iFamilies: una indagine sulle famiglie digitali con figli adolescenti

iFamilies: una indagine sulle famiglie digitali con figli adolescenti

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di Alessandro Mantovani * e Silvia Ylenia L’Abbate **
* Psicologo Psicoterapeuta, Docente del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, Didatta del Centro Padovano di Terapia Famigliare, Dirigente Psicologo Dipartimento per le Dipendenze Azienda Ulss 5 – Regione del Veneto. alex.man74@gmail.com
** Psicologa Psicoterapeuta, ex allieva del Centro Padovano di Terapia della Famiglia. silviaylenia@libero.it

Introduzione

In questi ultimi anni l’utilizzo dei Nuovi Media 1 ha avuto un notevole sviluppo anche nel nostro Paese: gli italiani si connettono sempre di più, usando soprattutto i propri smartphone; parallelamente è sempre più diffuso l’uso di diversi Social Network, in particolare fra gli adolescenti. Tali cambiamenti legati alla diffusione delle nuove tecnologie stanno interessando la nostra società e contemporaneamente la nostra identità, lo spazio, il tempo, il nostro cervello, ed il nostro modo di comunicare e relazionarci.
Alla luce di queste riflessioni abbiamo voluto porre attenzione alle famiglie digitali con figli adolescenti, che comunicano e si relazionano online e offline, cercando di individuarne il profilo tecnologico e il loro funzionamento famigliare. La ricerca è stata condotta su un campione di 79 diadi figlio-genitore e verrà presentata nei paragrafi successivi.

Le famiglie digitali tra online e offline

L’uso dei nuovi media contribuisce ad abbattere la barriera tra virtuale (online) e reale (offline o face to face) nelle pratiche quotidiane, si sperimenta una difficoltà di distinzione sul piano percettivo tra eventi che si producono attraverso la mediazione tecnologica ed eventi comunicativi dell’attività in presenza (Marinelli, 2013). Secondo Castells (2007) i confini tra online e offline appaiono, almeno nelle pratiche quotidiane, permeabili. Si entra e si esce con facilità dai diversi contesti (online e offline), infatti ci sono sempre più forme di integrazione fra le diverse modalità, secondo la logica della “continuità” dell’esperienza comunicativa, invece che della “separazione” (delle identità, delle relazioni, delle forme di comunicazione). Riva (2014) parla di interrealtà, un nuovo spazio sociale ibrido in sui si fondono online e offline, digitale e reale, pubblico e privato. Aroldi (2016) introduce il concetto di “overlapping relazionale” come “forma di sovrapposizione di strutture di relazione e d’interazione sociale, offline e online, che avviene a più livelli o su più strati e il cui risultato non è la perfetta coincidenza punto per punto di ciascuno strato, quanto una configurazione sempre mutevole, un accavallamento ora parziale, ora ridondante, delle dinamiche relazionali, a livello inter e intragenerazionale, all’interno e all’esterno della famiglia.”
Dunque in questo contesto si inseriscono le famiglie digitali, le cosiddette iFamilies (denominazione presa in prestito da un lavoro di Williams e Merten del 2011), cioè quelle famiglie che comunicano e si relazionano sia online che offline. Sono famiglie in cui fra l’altro possiamo individuare i nativi digitali, espressione che, secondo Riva (2014), indica chi sa usare le nuove tecnologie senza sforzo; essere nativi digitali non è una questione generazionale, ma di capacità. Secondo Aroldi (2015) c’è una pluralità di forme e modelli che contribuiscono ad articolare la nozione di famiglie connesse, motivo per cui non può essere trattata come fenomeno unitario e omogeneo. Questa pluralità ha a che fare con variabili di tipo: strutturale (grado di diffusione delle tecnologie, velocità della loro innovazione, tasso di mobilità sociale, eterogeneità dei modelli famigliari), socio-demografico (posizione nel corso di sviluppo del nucleo familiare, età e genere dei suoi membri, località di residenza), socio-culturale (pattern comunicativi dominanti nelle famiglie, grado di alfabetizzazione digitale, affordance delle piattaforme) e relazionale (qualità dei legami inter e intragenerazionali).
In quest’ottica, Aroldi (2015) individua alcune tipologie di connessione familiare, basate sul modo in cui le strutture della relazione online interagiscono con quelle famigliari:

  1. Modello autonomo: famiglie i cui singoli membri agiscono individualmente online all’interno di social network che escludono reciprocamente gli altri membri della famiglia, perché assenti rispetto alla piattaforma utilizzata oppure perché nessuna connessione è stata attivata tra i rispettivi profili. In questo regime di autonomia, se ci sono parziali margini di sovrapposizione, cadono al di fuori dei confini famigliari, o sono fortemente periferici, tali comunque da non attivare connessioni né flussi comunicativi intrafamigliari.
  2. Modello integrato: famiglie i cui singoli membri replicano individualmente sul piano della connessione online, in alcune o in tutte le piattaforme frequentate, il piano delle relazioni famigliari. Si tratta di famiglie i cui membri presenti per esempio su Facebook si includono reciprocamente nella propria lista di contatti; altra possibilità è che sia stato attivato un gruppo famigliare chiuso, ad esempio su Facebook o su Whatsapp. Anche in questi casi, la connessione può essere più o meno inclusiva, estesa a tutti i membri e a tutte le generazioni o solo ad alcuni, attivata attraverso performance comunicative più o meno frequenti: la densità e la rilevanza di tale connessione dipendono dalle pratiche, dalle competenze, dalle affordance (i soggetti cambiano solo se costretti o se il cambiamento rappresenta un’opportunità significativa), dalla qualità pregressa delle relazioni offline, che possono essere più o meno efficacemente abilitate e sostenute da quelle online.
  3. Modello unitario: vi è la presenza online del gruppo famigliare in quanto tale, una soggettività superindividuale, un noi plurale che assume visibilità pubblica e agisce comunicativamente in connessione con altri (singoli, famiglie o istituzioni). È l’esempio, abbastanza diffuso, di coppie che condividono lo stesso profilo Facebook. Quindi in questa pluralità entrano in gioco: i social media, che non sono tutti uguali, che mutano abbastanza velocemente e che permettono certe modalità di relazione piuttosto che altre; le variabili relazionali, la trama e la qualità dei legami famigliari offline che possono spingere verso l’una o l’altra configurazione relazionale (Aroldi, 2015).

