica, tipica della schizofrenia, non è necessariamente patologica; lo riconosce lo stesso Sass, quando assimila la Stimmung schizofrenica alla produzione artistico-letteraria moderna. Lo è nella misura in cui la struttura sociale rarefatta, che potremmo descrivere come “l’altro aspetto della modernità” – quello del Self moderno – con le sue forme gerarchiche acquisite (successo e carriera), marginalizza l’esperienza eccentrica che non entra nei circuiti culturali “artistico-letterari” pre-determinati. In maniera ironica potremmo dire che il circolo ermeneutico di pre-comprensione ha bisogno del circolo culturale di raccomandazione: il critico ha il potere di includere/escludere dal circolo stesso.
Il caso Louis Wolfson è un esempio molto chiaro. Wolfson viene manicomializzato a New York e rischia un ricovero a vita, ma la madre garantirà per lui come tutrice; Louis, studente di lingue straniere, scrive un romanzo eccentrico che sembra un trattato di fonetica della lingua inglese in francese. Wolfson spedisce il manoscritto a Gallimard, per un caso del tutto fortuito. Gallimard riceve questo pacco da New York, ci trova dentro un testo in un bizzarro francese – francese riformato! Sostiene Wolfson – per caso decide di chiamare uno psicoanalista per valutare il testo, chiaramente scritto, per ammissione dello stesso Wolfson, da uno schizofrenico. Pontalis, il clinico chiamato e leggere il romanzo, apprezza il testo, tuttavia ciò non è sufficiente per la pubblicazione. Si tratta pur sempre di un clinico, non di un critico. Pontalis allora si rivolge a Queneau, che propone a Sartre di pubblicare a puntate il libro di Wolfson su Les Temps Modernes. Solo a quel punto Gallimard decide di stampare il libro.
Wolfson, che è schizofrenico, ha qualcosa da aggiungere, un supplemento, un nuovo capitolo. Gallimard accetta e pubblica il libro con il supplemento, ma Wolfson non è soddisfatto perché intende aggiungere altri supplementi, in una sorta di aggiornamento continuo del testo che avrebbe rinviato sine die la sua pubblicazione. In un certo senso, per Wolfson, il testo non potrà mai uscire perché non concluderà mai la sua realizzazione. Tuttavia Le Schizo et les langues esce nel 1970 e Wolfson diventa uno scrittore a Parigi, mentre a New York rimane, per altri quarant’anni, uno schizofrenico.
Il caso Wolfson non è unico, è stato preceduto dal Perceval, Schreber, Artaud, per molti aspetti persino da Kafka. In queste esperienze artistiche e letterarie schizofreniche, sarebbe appropriato parlare di creazione, piuttosto che di creatività. Non si tratta infatti di stratagemmi del pensiero che crea qualcosa di appetibile al mercato, si tratta di qualcosa di ontologico. Per Bateson la domanda che ci pone l’arte moderna è la seguente: “sapevi tu che il mondo potrebbe essere anche così?” (Bateson, 1967).
All’inizio di Le parole e le cose, Foucault pone il medesimo quesito riguardo a un’opera classica.
Costruttivismo radicale: Foucault con von Foerster
In Las Meninas di Velazquez, secondo Foucault [6], ogni cosa appare come se il pittore, che retrocede dalla tela, stia osservando l’osservatore della tela. I suoi occhi sembrano seguire la persona che, nella realtà, sta guardando il quadro. Invero gli occhi di Velazquez stanno osservando qualcosa, o qualcuno, che è là, fuori dalla tela, ma è per noi invisibile. Questa situazione crea “l’altra parte di una psyche” che è simultaneamente invisibile e sotto il nostro sguardo, sulla superficie della tela. Si tratta dello specchio che riflette l’immagine dei Reali di Spagna al centro del quadro. Il percorso che propone Foucault parte dall’analisi delle luci interne al quadro, che provengono dalle finestre della stanza dipinta. Queste luci, mantengono opache tutte le tele appese ai muri meno una, più piccola, al centro della tela. Questa riflette la luce che riceve dall’esterno al suo interno e la riemana. Non si tratta di un quadro, dunque, bensì di uno specchio. Da qui emerge la possibilità di individuare che cosa Velazquez stia osservando nella realtà là fuori: il nome proprio dei Reali di Spagna. Fin qui Foucault si muove sul piano ontico.
