Libro di Gianmarco Manfrida, Valentina Albertini, Erica Eisenberg
Franco Angeli ed., 2020
Letto da Gianluca Ganda
“… non so se riuscirò a perdonarlo dottore…”, dice Maria singhiozzando. Distinguo le lacrime che le solcano il viso, ma Skype oggi non funziona bene, le immagini sullo schermo del pc non sono buone. “… non me lo aspettavo da lui” continua, mentre suona il mio cellulare. È un messaggio Whatsapp: “io ci sono doc e tu? 😊”. Giovanni è sempre divertente, sta “bussando alla porta” per iniziare il suo colloquio, “solo due minuti e sono da te”. Torno sul pc e cerco di concludere il colloquio. “che delusione, Maria. Adesso può solo essere il momento di stare in compagnia di questo dolore, conoscersi così, ma può sentire qualche amica? Fare due chiacchiere con loro, Zoom o Houseparty ce li ha?”
Tra marzo e giugno conduco da un angolo di casa questi scambi con i miei clienti abituali, esiliato come molti colleghi dal mio studio ma fortemente motivato a mantenere vivo il processo psicoterapeutico e il contatto umano. Con alcune colleghe, nell’ambito dell’attività clinica del Centro Milanese abbiamo fatto una terapia familiare dislocati in cinque luoghi diversi, tre terapeuti e la famiglia divisa in due. Gli strumenti informatici sono stati i congegni che ci hanno permesso di costruire ponti virtuali con gli altri nel mondo condizionato dalla pandemia, fossero pazienti, amici o familiari; collegamenti per condividere e stemperare lo sbigottimento pieno di spavento e preoccupazione piombatoci addosso da non si sa dove.
Con una gestazione più meditata arriva a noi il libro di cui stiamo parlando: “La clinica e il web”, tema attuale quanto importante. Da anni gli autori conducono una riflessione sul tema, così attuale da portare un segno della pandemia nella introduzione.
Questo volume, ben scritto, riflette sugli strumenti digitali, veri e propri dispositivi. Una bella voce di Wikipedia – cui rimando per le citazioni complete – giustappone il pensiero dei tre filosofi che si sono occupati maggiormente del concetto. Con Foucault, dispositivo è “un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, in breve: tanto del detto che del non-detto, ecco gli elementi del dispositivo. Il dispositivo esso stesso è la rete che si stabilisce fra questi elementi.” Con Deleuze: “Noi apparteniamo a dei dispositivi ed agiamo in essi. La novità di un dispositivo rispetto a quelli precedenti, la chiamiamo la sua attualità, la nostra attualità. Il nuovo è l’attuale. […] In ogni dispositivo dobbiamo districare le linee del passato recente e quelle del futuro prossimo: ciò che appartiene all’archivio e ciò che appartiene all’attuale, ciò che appartiene alla storia e ciò che appartiene al divenire”. Infine Agamben: “chiamerò dispositivo letteralmente qualunque cosa abbia in qualche modo la capacità di catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi. […] Chiamerò soggetto ciò che risulta dalla relazione e, per così dire, dal corpo a corpo fra i viventi e i dispositivi.”
Niente di meglio di queste citazioni per rimandare alla riflessione portata da Albertini nel volume e ripresa poi dagli altri autori: il web, gli strumenti digitali di comunicazione e internet ci pervadono, ci avviluppano in una rete di cui siamo nodi di ricezione e produzione, “la rete” segna una linea di discontinuità temporale, è così presente nell’attuale da catturarcene, ci agiamo dentro e qualche volta diventiamo tutt’uno con i nodi vicini e, talvolta, anche lontani.
Manfrida e Eisenberg a più riprese, oltre alla già citata Albertini, ci raccontano la rivoluzione culturale cui stiamo assistendo, così da dentro che risulta difficile comprenderne la forza, la portata e la sua inarrestabilità. Possiamo chiederci come sarà il nuovo soggetto di Agamben, fino a dove le considerazioni di Clark e Chalmers (1998) sulla “Mente Estesa” ci modificheranno. Tra messaggi, tweet, social network e piattaforme digitali il modo di vivere e comunicare l’emotività è cambiato, la nostra vita influenzata. Con nuove possibilità.