Allo stesso tempo l’autore fa ulteriori considerazioni sui social media che sembrano:
– riprodurre le dinamiche relazionali preesistenti, sia per quanto riguarda la qualità delle relazioni offline, sia per la fruizione e il mantenimento del capitale sociale;
– privilegiare la dimensione orizzontale della relazione rispetto a quella verticale, e favorire il peer bonding e il bridging rispetto al family bonding 2;
– accentuare la funzionalità di coordinamento e la sensazione di vicinanza, ma non sempre e necessariamente ne deriva un miglioramento della qualità delle relazioni famigliari.
Marinelli (2013) definisce le famiglie di oggi famiglie networked: i nuclei famigliari sono diventati più piccoli e meno stabili quanto a composizione; i ruoli famigliari e la distribuzione dei tempi della vita domestica vedono un diverso bilanciamento tra generi; tempo e intensità degli impegni professionali contribuiscono ad un confine più fluido tra attività domestica e attività di lavoro. Il tempo a disposizione per i compiti parentali e per le attività domestiche è diminuito con conseguente accelerazione dei ritmi e ricorso al multitasking. I figli sono sempre più presi dagli impegni esterni all’ambiente famigliare, viene loro richiesta una maggiore autonomia nella gestione dell’attività quotidiana conseguente a una decisa riduzione del tempo trascorso coi genitori. Marinelli (2013) individua all’interno delle famiglie networked le pratiche di netting together: l’ipotesi di fondo è che il ricorso ai nuovi media serva a supportare e rafforzare l’interazione faccia a faccia con i famigliari (Raine, Wellman, 2012). Quindi, il netting together permette la condivisione di materiali digitali, apre spazi di valutazione comune su esperienze, persone, modalità di comportamento che altrimenti rimarrebbero confinate alla sfera individuale; il netting together può anche dar luogo a nuove routine famigliari (es. decidere insieme via chat cosa preparare per pranzo). Dall’altro lato, aspetti problematici potrebbero essere le attività che i figli (minorenni) svolgono online; su questo alcune famiglie mettono in atto la netiquette, ovvero regole stabilite di sicurezza e indicazioni genitoriali. Rientrano nella netiquette: stringere amicizia sui social network con i figli, regole sui siti da visitare, regole sul tipo di informazioni che si possono condividere sui social network, limiti di tempo da trascorrere online, filtro famiglia che impedisce di visitare alcuni siti web, software di monitoraggio per verificare le attività online. Giaccardi (2013) vede la famiglia come un “controambiente” rispetto alle relazioni online, nel senso che aiuta a contenerne le derive, e consente di ripensare e valorizzare alcune qualità della comunicazione in famiglia.