La scoperta di cosa ci sia là fuori, dentro la tela, nella stanza dipinta, non esaurisce tuttavia la questione della presenza dell’“altra psyche”. Foucault, una volta chiarita la questione, dopo aver dimostrato che, nella dimensione dell’immagine, ciò che non vediamo sta alla superficie delle nostre percezioni visive, ci invita a tornare indietro. Propone di ripercorrere il procedimento attraverso il quale abbiamo fatto la scoperta dell’“altra psyche”. Questo procedimento prevede la trasformazione di quanto abbiamo definito in modo “chiaro e distinto” durante la prima parte dell’analisi, che ha portato a disvelare l’enigma del quadro di Velazquez. Si tratta di un’analisi dell’analisi delle procedure che postulano la stabilità del dato percettivo dei Reali di Spagna dentro lo specchio. Stabilità del tutto essenziale per svolgere la disamina esposta prima. Nel seguito, Foucault si muove sul piano ontologico.
Il secondo procedimento proposto, a proposito di Las Meninas, porta Foucault a inaugurare il metodo genealogico che userà per la storia dei sistemi di pensiero. Nel resto di Le parole e le cose, Foucault delinea le matrici storico-culturali che hanno orientato il pensiero occidentale nell’età classica e nella modernità. Si tratta di una cesura che, a partire dal secolo XVII ha trasformato i sistemi di pensiero e i suoi paradigmi dallo sguardo rivolto alle similitudini, allo sguardo rivolto alle distinzioni. Durante il Rinascimento, i paradigmi magici, alchemici, astrologici orientano le linee fondamentali dei sistemi scientifici e filosofici verso contiguità, analogie, sovrapposizioni, ecc. A partire dalla logica di Port Royale, attraverso la nascita della fisica – da Galileo a Newton – fino alla seconda rivoluzione copernicana proposta da Kant, nascono le scienze moderne, che si valgono delle distinzioni tra grammatica e mondo, matematica e natura, soggetto trascendentale e fenomeno.
Il discorso foucaultiano corrisponde al costruttivismo radicale [7]. Il costruttivismo radicale in psicologia nasce dagli sviluppi dell’elaborazione di Jean Piaget a proposito del pensiero formale e si presenta come erede del paradigma scientifico kantiano, ma lo porta al suo ultimo limite. Piaget definisce il pensiero formale, ipotetico-deduttivo – invero la condizione del soggetto epistemico kantiano – nei termini di un gruppo di trasformazioni a partire dalla logica classica. Egli ipotizza la genesi di struttura logica come condizione inconscia del pensiero formale.
[…] al livello della combinatoria proposizionale, qualunque operazione tale che p > q comporta una inversa N, sia p ˄ -q, e una reciproca R, sia q > p, così come una correlativa C, sia p ˄ q […] che è l’inversa della sua reciproca. Abbiamo allora un gruppo commutativo, NR = C; CR = N; CN = R e NRC = I […]. Questo gruppo, di cui il soggetto non ha naturalmente nessuna coscienza in quanto struttura, esprime tuttavia ciò che diventa capace di fare tutte le volte che distingue una inversione e una reciproca per comporle tra loro. (Piaget, 1970, p. 54)
Al di là della difficoltà di questo passo, l’idea espressa è che la condizione per il pensiero formale è costituita, a sua volta, da una struttura inconscia, che corrisponde in matematica a un gruppo di trasformazioni. Se consideriamo la prima operazione (p > q, che si legge: p implica q) come una identità I, troviamo che questa ha una inversa, o negativa, N, una reciproca R e una coreciproca C, che altro non è se non la negazione della reciproca. In questo modo abbiamo un gruppo di trasformazioni chiuso, composto da quattro elementi, in cui, ogni operazione sugli elementi del gruppo dà come risultato un elemento del gruppo stesso, con un elemento neutro I (identità). Per cui NR = C (la negazione della reciproca è la coreciproca), ecc., IN = N, IR = R, IC = C (ovvero I è l’elemento neutro del gruppo).