In un bell’articolo, Žižek avanza la possibilità che gli psicoterapeuti abbiano superato le contrarietà ideologiche sul mezzo informatico di comunicazione per poter continuare a guadagnare. Credo che sia una visione riduttiva del fenomeno: venti anni fa abbiamo iniziato a creare connessioni con gli sms e Facebook, ora li manteniamo con le piattaforme di videoconferenza. Pomini e Borcsa fanno il punto sulla diffusione delle pratiche digitali nell’ambito della salute e della terapia, mostrando quanto si stia andando verso una integrazione delle modalità “in vivo” e on-line. Il transfert, i pattern e le emozioni viaggiano anche con i messaggi, gli emoticons e con la webcam. Qualche volta una mail è meglio, soprattutto se ci si sta occupando di mutismo selettivo. Sarebbe interessante capire se, per alcune tipologie di persone, ci sono invece controindicazioni all’uso di tecnologie digitali.
Il volume mostra a più riprese, a dispetto di chi si era dichiarato scettico, quanto il web e le sue declinazioni entrino irrimediabilmente nella costruzione della nostra identità: l’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione è vitale e non averne accesso comporta l’aumento del divario e isolamento sociale, prima e dopo il lockdown. Ci sono famiglie di quattro membri con un solo smartphone, con cui avere accesso alla scuola e al lavoro. L’influenza della rete e dei suoi mezzi torna con i social, usati nei rapporti sociali: i contatti del web possono essere forti o deboli, reali o virtuali ma non di certi ininfluenti. Sulle differenti declinazioni di virtuale e reale si esprime Giuliani, ritrovandoli nella quotidianità, fuori e dentro la rete: in entrambi i luoghi il possibile, e non il virtuale, si contrappone al reale. Giuliani si preoccupa poi di parlare dell’integrazione clinica tra il colloquio in vivo e il colloquio online, una questione sul tavolo di ogni terapeuta, ripresa poi da Albertini nel gioco del trovare le differenze tra i due format.
Accanto al virtuale, Giuliani dedica spazio al tema delle “parzialità” dell’attività on-line, che riecheggia, per esempio, nella domanda: quanto sarà alto il mio cliente? Come occuperà lo spazio nella stanza di terapia? Sarebbe interessante approfondire queste tematiche, perché chi usa il veicolo digitale mantenga uno sguardo aperto e curioso sul cliente: come sarà il suo corpo e come apparirà agli altri? quanto è importante nell’economia della sua vita e nell’impatto che potrebbe fare, in un colloquio in presenza, al corpo del terapeuta? Sul corpo si torna, con un interessante discorso su Tinder, tra le App più scaricate.
Sarebbe utile richiedere agli autori un approfondimento sul tema delle piattaforme streaming. Sull’onda delle interfacce che propongono film e serie tv, è presente in rete una corposa proposta di contenuti assimilati alla psicoterapia e alla crescita personale: “vuoi avere consigli per migliorare la tua vita? guarda questo video!”. Rimane aperto l’interrogativo sull’uso di questi mezzi, se proposti come vicari del colloquio e dell’incontro. I contenuti proposti, preconfezionati, sbandierano una propria patente di efficacia in modo però totalmente decontestualizzato, con il rischio di generare idealizzazioni e frustrazioni nei fruitori, e illusioni di cambiamento senza l’attivazione di alcun processo trasformativo.
Un’ipotesi è che i fruitori possano ritenere tali prodotti preconfezionati appropriati al loro contesto indipendentemente da quale esso sia. Questi contenuti acquisirebbero una patente di efficacia senza sapere quale processo di cambiamento attivano, la loro supposta autorevolezza potrebbe caricarli di promesse salvifiche o venire colti come semplici consigli, spesso decontestualizzati dalla vita delle persone.
Molti altri temi sono affrontati nel volume, una preziosa enciclopedia delle tecnologie di comunicazione digitale, un manuale di “teoria e tecnica della messaggistica” nella terapia, dentro e fuori dal setting, che da un insieme di regole in un luogo fisico diventa un insieme di opportunità di relazione e alleanza terapeutica.
Il volume è una importante riflessione sull’impatto delle comunicazioni digitali all’interno dello spazio di psicoterapia, un processo dove il cambiamento si accompagna a una riflessione sulle relazioni, sostenuta da una relazione, in cui oggi i canali di comunicazione sono molteplici. Le voci che compongono il volume non dimenticano mai questi aspetti fondamentali della pratica psicoterapeutica odierna.