Connessioni sistemiche coi fenomeni legati alla Rete

In ambito sistemico, ad oggi, pochi ci risultano essere gli autori che si sono occupati dei fenomeni legati alla Rete, all’online e offline (Bedini 2012, 2013, 2017; De Checchi et. al., 2012; Di Grado, 2017; Gamba, 2006; Iacone, 2005; Mastropaolo, 2011; Nascimbene, 2003).
In questo lavoro faremo delle connessioni tra il pensiero sistemico e alcuni concetti utilizzati in particolare dalla Psicologia dei Nuovi Media quali: identità, Sé, ipertesto, narrazione, relazioni, positioning theory, comunicazione, tempo, spazio.
L’essere presenti in un medium ha effetto sulla nostra esperienza d’uso, ma anche sulla nostra identità (Riva 2012; 2014). Anche Bateson (1972) in “Forma, sostanza e differenza” afferma che l’identità del soggetto deriva da unprocesso che si compie attraverso scambi sociali e connette i vari archi di circuito che la costituiscono. In generale gli autori che parlano di un Sé frammentato all’interno della Rete, riescono a parlarne non in termini di patologia, ma in termini neutri, accostandolo al Sé di Bateson (1972) inteso come processo in divenire e legato allo scambio con l’altro (Bedini, 2012). Galzigna (2008) e Giuliani (2012) sottolineano la frammentazione dei Sé virtuali come configurazioni identitarie molteplici, che si attuano in un continuo scambio e incontro con l’altro e con i compiti e le aspettative della vita sociale. Turkle, (1996) parla di Sé frammentato, non unitario che viene disegnato a seconda delle esigenze e dei desideri del protagonista e a seconda dell’ambiente virtuale e quindi relazionale in cui si trova. Secondo Nascimbene (2003), il Sé, nell’era digitale, verrebbe co-costruito in relazione a ciò che nel linguaggio digitale viene chiamato “ipertesto”, prendendo come immagine/metafora il rapporto tra persone mediato dalle regole del contesto Internet. L’ipertesto è un testo virtuale composto da insiemi di parole e/o immagini visive/auditive organizzati elettronicamente da regole, in una testualità aperta-chiusa e mai definitiva. Nell’ipertesto le reti connesse sono numerose e interagiscono fra di loro (Landow, 1992). L’ipertesto non possiede né inizio né fine, ma è una struttura circolare, reversibile e interattiva; esso ha una tendenza alla dinamicità, è una nuova costruzione del tempo e dello spazio, quindi una nuova costruzione della realtà (ib.). Giuliani (Giuliani, Nascimbene, 2009) utilizza quindi la metafora della pagina online con i suoi innumerevoli link con altre pagine, in cui ogni soggetto può muoversi secondo le proprie esigenze e preferenze andando a co-costruire una propria narrazione. In questo modo la prospettiva dell’ipertesto costituisce un nuovo paradigma di Sé plurale, mutevole e complesso, perché prodotto di una narrazione costruita e riassemblata di volta in volta da più soggetti che sono allo stesso tempo lettori ed autori di questa narrazione. Internet e i social network permettono di creare narrazioni nuove e nuovi modi per esprimerle (Bedini, 2012).
Per analizzare i nuovi media Riva (2012; 2014) fa riferimento alla positioning theory (Davies e Harrè, 1990); i nuovi media permettono di avere un ruolo attivo nel definire le caratteristiche della propria “posizione” all’interno dei gruppi sociali di riferimento. Allo stesso tempo le possibilità di ricerca e di analisi offerte da internet permettono di verificare più facilmente la “posizione” degli altri e di confrontarla con la propria. Come suggerito dalla positioning theory è attraverso la narrazione che il soggetto definisce la propria identità, dove per narrazione intendiamo il soggetto che interpreta gli eventi, descrivendoli e legandoli attraverso una trama che riflette uno specifico significato (Bruner, 1986). La positioning theory è ripresa anche nei lavori di Ugazio (1998; 2012) secondo cui le persone posizionano loro stesse, e di conseguenza gli altri, sulla base di quello che dicono e fanno. La conversazione in ogni famiglia è organizzata entro significati antagonisti, cosiddette polarità semantiche famigliari, che costituiscono una trama condivisa di significati entro le quali ciascun membro della famiglia deve necessariamente prendere posizione nella conversazione.
A proposito di comunicazione, un punto di riferimento per l’approccio sistemico relazionale è il lavoro sulla “Pragmatica della comunicazione umana” di Watzlawick e coll. (1971), in cui sono presentati gli assiomi della comunicazione, ovvero le proprietà tipiche della comunicazione che hanno delle implicazioni relazionali. Tali assiomi De Checchi et al. (2012) li hanno utilizzati per analizzare la comunicazione online:

  1. Non si può non comunicare.

Quando si è online il soggetto è in una condizione in cui l’attività o l’inattività, le parole o il silenzio, una foto, un’immagine, hanno tutte valore di messaggio, influenzano l’altro, ed è quindi impossibile non comunicare.

  1. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è, quindi, metacomunicazione.

Nella comunicazione online, si sceglie a chi comunicare (relazione) e che cosa comunicare (contenuto); l’aspetto del contenuto però sembra essere predominante tra i soggetti che interagiscono online, mentre risulta particolarmente difficile da definirsi l’aspetto di relazione tra le parti coinvolte. Per esempio nelle comunicazioni online, risulta difficile discriminare un rifiuto da una disconferma. Se A sta chattando con B, e B risponde ad A dopo un intervallo di tempo particolarmente prolungato, che cosa comunica? Rifiuto, e quindi “Non sono d’accordo con te”, oppure disconferma, e quindi “Tu non esisti”?

  1. La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.

Risulta difficile individuare la punteggiatura delle sequenze di comunicazione online, tanto più se, come abbiamo detto esperienze online e offline si intersecano. Un parametro che rimane solitamente imprecisato da parte dei comunicanti, ma importante nella comunicazione online, è la temporalità. Il silenzio da parte del ricevente, o il semplice attardarsi della risposta, possono talvolta far pensare all’emittente a vissuti di rifiuto, facendo sorgere conflitti su ciò che si considera la causa e ciò che si considera l’effetto dei reciproci comportamenti. Nell’interazione online diventa allora essenziale la capacità di riconoscere la diversità delle percezioni individuali di tempo.
De Checchi et al., (2012) si domandano: Che ruolo può giocare questa nuova dimensione spazio-temporale nelle relazioni interpersonali online? Potrebbe essere che le regole della comunicazione nel cyberspazio contribuiscano a creare una nuova matrice di relazione.
Anche in psicoterapia sistemico-relazionale per esempio, è importante recuperare le differenze temporali, la storia, l’individuo (Boscolo, Bertrando, 1996). Per uno sviluppo armonico è necessaria una coordinazione dei tempi interni e dei tempi esterni, dei tempi dell’individuo con i tempi delle persone significative con cui è in relazione e con i tempi sociali. Per il terapeuta sistemico sono importanti il tempo sincronico e il tempo diacronico, ovvero l’esplorazione di un determinato momento della storia (sincronia) in relazione al suo svolgimento complessivo, per esempio in relazione con la storia della famiglia o con l’evoluzione della relazione terapeutica (tempo diacronico) e viceversa.

  1. Gli esseri umani comunicano sia con il verbale (modulo numerico) che con il non-verbale (modulo analogico).

Gamba (2006) riprende il quarto assioma, sottolineando che la differenza tra comunicazione offline e comunicazione online risieda nel fatto che in quest’ultima mancano totalmente gli indicatori cinetici e para-linguistici, e ci si affidi quasi totalmente al linguaggio digitale scritto. L’unica eccezione sarebbero le cosiddette “faccine” o “smiley”, che fungono da rinforzo espressivo-appellativo, e per compattare e restringere al massimo gli elementi del discorso. Per Bedini (2012) l’uso della webcam potrebbe essere considerato un tentativo di integrare la comunicazione virtuale con quella analogica, ma non sembra essere il mezzo privilegiato di condivisione all’interno delle relazioni in Internet.