Invero il pensiero di Piaget traccia i limiti tra il paradigma scientifico che ha dominato l’epoca moderna e nuovi sistemi di pensiero. L’ipotesi piagetiana pone infatti un problema di funzionamento. Il funzionamento cognitivo, in Piaget, è governato da una struttura che ha la forma di un gruppo di trasformazioni, che è impossibile rendere consapevole durante il funzionamento cognitivo stesso. Potremmo dire, forzando un poco Piaget, e parafrasando Lacan: “l’inconscio è strutturato come un gruppo di trasformazioni”. Dobbiamo però aggiungere che l’elemento neutro I di questo gruppo è il grado zero (lo 0 è l’elemento neutro del gruppo addizione tra i numeri naturali) di ogni conoscenza, lascia cioè le cose come stanno. I, l’identità, si relaziona con NRC, che chiamerò A (cioè Alterità) in modo invariante, mentre le altre componenti di A producono trasformazioni, creano differenze.
Heinz von Foerster rielabora l’ipotesi piagetiana rendendola più radicale, attraverso una riflessione che definirei semiotica. Secondo von Foerster, una cosa che appare familiare nell’esistenza del soggetto osservatore è un segno (token). Il termine token appare in Charles Sanders Peirce (Peirce, 1902) per definire la distinzione ontologica tra una cosa qualunque e la sua apparenza concreta e particolare. Un token, crea una forma stabile per la vita di un organismo, una nicchia ecologica. Si tratta di persistenze che fanno di una “creatura” – nel linguaggio di Bateson e Jung – un sistema che osserva.
Con ciò il costruttivismo radicale non nega la realtà sottostante, che sta all’origine delle cose, ma, come nella proposta di Foucault riguardo a Las Meninas, enfatizza il procedimento e l’azione del soggetto (che in questa accezione è anche “organismo”) nella produzione di una mappa vivente, lasciando la stabilità della cosa sullo sfondo. Una mappa così sensibile che, come l’Essere di Duns Scoto, non si distingue più dal territorio. Mappa e territorio si congiungono (von Foerster, 1981) e fondono.
Il costruttivismo radicale, in campo ontico – la matematica, la biologia, la cibernetica – è definito nei termini di “cibernetica del second’ordine”. I Mondi vengono pensati, attraverso lo sguardo costruttivista, come attraversamenti. I confini dei Mondi passano da un locus interno al sistema e girano dall’interno verso l’esterno. L’interno diventa l’esterno, come in un nastro di Möbius.
Le forme sono create dalla concatenazione di operazioni su se stesse e le cose si trasformano in indicatori di procedimento. Come si crea una cosa? Come quella cosa specifica è creata? Com’è designata? Cosa faccio per produrla? Cos’è la rete di produzione? Dov’è la dimora di quella cosa? In che contesto esiste? In che modo sono coinvolto nella sua creazione? […] La cosa è entità simbolica che partecipa a un reticolo di interazioni mantenendo la sua apparenza di solidità e stabilità a partire da queste interazioni. Noi stessi siamo queste cose, come esseri umani siamo “segni per noi stessi”, un concetto creato dal filosofo americano C. S. Peirce. (Kauffman, 1981, p. 71)
Come nella citazione di Bateson che ho proposto sopra, l’inconscio [8] diventa un pattern che connette continenti, razze, religioni, generi letterari e sessuali. Il mondo, che si manifesta nei termini di unità di oggetti separati, diventa pluralità/unità (Ceruti, 1989.). Epistemologia e ontologia si sovrappongono in una mappa vivente, dotata di un corpo proprio, il corpo, in carne ed ossa, del soggetto che osserva, tocca, sente, guarda, vive il corpo come parte nel mondo e produttore del mondo, come il signor Palomar di Calvino, come la Galleria di quadri di Esher. Questo mio corpo è parte del territorio e lo definisce, ma ne è al contempo definito, e, nel compiere questa operazione di chiusura, si espone alla deterritorializzazione.
Il fenomeno percettivo – si parla di osservazione, ma si intende qualsiasi tipo di interazione che parte dal sensibile e giunge al percepibile – è una coalescenza: presenza di uno spazio che contiene, nella percezione, l’osservatore e l’osservato. Questi termini non devono farci pensare al solo fenomeno visuale. L’udito sente un rumore, lo rende stabile nella continuità e nella variazione, percepisce un suono, che può essere più o meno sensato, più o meno enigmatico, come nelle Variazioni di Elgar.
