di Umberta Telfener
Vorrei raccontare due Convegni/incontri che ritengo interessanti perché hanno permesso di presentare il Milan approach in maniera estesa, creando curiosità, informazione e attivando pubbliche relazioni e nuove conoscenze.
Mi riferisco all’incontro annuale dei didatti dell’EFTA-TIC che quest’anno si è svolto a Timisoara in Romania dal 28 al 30 settembre 2018; ospiti di Daniel Murinay e Alina Zamostano dell’Istituto di terapia familiare e di coppia della città (ATFCT). Due giornate intense, in cui – contrariamente al solito – siamo stati sempre tutti insieme ad ascoltare le presentazioni, dando spazio alla discussione e agli esercizi che ne derivavano. Il titolo dell’incontro era “Amore e/in guerra: training in tempi drammatici”. Due giornate stimolanti sia per le presentazioni che per l’affetto e la conoscenza di lunga data tra i partecipanti, che ha permesso di ascoltarsi e commentare in sicurezza: ironia, supporto, nuovi stimoli hanno permesso di costruire ipotesi condivise e di esplorare le differenze, derivanti sia da chi presentava che dal Paese di provenienza, evidenziando le idiosincrasie culturali di vecchi e nuovi Istituti di training. Una convinzione ha accomunato la maggior parte dei partecipanti: che nel lavoro di coppia sia utile considerare oltre ai due partecipanti anche la relazione come terzo imprescindibile cui fare riferimento. Oltre a via Leopardi hanno presentato professionisti provenienti da Francia, Romania, Serbia, Slovenia, Norvegia e Portogallo, dall’ISCRA di Modena e dall’IEFCOS di Roma. Il Presidente dell’EFTA, Rodolfo de Bernart ha animato ogni conversazione e i padroni di casa ci hanno trattato con particolare attenzione e affetto.
Personalmente ho offerto come Centro Milanese sia una mezza giornata pre-congressuale (insieme a Nevena Calovska: Il lavoro appassionato con le coppie, l’utilizzo del genogramma emozionale) sia un seminario dal titolo “L’uso delle cartoline nella terapia di coppia”. Ambedue le occasioni hanno permesso ai partecipanti di attivarsi e di “giocare” tra loro e con me, allo scopo di ampliare la conoscenza delle tecniche sistemiche attive, di parlare del gruppo di Milano e della sua evoluzione.
Il tema era naturalmente molto coinvolgente, ma com’è comunque difficile comprendere come funziona l’amore! Mi viene in mente il bellissimo racconto di Carver, scrittore minimalista americano – “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” – in cui la coppia parla della quotidianità, mai esplicitamente di sé e della propria relazione.
Il secondo convegno a cui voglio accennare si è svolto a Beirut su Psicoterapia, ecosistemi e ambiente, dal 4 al 6 ottobre 2018, nel quartiere di Hazmieh. Moltissimi operatori, la maggioranza donne – alcune velate altre vestite all’occidentale, tutte brillanti e motivate – che attraverso le domande e i commenti hanno mostrato una grande competenza professionale, formatasi sul campo. Molte lavorano nei campi profughi, siriani (sono attualmente un terzo della popolazione libanese) e palestinesi, e si trovano ad affrontare realtà dure, interventi tra il sociale e il terapeutico di estrema sensibilità politica.
I relatori erano sia libanesi che “esperti” provenienti dall’Europa francofona, operatori, clinici, direttori di dipartimenti di salute mentale ma anche economisti ed esperti di politica sanitaria. Padroni di casa il professor Abbas Makké che ha sviluppato un modello complesso integrato sistemico-psicoanalitico – rispettoso della complessità – che propone nel Centro clinico Tabyeen e Rony Abou Daher, clinico libanese che attualmente vive a Londra; tra gli organizzatori Moni Elkaim, che ha svolto supervisione in Libano per molti anni e due francesi Mareike Wolf-Fédida, fenomenologa, esperta di psicoanalisi e plurilinguismo e Pierre Canoui, pediatra e psicanalista.
Ho personalmente tenuto due relazioni e fatto da chair-person in due tavole rotonde: dopo aver esposto la situazione dell’Efta, ho presentato il modello di Milano, concentrando l’attenzione sul rischio del rischio collusivo: come evitare di cadere nelle trappole del sistema, come evitare la cronicità e il pericolo di diventare dottor Omeostata. Il pubblico era più che alfabetizzato alla sistemica mentre alcuni dei relatori balbettavano il ‘sistemese’, nel provare a gestire la complessità estrema dei contesti in cui lavoravano.
Il tentativo delle tre giornate è stato quello di passare da una vetrina formale ad una discussione onesta sui contenuti e sulle prassi, in una realtà così stimolante ed interessante come quella del Libano, paese molto ricco, costantemente minacciato dalla violenza e apparentemente tristemente ‘venduto’ all’occidente.