  1. Gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o la differenza.

Secondo De Checchi et al. (ib.) la possibilità di sperimentare diverse posizioni all’interno delle interazioni online (passaggio da una relazione simmetrica ad una relazione complementare e viceversa), potrebbe essere in parte riconducibile alla mancanza di una storia pregressa che permetta ai soggetti di proporsi, nell’hic et nunc, con modalità relazionali diverse. Mentre nella vita di tutti i giorni, i soggetti sono investiti di ruoli e posizioni costruitesi nel tempo, connessi alla storia personale e al sistema di appartenenza. Gli autori riportano l’esempio del cyberbullo che pare rapportarsi prevalentemente in maniera complementare nei confronti della vittima, ma online vi è la possibilità di sperimentare con rapidità anche l’inversione di posizione up/down. 

La ricerca sulle iFamilies

La maggior parte delle ricerche che si concentrano sull’uso dei Nuovi Media all’interno delle relazioni famigliari sono state condotte in ambito statunitense (Aroldi, 2015). Per quanto riguarda la situazione italiana segnaliamo un numero della rivista di Studi Interdisciplinari sulla Famiglia (a cura di Scabini e Rossi, 2013) intitolata “Famiglia e Nuovi media” che espone alcuni saggi e ricerche sull’uso dei nuovi media ed in particolar modo sull’influenza che essi hanno sugli adolescenti e sull’organizzazione famigliare.
In questo articolo esponiamo la nostra ricerca che ha avuto come obiettivo generale quello di indagare le relazioni famigliari online e offline in un campione di famiglie con figli adolescenti. La nostra, fra l’altro, risulta essere la prima ricerca in cui si somministra uno strumento di stampo sistemico quale è il FACES III.
L’ipotesi è che i nuovi media aiutino i membri delle famiglie a restare connessi fra di loro, in un continuum relazionale fra online e offline.
Altra ipotesi è che un uso problematico di internet da parte del figlio sia correlato ad un funzionamento famigliare meno coeso dal punto di vista relazionale.
Obiettivi specifici della ricerca sono stati:
– individuare quali sono i dispositivi tecnologici posseduti per la connessione internet;
– rilevare il tempo di connessione trascorso online;
– individuare quali sono le attività che i soggetti fanno online e offline;
– individuare se e per quale motivo i famigliari utilizzano i social media fra di loro;
– analizzare il tipo di funzionamento famigliare nelle iFamilies e il loro grado di soddisfazione (discrepanza tra famiglia ideale e percepita);
– indagare se i figli hanno un problema con l’uso di internet;
– indagare se c’è una correlazione tra uso di internet da parte dei figli e tipo di funzionamento delle relazioni famigliari.

Campione

Per il campione abbiamo coinvolto l’I.I.S. “Leonardo da Vinci” di Padova, ed in particolare 79 diadi figlio-genitore; i figli fanno parte di 6 classi dell’istituto, appartenenti a diversi indirizzi di studio: 4 classi dell’indirizzo servizi socio-sanitari, 1 classe dell’ indirizzo servizi commerciali, 1 classe dell’indirizzo turismo.
Guardando la distribuzione del campione, i figli hanno un’età media di 14 anni (essendo appartenenti a classi di prima superiore) mentre i genitori hanno un’età media di 45 anni con una d.s. di circa 5 anni.
La distribuzione per genere è così suddivisa: dei figli vi sono 67 femmine e 12 maschi, di cui n. 48 primogeniti, n. 20 secondogeniti e n.10 terzogeniti (o più); dei genitori n. 65 madri e n.14 padri. Quindi sul totale c’è una prevalenza del genere femminile.
Il campione è composto da soggetti di nazionalità italiana e straniera, in particolare: fra i figli n. 66 sono italiani e n. 13 sono stranieri; dei genitori n. 59 sono italiani e n. 20 sono stranieri.
Per quanto riguarda la scolarità i genitori per la maggior parte possiedono un titolo di licenza media superiore (n. 34), seguono poi quelli con licenza media inferiore (n. 24), laurea specialistica (n.13), laurea triennale (n. 6), e sono pochi quelli con licenza elementare (n. 2).
Dal punto di vista dell’occupazione, i genitori risultano in prevalenza occupati (n. 56), ci sono poi n. 23 soggetti che sono disoccupati o che comunque sono a casa.
Per quanto riguarda il numero dei figli per ogni nucleo famigliare abbiamo: n. 12 nuclei con figlio unico, ben n. 41 nuclei con due figli, n. 17 nuclei con tre figli, n. 5 con quattro figli, n. 3 con cinque figli, e n. 1 nucleo con sei figli.