Il mio corpo tocca una superficie, liscia o ruvida, calda o fredda, le dà stabilità nella permanenza (una stufa rimane calda, una bevanda si raffredda), tocca se stesso e ne è al contempo toccato, io non vedo le mie spalle, la mia posizione nel mondo è asimmetrica, e di seguito, secondo le preziose indicazioni fenomenologiche di Merleay-Ponty (Merleau-Ponty, 1945).
Nello stesso tempo il mondo è una compresenza, mostra la coesistenza di cose separate nel medesimo orizzonte ed è mondo attraverso il linguaggio. Oltre al termine token, già menzionato, il costruttivismo radicale si riferisce anche al termine matematico eigenvalue (autovalore). A partire dall’esistenza di equazioni che, sul piano dei numeri reali, non possono avere soluzione – la più semplice è x2+1=0 – si tratta di pensare l’esistenza di un numero la cui radice quadrata sia -1. Un tale numero, tra i reali, non esiste.
L’algebra dei numeri complessi, detti anche immaginari, insegna che un numero complesso può essere rappresentato come una matrice di numeri reali. Mentre i numeri reali non sono in grado di dare soluzione a certi tipi di equazioni, i numeri complessi danno più di una soluzione alle medesime. Queste possono essere introdotte in un campo matriciale. Una matrice è uno spazio n x n fatto di righe e colonne dentro cui vengono inseriti numeri reali. Si tratta, in altri termini di gruppi di numeri reali. Per estensione, una matrice può contenere anche, al posto di numeri, simboli più o meno astratti.
Buona parte del pensiero di Foucault, quanto viene definito nei termini di metodo genealogico, si compone della ricerca delle matrici [9] originarie che alimentano i dispositivi di potere e le pratiche discorsive che li producono. La questione si pone, a mio avviso, nella relazione tra origine e funzione. Già Darwin [10], nel dare il titolo Origine della specie alla sua opera, pone il problema di una complessità nella relazione tra funzione di un organo e sua origine, lasciando aperto alla ricerca un vasto campo di fenomeni evolutivi irrisolti. Nietzsche (Nietzsche, 1887), a sua volta, pone il problema della genealogia sul piano storico culturale, estendendo il metodo darwiniano al campo delle istituzioni sociali. Foucault ha sviluppato l’intuizione di Nietzsche dando vita a un programma di ricerca che individua – nelle carceri moderne, negli istituti psichiatrici, nelle istituzioni psico-giuridiche, nei regimi della sessualità – le origini, di queste cose, oltre le loro funzioni storiche, Foucault chiama queste condizioni “a-priori storico”. Tuttavia il suo metodo può essere ben definito come un costruttivismo radicale applicato alla storia e alla storia dei sistemi di pensiero.
Un sistema di pensiero – come un sistema matematico, un sistema biologico, ecc. – è una coalescenza e una compresenza che nasce da una matrice originaria e la nasconde dietro le cose, facendo loro assumere, in maniere differenti sul piano storico, una datità che si costituisce irrimediabilmente alle spalle del soggetto e può essere conosciuta solo nachträlich, a posteriori.
Bibliografia
Barbetta, P., L’avventura delle differenze. Sistemi di pensiero e pratiche sociali, Napoli, Liguori, 2011.
Barbetta, P., Follia e creazione, Mimesis, Milano, 2012.
Barbetta, P., Valtellina, E., “Intuitive Pathways of the Autistic Mind”, Journal of Medicine and the Person, Springer, 2015.
Bateson, G. (1956), “Toward a Theory of Schizophrenia” in Step to an Ecology of Mind, Ballantines Books, New York, 1972. Tr. it. in Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976.
Bateson, G. (1967), “Style, Grace, and Information in Primitive Art”, in Step to an Ecology of Mind, Ballantines Books, New York, 1972. Tr. it. in Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976.
Bateson, G. (1968), “Conscious Purpose versus Nature”, in Step to an Ecology of Mind, Ballantines Books, New York, 1972. Tr. it. in Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976.
Bateson, G. (1970) “Form, Substance and Difference”, in Step to an Ecology of Mind, Ballantines Books, New York, 1972. Tr. it. in Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976.
Bateson, G. (1971), “The Cybernetics of “Self”. A theory of Alchoolism”, in Step to an Ecology of Mind, Ballantines Books, New York, 1972. Tr. it. in Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976.
Butler, J. (1997), Excitable Speech. A Politics of the Performative, Routledge, New York. Tr. it. Parole che provocano. Per una politica del performativo, Raffaello Cortina, Milano 2010, a cura di Sergio Adamo.
