di Ricardo Rosas
Nel 2019 chiudemmo in bellezza la prima certificazione del CMTF fuori territorio italiano a Guadalajara. Lo facemmo ballando col mariachi insieme a Jacqueline Pereira e Pietro Barbetta. Ai partecipanti lasciò un eccellente sapore in bocca. Tanto che dopo qualche mese il passaparola cominciò a dare i suoi frutti, e in molti chiedevano quando e come ci sarebbe stata la seconda edizione.
Questa seconda edizione ha portato novità, fra cui una “certificazione junior” come supervisori, cioè un aspetto fondante dell’approccio sistemico di Milano: è vedere sé stessi attraverso la lettura dei casi, è un atto di autoriflessività che Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin portavano avanti oltre la specializzazione, che arricchiva in modo profondo tutti noi che abbiamo seguito i due maestri.
L’ouverture ha avuto luogo nella prima settimana di marzo 2020 con Marco Bianciardi e il tema “dalla teoria sistemica ai processi di complessità”. E intanto si intravedeva la complessità del percorso di certificazione dal momento che l’aria della pandemia già minacciava tutto il mondo. Marco in un atto di responsabilità è arrivato, e con grande semplicità ha reso facile il complesso nella narrazione e rinarrazione dei casi. Le idee sono diventate azione e co-creazione. 60 anni di sviluppo della sistemica narrati attraverso la svolta che ha visto il linguaggio come mezzo di costruzione della realtà e in particolare la condizione di “cecità” dell’osservatore.
Poi Bianciardi è tornato a Torino, ma già un giorno dopo suo arrivo l’italia si stava chiudendo al mondo e il mondo cominciava a tremare nella incertezza che derivava da una possibile pandemia mondiale.
Così già all’avvio di questa seconda tornata di idee, la nebbia del Covid-19 lasciava a terra anche noi, nell’impossibilità di decollare: dovevamo atterrare ed aspettare. L’attesa prolungata è una condizione che a volte genera molta ansietà. Vedere il tuo amore solo per un week end e poi perderlo ti fa stare male: molto di noi rinunciano a continuare ad aspettare, e così è andata anche per noi. Alcuni hanno abbandonato il viaggio.
Per non perderci nella nebbia abbiamo creato un ponte con l’Italia: abbiamo deciso di far parlare tutti i didatti in modalità online, come “aperitivo” del loro lavoro per rendere più sopportabile l’attesa.
E intanto passavano aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, e passavano le bare su tutti telegiornali di tutte le città del mondo. La morte lasciava un senso di tristezza ma anche una spinta a trovare la forza per non cadere nella depressione, spesso rinchiusi in pochi metri come un animale da circo. Ci siamo resi conto che avevamo perso in qualche modo il senso della libertá. E in quella situazione ci siamo resi conto che la libertà ha sempre delle limitazioni, ma nella cultura “ipermoderna”, “liquida” e “narcisista” eravamo ciechi a questo: la versione online della vita sembrava arrivare e proporsi come un imprevisto ponte relazionale per l’intera umanità.
Per dare un senso alla continuazione di questo viaggio, democraticamente abbiamo fatto una votazione su come continuare (farlo tutto online? Attendere e continuare faccia a faccia? Un mix delle possibilità?). Coralmente la maggioranza ha preferito il faccia a faccia. Cosi il primo week end di novembre -nei giorni dei morti – Enrico Cazzaniga è arrivato senza temere ammalarsi per regalarci il suo tema “Morte e suicidio: come lavorare on la complessità del lutto”. Le emozioni erano vibranti e il tema toccante: la morte era nell’aria, il senso di vicinanza ci faceva sentire uniti nel continuare a imparare in primis come fare della terapia un’arte.
Ma a fine novembre é arrivata la seconda ondata di Covid-19 che di nuovo ci metteva nell’incertezza di come procedere una formazione che era stata voluta in presenza. Così il primo week end natalizio abbiamo deciso di procedere momentaneamente online col lavoro di Massimo Guliani “Metafore, ipertesto e narrativa”, che ci ha fatto riflettere sulle metafore che usiamo per spiegare la realtà attraverso il linguaggio – che come spiega Guliani è in gran parte metaforico – e su come possono cambiare.
Il gruppo della “junior supervisione” é diventato nei mesi un processo autoriflessivo molto interessante perché non solo era una riflessione su come costruire un pensiero riflessivo sistemico relazionale per diventare supervisore, ma anche sul costruire un modo alternativo e immediato di lavorare nella terapia online e in tutto il processo di cambiamento, anche nel contesto di assenza di un “setting” abituale. Molti partecipanti non avevano mai fatto terapia online a coppie o famiglie.
La formazione originariamente era organizzata accademicamente pensando a un processo che evolvesse in forma di una danza, come un valzer, ma il piano è saltato e il valzer si è fermato. Nell’andare online, nel cambiare le date, nel ridimensionare i tempi, nel passare ad altro per poi tornare al tema originale, il ritmo sembrava piuttosto quello della musica elettronica, del rock e della salsa, un mix di ritmi in contemporanea. A questo ritmo abbiamo cominciato a ballare con Massimo, per poi ballare un po’ con Teresa Arcelloni (“Le emozioni del terapeuta”) poi con Umberta Telfener (“Come lavorare col cambiamento culturale delle relazione affettive”) e poi con Pietro Barbetta (“I processi di depatologizzazione nel XXI secolo”) in un continuo andirivieni.
Stranamente era come se la maggioranza dei didatti si fossero accordati per mettere sotto la lente di ingrandimento il valore delle emozioni in terapia per guardare la realtà e i fatti connessi alla terapia. L’emozione dunque come un processo ecologico umano, dove l’etica terapeutica si intreccia alle emozioni. A questo punto i gruppi avevano bisogno nuovamente di toccare in senso “emotivo” un didatta in carne ed ossa.
Così in giugno Enrico Cazzaniga, di persona a Guadalajara, ci ha regalato il tema “Idee perfette e dipendenze affettive” rinnovando lo spirito dello stare insieme e il valore che hanno le idee nel benessere e nel malessere nella vita.
Con questo spirito rinnovato, stiamo aspettando per fine luglio Enzo de Bustis e Cinzia Giordano per chiudere questo viaggio che dura quasi da 17 mesi, nella speranza che non ci siano colpi di scena all’ultimo momento: ma ormai i due gruppi hanno già imparato a ballare al ritmo che cambia. Che in un certo modo ha cambiato anche l’approccio sistemico di Milano, nell’adattamento al contesto culturale e alle necessità dei tempi.
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