Strumenti e Procedura

Ai fini degli obiettivi della ricerca abbiamo scelto di somministrare tre strumenti.
Il primo è la SCHEDA INFORMATIVA: Abbiamo creato ad hoc questo questionario con una prima parte che raccoglie i dati anagrafici dei singoli soggetti, ed una seconda parte con lo scopo di ricostruire il profilo tecnologico dei soggetti andando a indagare gli strumenti che possiedono per la connessione e per quanto tempo si connettono; le attività che svolgono online e offline; quali sono le motivazioni per cui prevalentemente si relazionano online fra di loro figli e genitori; infine la percezione dei soggetti rispetto del numero di contatti online e offline.
Il secondo strumento è l’UADI: Uso Abuso Dipendenza da internet proposto da Del Miglio, Gamba e Cantelmi (2001). Abbiamo scelto questo strumento, nonostante ne siano stati creati numerosi sul tema internet, perché considerava sia l’aspetto dell’uso sia dell’abuso di internet.
L’UADI si compone di 80 item a cui è possibile rispondere secondo una scala Likert a cinque livelli (1=assolutamente falso; 2=piuttosto falso; 3=né vero né falso; 4=abbastanza vero; 5=assolutamente vero). Sono cinque le dimensioni indagate dal test:

  • Dipendenza (DIP): la comparsa di sintomi di dipendenza, come il progressivo aumento del tempo di collegamento, la compulsività e l’eccessivo coinvolgimento. Item della scala sono per esempio: n. 16 “Mi capita di restare on line più di quanto intendessi inizialmente”; n. 34 “Qualche volta sento il bisogno di collegarmi a Internet anche solo per un momento”; n. 56 “Non perdo ore di sonno a causa di Internet”.
  • Evasione compensatoria(EVA): la tendenza ad evadere dalle difficoltà quotidiane mediante Internet. Item della scala sono per esempio: n. 53 “Qualche volta penso che la vita reale sia più deprimente della vita on line”; n. 57 “Qualche volta, dopo una giornata storta, sento il bisogno di collegarmi”; n. 58 “Qualche volta uso Internet come valvola di sfogo alle mie preoccupazioni”.
  • Dissociazione (DIS): la comparsa di esperienze sensoriali bizzarre, la tendenza all’alienazione e alla fuga dalla realtà. Item della scala sono: n. 62 “Dopo alcune ore di collegamento mi sento leggermente stordito o ho delle sensazioni strane”; n. 74 “Internet influenza i miei pensieri o i miei sogni”.
  • Impatto sulla vita reale (IVR): la comparsa di conseguenze sulla vita reale, il cambiamento di abitudini, umori e rapporti sociali. Item della scala sono: n. 43 “Internet non interferisce negativamente con il lavoro, lo studio o i rapporti sociali”; n. 49 “Non mi capita mai di preferire Internet a una serata con amici o familiari”; n. 59 “Non cerco di nascondere agli altri la quantità di tempo che trascorro in Internet”.
  • Sperimentazione (SPE): la propensione ad usare Internet per sperimentare parti del sé e/o per cercare nuove emozioni. Item della scala sono: n. 65 “Spesso mi collego per avere un mio spazio privato”; n. 36 “Spesso mi collego per scacciare la noia”; n. 31 “Tendo a descrivermi in modo diverso da quello che sono quando uso chat, posta elettronica o giochi di ruolo”.

Il terzo strumento è il FACES III (Family Adaptability and Cohesion Evaluation Scale III): di Olson, Portner e Lavee (1985). Si tratta di un questionario self-report utile per lo studio dell’interazione e delle relazioni familiari in riferimento a variabili individuali, di coppia e di famiglia e alla sintesi di percezioni e aspirazioni dei diversi membri di una famiglia (Scabini, 1994). Lo strumento si basa sul Modello Circonflesso di Olson et al. (1983) che prevede una classificazione di “tipi familiari” creata a partire dai livelli di coesione e di adattabilità.
Il concetto di coesionefa riferimento sia a vincoli emozionali, ovvero ai legami reciproci tra i membri della famiglia, e sia al grado di autonomia personale di ciascun componente del nucleo famigliare. L’adattabilitàindica invece la capacità di un sistema famigliare o di coppia di cambiare le proprie strutture di potere, i ruoli e le regole relazionali in risposta a situazioni di sviluppo e stress.
Attraverso l’articolazione e la gradualità di coesione e adattabilità, ritenute centrali nel processo di morfostasi e morfogenesi del sistema, Olson et al. (1983) hanno elaborato una tipologia di funzionamento familiare a sedici categorie, dove nessuno dei tipi di funzionamento è patologico di per sé: la disfunzionalità nasce nel momento in cui un nucleo famigliare ripropone rigidamente una certa modalità, senza possibilità di muoversi lungo le dimensioni. Potremmo sintetizzare i sedici tipi famigliari in tre categorie di famiglie: bilanciate (area centrale della mappa), intermedie (area intermedia della mappa) ed estreme (aree estreme della mappa). Quindi tra le famiglie bilanciate si collocano i nuclei famigliari che ottengono punteggi medi su entrambe le dimensioni di coesione e adattabilità; alla tipologia intermedie corrispondono quelle famiglie che raggiungono il massimo o il minimo livello per una dimensione e valori intermedi per l’altra; infine le estreme sono costituite da famiglie che si collocano su valori massimi o minimi in entrambe le dimensioni. Il Faces III consente la collocazione di ogni componente all’interno del modello Circonflesso e permette di visualizzare le percezioni dei membri in rapporto alla situazione attuale della famiglia (famiglia percepita) e alle aspirazioni di cambiamento futuro della famiglia stessa (famiglia ideale). La discrepanza tra famiglia percepita e famiglia ideale fornisce una misura dell’insoddisfazione famigliare.
Il Faces è suddiviso in due scale: una rileva la percezione della situazione famigliare (famiglia percepita), l’altra è una scala analoga (composta dagli stessi item, con una leggera variazione nella formulazione) che intende misurare la coesione e l’adattabilità che idealmente il soggetto vorrebbe nella propria famiglia (famiglia ideale).
Gli item sono di tipo monodirezionale, tutti nel senso della massima espressione delle due dimensioni coesione e adattabilità, e consistono in affermazioni relative a diversi aspetti della vita e del funzionamento della famiglia.
Modalità di risposta: scala Likert a cinque punti (da 1=quasi mai, 2=ogni tanto, 3=a volte, 4=di frequente, 5=quasi sempre).
Per ciò che riguarda i punteggi, è possibile calcolare due punteggi corrispondenti alla somma dei punteggi parziali ottenuti negli item di coesione e adattabilità, sia per la famiglia percepita, che per la famiglia ideale. Si può inoltre calcolare, confrontando le risposte riferite alla famiglia percepita con quelle relative alla famiglia ideale, un punteggio di discrepanza: un’alta discrepanza corrisponde a un elevato grado di insoddisfazione; al contrario, una bassa discrepanza corrisponde a un grado basso o nullo di insoddisfazione famigliare (Barni, 2006).
Ai partecipanti è stata fatta una breve introduzione sugli obiettivi della ricerca, ed una spiegazione dei test che avrebbero compilato. Poi nello specifico abbiamo somministrato ai figli i seguenti strumenti: scheda informativa, Uadi e Faces III; ai genitori scheda informativa e Faces III. Le famiglie potevano scegliere in autonomia chi dei genitori, uno o entrambi, avrebbe compilato i test. Nel nostro campione hanno partecipato un genitore per figlio, prevalentemente le madri; tra i figli c’è una prevalenza di partecipazione di ragazze.