Butler, J. (1997a), The Psychic Life of Power, Stanford University Press, Stanford (Ca). Tr. it La vita psichica del potere, Minesis, Milano, 2013, a cura di Federico Zappino.
Calvino, I. (1983), Palomar, Einaudi, Torino.
Ceruti, M. (1989), La danza che crea, Feltrinelli, Milano.
Ceruti, M., Bocchi G. (1981), Disordine e costruzione, Feltrinelli, Milano.
Deleuze, G. (2005), L’Abécédaire de Gilles Deleuze. Tr. It. Abecedario, Derive/Approdi, Roma, 2014.
Deleuze, G., Guattari, F. (1972), L’Anti-Œdipe. Capitalisme et schizophrenie 1, Minuit, Paris. Tr. it. L’Anti-Edipo, Einaudi, Torino, 1975, a cura di Alessandro Fontana.
Dell, P. (1985), “Understanding Bateson and Maturana: Toward a Biological Foundation for the Social Sciences”, Journal of Marital and Family Therapy, Vol. 11, n. 1, pp. 1-20. Tr. it. “Maturana e Bateson: Verso una Fondazione biologica delle scienze sociali”, Terapia familiare, N. 21, Luglio 1986, p. 35-60.
Foerster, H. von (1981), “Objects: tokens for (eigen-) behaviors”, Observing Systems, The Systems Inquiry Series, Intersystems Publications, Seaside, CA.
Foucault, M. (1966), Les Mots et les Choses: Une archéologie des sciences humaines, Gallimard, Paris. Tr. it. Le parole e le cose, Rizzoli, Milano,1967, a cura di E. A. Panaitescu.
Foucault, M. (1971), L’ordre du discours, Gallimard, Paris.
Foucault, M. (1966), Héterotopie, https://www.youtube.com/watch?v=lxOruDUO4p8 (acc. 10.17)
Galzigna, M. (a cura di) (2008), Foucault oggi, Feltrinelli, Milano.
Kant, I. (1781), Critica della ragione pura, trad. it. di Giorgio Colli, Milano, Adelphi, 1995.
Kauffman, Louis, H. (1981), “Eigenforms. Object as Token for Eigenbehaviour”, Cybernetics And Human Knowing, Vol. 10, nos. 3-4, pp. 71-87.
Latour, B. (2007), Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network-Theory (Clarendon Lectures in Management Studies), Oxford University Press, London.
Lemoine, S. (2013), Le sujet dans les dispositifs de pouvoir, PUR, Rennes.
Merleau-Ponty, M. (1945), Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris. Tr. it. Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2003, a cura di Aldo Bonomi.
Nietzsche, F. (1887), Genealogia della morale, Adelphi, Milano, 1984. Tr. it. a cura di Ferruccio Masini.
Peirce, Charles S. (1902), Collected Papers of Charles Sanders Peirce (ed. 1931-58), CP 4.537, Hartshorne and Weiss (eds.), Harvard University Press, Cambridge, MA.
Piaget, J. (1970), L’épistémologie génétique, PUF, Paris.
Sass, L. (1992), Madness and Modernism: Insanity in the Light of Modern Art, Literature, and Thought, Basic Books, New York. Tr. It Follia e modernità, Raffaello Cortina, Milano, 2013.
Wolfson, L. (1970), Le Schizo et les langues, Gallimard, Paris.
[1] L’opera di Gregory Bateson è stata tradotta, con grande cura e attenzione, da Giuseppe Longo. Tuttavia, per una serie di ragioni relative ai cambiamenti storici e ai riferimenti a Bateson allora poco noti (la sua partecipazione nel 1967 al convegno Dialectics of Liberation, insieme a figure come Allen Ginsberg e Herbert Marcuse, la sua frequentazione di psicoanalisti, i riferimenti a lui di Deleuze e Guattari, ecc.), la traduzione italiana risulta, a mio avviso, oggi un po’ carente. Bateson è autore che, a seconda di chi lo legge, può ispirare differenti tipi di traduzione. Come noto, ogni traduzione si sovrappone al punto di vista del traduttore. In molte parti di questo saggio, dunque, riprenderò una mia traduzione del testo originale inglese.
[2] La grazia puritana si acquisisce per via della “sola fide”, questa la differenza fondamentale che distingue la riforma protestante rispetto alla religione cattolica.
