Recensione di “Complessità della violenza” di Arianna Barazzetti

Recensione di “Complessità della violenza” di Arianna Barazzetti

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Mimesis, 2021

Letto da Massimo Giuliani

Per contestualizzare questo libro di Arianna Barazzetti, diciamo che l’autrice è assegnista di ricerca a Bergamo con Gianluca Bocchi, che ha seguito la gestazione di “Complessità della violenza” insieme a Pietro Barbetta.

Due casi clinici sono al centro del saggio: il primo è la storia di Pjetër, ragazzo albanese a cui “Dio ha detto che è necessario uccidere le persone che si amano”. Accoltella la nipotina, la cognata e la fidanzata. Poi rivolge la violenza su di sé: i soccorsi lo troveranno in fin di vita ma si salverà. Il palcoscenico del caso di Pjetër è la struttura psichiatrica e i personaggi sono i professionisti che si occupano della sua riabilitazione.
Sullo sfondo c’è Foucault col suo celebre Pierre Rivière, contadino normanno protagonista di un caso di omicidio domestico, a cui Pjetër rimanda sin dal nome (corrisponde, in albanese, al francese Pierre il nome con cui l’autrice sceglie di riferirsi a lui).

L’altra storia clinica è quella di Artemide, stesso paese di provenienza di Pjetër ma situazione socioculturale completamente diversa: elemento, questo, che allarga il discorso sulle cornici culturali.

La complessità è resa attraverso la costante attenzione e l’andirivieni fra tutti i piani coinvolti: quello clinico, quello giuridico, quello culturale e quello dei contesti di cura e delle premesse che li animano. Gli interventi clinici allargano lo sguardo su più generazioni, il genogramma visualizza gli scenari relazionali che fanno da sfondo alle vicende dei personaggi, e un utilizzo di test proiettivi in una modalità, diciamo, non convenzionale aggiunge elementi sia sulla storia che su un modo creativo e non dogmatico di intendere l’intervento sistemico.

Buona parte del volume è dedicata a mostrare e ad approfondire le basi epistemologiche e cliniche di quanto viene poi detto. Questa ricca sintesi di idee e concetti sistemici costituisce peraltro un considerevole valore aggiunto per il lettore con una infarinatura di sistemica e per quello più esperto.
Allo scopo contribuisce un’intervista a Gianluca Bocchi che l’autrice pone a prefazione del volume. Sono pagine di grande ricchezza, a un certo punto delle quali Barazzetti commenta un pensiero di Bocchi come “decisivo, non solo per gli studi sulla violenza, ma anche per il nostro rapporto col sapere scientifico”. Commento che mi pare riassuma lo spirito del libro: che è di lettura tutto sommato agile, a dispetto delle dimensioni, ma che semmai richiede una disponibilità a seguire l’autrice nella spola fra questi livelli molteplici.
Lo sforzo infuso nella spiegazione di concetti “classici” potrebbe apparire come un eccesso di zelo, ma mi appare piuttosto una assunzione di responsabilità: elencare e approfondire le premesse del ragionamento è un modo di porre basi solide alla trattazione e di chiarire la cornice dentro la quale essa si svolge.
Peraltro stabilire con rigore i punti di riferimento epistemologici permette poi di muoversi con maggiore agilità sul piano teorico (la “base sicura” che consente di esplorare senza perdersi): è così che, per esempio, in un capitolo particolarmente ispirato la definizione del fenomeno violento fa ricorso a autori distanti come il Konrad Lorenz della “Storia naturale dell’aggressività” e il Freud di “Il disagio della civiltà”, passando per Eric Fromm e Agnes Heller. Peraltro quei punti di partenza non sono mai assunti come dogmatici, ma anzi messi costantemente a confronto con pensieri diversi.
Un altro autore ampiamente utilizzato è
René Girard col suo studio del meccanismo del capro espiatorio.

Sono solo alcuni esempi a caso che pesco da un lavoro che è davvero denso e fitto di riferimenti. Il libro si dimostra importante a vari livelli e Arianna Barazzetti si annuncia autorevolmente come un’autrice a cui guardare per chi è interessato alla letteratura sistemica.