Risultati

Iniziamo con l’esporre i risultati che riguardano il profilo tecnologico dei partecipanti. Il dispositivo tecnologico più posseduto è lo smartphone sia per i figli (96%) sia per i genitori (95%). Segue il computer per l’82% dai figli e il 74% dai genitori. Troviamo poi il tablet, posseduto dal 49% dei figli e dal 40% dai genitori. Infine il 41% dei figli e il 27% dei genitori hanno dei dispositivi di gioco. In generale sono i figli a possedere maggiormente dispostivi tecnologici. Relativamente alla “Quantità di tempo che si trascorre connessi alla rete internet”: la maggioranza dei genitori naviga in internet per una minore quantità di tempo (in ore) (82%), mentre i figli sono decisamente connessi per più ore, “3-5 ore” (53%) e “più di 6 ore” al giorno (12%). Attività più frequenti online: i figli utilizzano soprattutto chat e social network. Alta anche la percentuale dei figli che utilizzano streaming e/o scaricano download. Più distribuite le risposte dei genitori che utilizzano soprattutto social network, motori di ricerca, chat. Attività offline: frequentare amici è svolta maggiormente da figli e genitori; questo sembra essere un buon indicatore rispetto al coltivare relazioni anche al di fuori della famiglia, nella rete sociale, quindi in altri contesti e sistemi; i social network quindi alimentano il capitale sociale.

Fig. 1 – Utilizzo dei social media fra i famigliari (val. per.)

La Fig.1 fa riferimento all’item che indaga: “Nella nostra famiglia utilizziamo social media o strumenti di instant messaging fra di noi prevalentemente per”. Sia i figli (53%), sia i genitori (73%) li utilizzano per “questioni di tipo pratico”; il 29% dei figli li utilizza per prendere decisioni o risolvere problemi (cognitive), rispetto al 16% dei genitori. I figli (24%) utilizzano tali strumenti per condividere emozioni riguardo a eventi ed esperienze, rispetto al 30% dei genitori. Una discreta percentuale di figli (14%) e genitori (13%) dichiara di non utilizzare tali strumenti per comunicare tra famigliari.
Per quanto riguarda le risposte all’item “Se dovessi quantificare i tuoi CONTATTI ONLINE (ovvero tutti quelli che hai all’interno dei tuoi profili online), quanti sono?”, in generale sono di più i genitori a dichiarare di avere una cerchia più stretta di contatti online, infatti il 58% si colloca nella fascia “da 1 a 100” contatti online; la maggior parte dei figli (43%) dichiara di avere “da 1 a 100” contatti online.
All’item “Fra i tuoi contatti online, quanti sono semplici CONOSCENTI (ovvero coloro con cui non interagisci abitualmente, né online nè nella vita quotidiana)?” sia la maggioranza dei figli (58%) che dei genitori (50%) risponde “da 1 a 50”, quindi dichiarando di avere pochi conoscenti fra i propri contatti online.
La maggioranza del campione risponde di avere “da 1 a 50” amici: il 46% dei figli e in prevalenza i genitori con il 65%.
Esponiamo ora risultati degli strumenti Faces III e Uadi.

Fig. 2 – Funzionamento famigliare (val. perc.)

Il grafico a torta in Fig. 2 mostra i risultati del Faces III (in valori percentuali). Abbiamo suddiviso le famiglie in base al loro funzionamento, ed è emerso che n. 32 famiglie (40%) sono bilanciate, n. 37 (47%) sono intermedie, n. 10 (13%) sono estreme.