[3] http://www.serene24ore.altervista.org/Articoli/Home/AA%20per/trediscorsiaimedici.htm (acc. 20.10.2017).
[4] Michel Foucault, Héterotopie, https://www.youtube.com/watch?v=lxOruDUO4p8 e Foucault, 1971. Su Foucault la bibliografia è sterminata, si veda Galzigna, 2008.
[5] In questo senso è paradigmatico il movimento della Neurodiversità, composto da Aspies, soggetti con diagnosi di Sindrome di Asperger, che hanno costretto la Task Force del DSM-5 a eliminare la diagnosi di Sindrome di Asperger dal Manuale diagnostico. Su ciò si veda Barbetta, Valtellina, 2015.
[6] Sulla lettura foucaultiana di Las Meninas, mi permetto di proporre Barbetta, P., “Cinque considerazioni intorno a Foucault”, in Barbetta, 2011.
[7] Foucault è spesso stato associato al cosiddetto “costruzionismo sociale” per via delle maggiori affinità di contenuto con gli esponenti del “costruzionismo sociale”, che in gran parte sono sociologi o psicologi sociali, mentre il costruttivismo radicale proviene da studi hard: matematica, fisica, biologia, psicologia della percezione. A mio avviso il metodo del costruzionismo sociale si limita all’asserzione che “la realtà è costruita socialmente”. Quest’asserzione si presta a numerose obiezioni che riguardano la vita, e in particolare, per parafrasare Adorno, la vita offesa.
[8] A questo punto è necessaria una, pur breve, digressione sull’inconscio. Come la fede degli amanti, secondo Metastasio, l’inconscio somiglia all’araba fenice: “che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa”. Certa moda strutturalista lacaniana impone oggi lo slogan “L’inconscio è strutturato come un linguaggio”, moda smentita da Lacan stesso nel seminario XXIII, quando si confronta con Joyce e nega la possibilità di interpretare il sintomo. Per Piaget, che è stato, a sua volta, misinterpretato da molti psicologi, sembra essere una struttura logico-matematica legata alla teoria dei gruppi di trasformazione. Per Jung, l’inconscio ha a che fare con il mito e gli archetipi, in una sorta di archeologia universale della mente umana, composta di simboli, benché molti psicologi analitici junghiani si limitino, durante la pratica clinica, a farlo emergere dalla narrazione onirica. Per Freud al di là di condensazione e spostamento, tradotti poi, nella versione strutturalista, in metafore e metonimie – si tratta di sovradeterminazione. Infatti Freud ritiene che non sia possibile alcuna riduzione di un elemento del sogno a un pensiero, e neppure viceversa: a ogni elemento corrispondono più pensieri e ogni pensiero si riferisce a più elementi. Il sogno dunque, per il fondatore della psicoanalisi è ben più vasto e caotico di ogni tentativo di renderlo preciso e definito. È a questo chaos dionisiaco che è il sogno – prima di diventare narrazione onirica – che si riferiscono nell’Antiedipo Deleuze e Guattari quando parlano dei “primi psicoanalisti”. In quel passo del sesto capitolo della Traumdeutung Freud si rivela costruttivista radicale ante litteram. Alcuni autori, per esempio Julia Kristeva, rinviano a Michail Bachtin. Critico feroce dello strutturalismo, Bachtin usa il termine “eteroglossia” per mostrare la molteplicità, o polifonia, di ogni espressione letteraria e umana. L’inconscio è quanto traspare, in interlinea, durante la produzione discorsiva. Ho cercato di mostrare la mia predilezione per un uso bachtiniano dell’inconscio nel mio libro Follia e creazione (Barbetta, 2012). Infine Gregory Bateson, come mi ha fatto notare una finissima studiosa del suo pensiero, vede nell’inconscio un fenomeno in primo luogo percettivo. “Non vediamo ciò che non vediamo”, da questa costatazione parte il costruttivismo radicale e, come in Freud e nei primi psicoanalisti, la narrazione onirica è una forma che emerge dal caos dell’esperienza onirica.
[9] Sulla questione “matrici” in Foucault e in Judith Butler si veda il capitolo secondo di Lemoine, 2013.
[10] Riguardo a Darwin, si consulti il sito http://www.talkorigins.org/faqs/origin/introduction.html che contiene una versione de L’origine della specie in lingua originale.