Giunti, 2021
Letto da Massimo Giuliani
Che oggi lo sviluppo necessario della disciplina di cui ci occupiamo — la psicologia clinica, la psicoterapia — non stia tanto nell’identificazione di nuove categorie nosografiche a cui applicarci, o nell’ideazione di nuove teorie e tecniche che lavano più bianco, è il punto di vista tenacemente portato avanti da un certo numero di clinici della comunità sistemica e da un ampio numero di colleghi che condividono un certo modo di pensare.
In una fase storica in cui la violenza, il sopruso e l’aggressione ai diritti umani ci bussano alla porta in modo insistente, la prima e più urgente preoccupazione della clinica è innanzitutto quella di non replicare nelle proprie stanze la violenza e la sopraffazione del più forte e del detentore di qualche verità. “Primum non nocere” vuol dire oggi soprattutto essere consapevoli della posizione in cui ci si trova e delle sue implicazioni nella relazione.
Così, in primo luogo l’evoluzione del nostro lavoro passa attraverso il ragionamento sul piano etico dell’agire clinico; quindi, passa per un tentativo di fare e dire qualcosa di significativo sulla realtà che sta fuori dalle nostre stanze, uno sforzo di applicare le nostre lenti e le nostre competenze alla lettura di fenomeni ancora più complessi delle relazioni familiari (che a queste peraltro fanno da contesto).
Pietro Barbetta è direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia e membro della World Association for Cultural Psychiatry e conosce le realtà dei paesi sudamericani. Gabriella Scaduto fra le altre cose si occupa di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza all’Ordine degli Psicologi lombardo ed è stata consulente Unicef per i reati contro la libertà sessuale, la tratta di esseri umani e la violenza di genere. Insieme hanno curato per Giunti “Diritti umani e intervento psicologico. Etica e pratica clinica”, in cui insieme ad altri diciassette autori compongono un mosaico interdisciplinare sui temi delle violazioni dei diritti e sul contributo della psicologia al superamento dei traumi legati ad essi.
A tenere insieme un’opera che spazia dal diritto alla psicologia, sono giustamente una prefazione di Fausto Pocar, giurista e membro dal 1984 al 2000 del Comitato per i Diritti Umani dell’Onu, e una postfazione di Luigi Zoja, che da psicoanalista si è occupato di violenza maschile.
Un mosaico interdisciplinare, dicevo, perché il libro è sufficientemente distante da una trattazione organica e più simile a una rassegna di esperienze e prospettive sulla questione: il che ne fa non solo un’opera di piacevole lettura e soprattutto capace di introdurre in modo ampio alla molteplicità di aspetti che ne definiscono l’oggetto.
Dopo l’introduzione dei curatori, che ricostruisce la storia della personalità autoritaria attraverso la psicologia, si aprono le tre parti del volume. La prima introduce al tema della giustizia e dei diritti umani; la seconda riguarda gli interventi sulle violazioni dei diritti umani; infine la terza entra nello specifico della clinica.
Attraverso tutti gli interventi passa il filo della responsabilità dello psicologo.
Il quadro che ne deriva è quello di una psicologia che ha da offrire un pensiero prezioso sui temi della violenza e dei diritti. Bettiga ricostruisce la storia del dibattito internazionale sull’etica psicologica e mostra come l’implicazione che ne deriva è il riconoscimento delle differenze e rispetto della dignità dei popoli come degli individui. Ed è attraverso la voce di terapeute che conosciamo la vicenda argentina dei desaparecidos e delle donne dai fazzoletti bianchi (ne parlano Castilla, Cavagnis, Manconi e Pocztaljon). Sono le parole di Martínez, Faúndez, Besoain e Diaz a parlarci del Cile degli anni ’70. Ancora, due psicologhe (Scaduto e Tomisich) ragionano sulla perversione dello stupro di guerra. Sono due grandi clinici (Pakman e Sluzki) che compongono una definizione agghiacciante e definitiva della tortura. È Natale Losi a introdurci al tema del trauma psichico di guerra. Barbetta, Barazzetti e Chiapparo (con Andrée Bella, filosofa) connettono personalità autoritaria e omofobia attraverso il caso di Adolfo (“un potenziale Anders Breivik”). E ancora una terapeuta, Micol Ascoli, ci racconta di persecuzione degli ebrei.
Alle loro si intrecciano le voci di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, la foresta dei Giusti; di Pietro Kuciukian, medico e giornalista, il cui padre ha conosciuto il genocidio degli armeni; di Rita Finco, antropologa culturale.
Come appendice c’è uno scritto di Fabio Sbattella, il cui nome è strettamente legato alla psicologia dell’emergenza in Italia. Affronta il tema che gli è proprio dal punto di vista dei diritti.
Fare l’elenco dei contributi non è, di solito, il modo più utile di illustrare lo spessore di un’opera, ma in questo caso non è davvero possibile dire perché “Diritti umani e intervento psicologico” è un testo necessario, se non mostrandone l’ampio raggio d’azione e la quantità di punti di vista dai quali parla di diritti, sopraffazione, ruolo del clinico. Perché la comprensione delle domande etiche macroscopiche giova alla comprensione dell’etica quotidiana, quella che ci interroga anche nella nostra attività più ordinaria: che non di meno ci obbliga ad avere un’idea rispettosa e non banale sulla differenza e sulla violenza, quella che si vede e quella che non si vede.