Fig. 3 – Livello di insoddisfazione delle famiglie del campione (punto. grezzi)

Il grafico (v. Fig.3) mostra dove si collocano le famiglie del nostro campione quanto a livello di insoddisfazione, che è il risultato della discrepanza tra famiglia percepita e famiglia ideale. Abbiamo poi raggruppato i livelli di insoddisfazione delle famiglie in questo modo:
. da 21 a 45: alta insoddisfazione
. da 11 a 20: media insoddisfazione
. da 1 a 10: bassa insoddisfazione
. da -10 a 0: bassa soddisfazione
. da -20 a -11: media soddisfazione
. da -45 a -21: alta soddisfazione
Quindi è emerso che n. 7 famiglie hanno un’alta insoddisfazione, n. 23 famiglie hanno una media insoddisfazione, n. 39 famiglie hanno una bassa insoddisfazione; poi, n. 8 famiglie hanno una bassa soddisfazione, n. 2 hanno una media soddisfazione. Per sintetizzare sembra prevalere una bassa insoddisfazione.
Se osserviamo per ogni figlio singolarmente i punti T in ogni scala Uadi, rileviamo che ci sono dei soggetti che presentano punti T bassi o alti. Sono più che altro da evidenziare i 3 soggetti che si collocano nella “alta evasione”, e i 5 soggetti che presentano un alto “impatto sulla vita reale”. Ciononostante questi 8 soggetti appartengono a famiglie con un funzionamento bilanciato o intermedio.

Tab. 1 – Correlazione tra dimensioni Faces III e dimensioni Uadi

Abbiamo poi deciso di fare delle correlazioni con l’indice di Pearson fra le dimensioni del Faces (adattabilità percepita e ideale, coesione percepita e ideale, insoddisfazione) e dello Uadi sulla base delle risposte dei figli e genitori (v. Tab. 1). Fra tutte le correlazioni ne abbiamo riscontrata una che riguarda due diverse dimensioni dei due strumenti utilizzati: all’aumentare della coesione percepita dai figli (Faces III) diminuisce l’evasione dai problemi reali (Uadi) con un valore di – 0.34.

Discussione

I risultati ci confermano quanto le famiglie oggi siano digitali, infatti i dispositivi tecnologici posseduti per la connessione internet sono numerosi (i soggetti spesso ne dispongono di più di uno) e quali sono le diverse attività che i soggetti svolgono online. Fra i dispositivi il più posseduto è lo smartphone (figli 96%; genitori 95%); questo dato sembra confermare le statistiche nazionali secondo cui gli italiani si connettono sempre più utilizzando lo smartphone a dispetto delle connessioni effettuate da altri dispositivi. Da notare come anche i dispositivi di gioco sono molto diffusi, quasi la metà dei figli del nostro campione ne è in possesso (41%).
Rispetto alla quantità di tempo che si trascorre connessi alla rete in termini di ore, la maggior parte dei genitori (82%) trascorre 1-2 ore al giorno in internet. I figli risultano essere più connessi dei genitori: il 53% trascorre dalle 3 alle 5 ore in internet, ed il 12 % dei figli si connette per più di 6 ore al giorno. Secondo alcuni autori (Cantelmi et. al. 2000) 5-6 ore al giorno rappresenterebbe il valore critico superato il quale si rischia di entrare nel circuito della dipendenza da internet, o meglio si rischia di avere un uso problematico di internet. Per questa parte del campione (12% dei figli) che si connette per più di 6 ore al giorno sarebbe interessante approfondire se e in che modo queste ore di connessione influiscono sulle altre attività offline giornaliere (pomeridiane e/o serali) dei ragazzi, dato che per esempio almeno la mattina a scuola non è permesso usare lo smartphone.
Se poi andiamo a guardare quali sono le attività più frequenti online che si svolgono almeno 4 volte la settimana, i figli utilizzano soprattutto chat (81%) e social network (75%); questo dato conferma che i social media sono molto diffusi tra i più giovani. Alta è anche la percentuale dei figli che utilizzano streaming e/o scaricano download (63%), più basso, ma comunque rilevante, è l’utilizzo di videogiochi online (16%). Maggiormente distribuite sono le risposte dei genitori che utilizzano abbastanza i social network (54%), i motori di ricerca (54%) e le chat (42%). Salta subito all’occhio la differenza di percentuali di utilizzo tra figli e genitori per due opzioni di risposta: le email sono maggiormente utilizzate dai genitori (57%) a fronte del 10% dei figli; streaming/download viene maggiormente utilizzato dai figli (63%) a fronte del 14% dei genitori. Si potrebbe ipotizzare che le email siano utilizzate più dai genitori anche per questioni più formali, per esempio per comunicazioni di lavoro.
Per quanto riguarda le attività che si preferiscono fare offline almeno due volte la settimana, il frequentare amici è quella svolta maggiormente dai figli (78%), ma è significativa anche la percentuale dei genitori (59%); questo sembra essere un buon indicatore da parte del nostro campione rispetto al coltivare relazioni anche al di fuori della famiglia, nella rete sociale, quindi in altri contesti, in altri sistemi. Come riscontrato anche in letteratura (Kaare et al. 2007; Brandtzaeg et. al. 2010) i social network alimentano il capitale sociale, infatti sono efficaci nel sostenere le dinamiche di peer bonding (legami tra pari), e questo può valere sia per i figli, sia per i genitori. Inoltre, sempre in letteratura (ib.) abbiamo riscontrato che la prima ragione di utilizzo dei social network risulta essere la comunicazione con gli amici, seguita dalla ricerca di nuove amicizie e conoscenze, dal contatto con vecchi amici; verrebbe da pensare quindi che i social network siano lo strumento che permetta di comunicare (online e offline) e frequentare amici (offline). In questo senso verrebbe confermato il concetto di rete come spazio sociale ed in particolare come spazio di relazione online e offline.
Sempre in relazione alle attività offline, i figli ascoltano musica (85%) il doppio dei genitori (39%); questo dato sembra essere collegato con l’attività online dello streaming/download del 63% dei figli, nell’ottica secondo cui i figli scaricano musica online e la ascoltano offline. Tra le attività che fanno almeno due volte la settimana, sia figli (37%) sia i genitori (35%) inseriscono quelle culturali: cinema, teatro, lettura. Viene facilmente da pensare che possa essere la Rete stessa ad aiutare a diffondere informazioni e pubblicizzare film, spettacoli, eventi, libri (per es. pensiamo agli “eventi” pubblicizzati in Facebook: se ci si segna come partecipante l’evento poi comparirà agli altri nostri amici) e a coltivare interessi culturali; cinema e teatro potrebbero anche creare occasioni per frequentare gli amici, e quindi alimentare quel peer bonding di cui parlavamo prima.
I risultati sull’utilizzo dei social media e strumenti di instant messaging fra membri della famiglia mostrano che solo una piccola parte del campione il 14% dei figli e il 13% dei genitori dichiara di non utilizzare tali strumenti per comunicare in famiglia. Quindi oltre l’80% sul totale del campione li utilizza. Questo risultato sembra confermare la presenza delle pratiche di netting together (Marinelli, 2013; Raine, Wellman, 2012) e cioè la condivisione fra membri della famiglia di informazioni, emozioni, esperienze, con la possibilità di dar luogo a nuove routine famigliari. Sembra inoltre confermare quanto descritto dalle ricerche del Pew Research Center, ovvero che le famiglie networked sono in movimento connesso: l’integrazione delle connessioni online nelle routine quotidiane consente un maggior coordinamento operativo a distanza tra i diversi membri (nell’item, la risposta “questioni di tipo pratico”, “prendere decisioni o risolvere problemi”) e contribuisce a mantenere un senso di prossimità e vicinanza anche a carattere espressivo (nell’item, la risposta “condividere emozioni riguardo a eventi e esperienze”). La Rete in questo senso è la “struttura che connette”. In letteratura (Rivoltella, 2013) l’interazione tra genitori e figli attraverso social media sarebbe positiva in quanto costituisce l’occasione di dialogo coi figli sulle esperienze fatte in rete e la stessa relazione verrebbe arricchita grazie alla comunicazione tra generazioni.
Vorremmo fare una osservazione generale sulle risposte agli item dove si chiede di quantificare i contatti online, i conoscenti e gli amici online e offline. I risultati sembrano confermare quanto trovato in letteratura, ovvero di come internet sia spazio di performances identitarie, che possono essere estensive, per quei soggetti che esibiscono la propria rete di amici come parte del proprio “capitale reputazionale”, o intensive, per quei soggetti che usano un numero più ristretto di risorse espressive, ma in modo finalizzato, spesso attestando momenti di convivialità offline con gli amici.
Dai risultati di Faces III e Uadi emerge un campione composto da un funzionamento famigliare di tipo prevalentemente intermedio e bilanciato; ci sono anche n. 10 famiglie che hanno un funzionamento di tipo estremo, ciò vuol dire che sono famiglie che si collocano su valori massimi o minimi in entrambe le dimensioni di coesione e adattabilità. Ricordiamo che la coesione riguarda il legame emotivo che unisce i membri della famiglia e comprende la rappresentazione che ognuno di noi porta con sé dei legami famigliari; la coesione focalizza il bilanciamento fra senso di appartenenza e di separazione nelle relazioni famigliari; l’adattabilità indica invece la capacità di un sistema famigliare di cambiare le proprie strutture di potere, i ruoli e le regole relazionali in risposta a situazioni di sviluppo e stress.
Inoltre, calcolando il livello di insoddisfazione delle famiglie del campione sembrerebbe che vi siano più famiglie insoddisfatte che soddisfatte.
I risultati dello Uadi ci mostrano che quasi il totale del campione dei figli non presenta problemi rispetto all’uso di internet; fanno eccezione 3 figli con un’alta evasione (utilizzo della rete come evasione dai problemi reali, difficoltà a stabilire relazioni sociali), ma che comunque rientrano nella percentuale di famiglie con funzionamento bilanciato. Vi sono inoltre n. 5 figli con un alto impatto sulla vita reale (disagio sociale, affaticamento psicofisiologico, stravolgimento delle consuete abitudini), ma che rientrano tra le famiglie con un funzionamento bilanciato o intermedio.
Abbiamo anche rilevato che all’aumentare della coesione percepita del figlio diminuisce l’evasione (-0.34); quindi sembrerebbe che più il figlio sente il legame emotivo che unisce i membri della famiglia, meno tenderà ad evadere dalle difficoltà quotidiane mediante l’uso di internet.
Più in generale sarebbe interessante sapere rispetto ai dati emersi, che ruolo giocano la parental mediation e domestication of technology individuate in altre ricerche sul tema, cioè quanto i genitori mettano in atto strategie di mediazione parentale per l’uso delle nuove tecnologie e in che modo quest’ultime sono incorporate nello spazio domestico che comprende valori, pratiche e stili vita della famiglia e dei suoi membri.

Conclusioni

L’obiettivo della ricerca è stato quello di analizzare le relazioni in famiglie con figli adolescenti. Rispetto all’ipotesi di partenza abbiamo riscontrato che la maggior parte delle famiglie del campione sono in movimento connesso: i nuovi media aiutano i membri delle famiglie a restare connessi fra di loro, online e offline; quindi le attività online e offline si compensano, si intersecano. Inoltre, i social media sono degli spazi sociali che consentono ai soggetti di gestire la propria rete sociale, di avere amici online e di frequentarli offline. Attraverso l’uso dei nuovi media il Sé viene co-costruito, grazie alla narrazione in un continuo scambio sociale; così l’individuo assume la sua posizione. In un’ottica di circolarità le relazioni influenzano l’uso dei social media e l’uso dei social media influenza le relazioni, in uno scambio continuo, in un processo di riadattamento.
Come sostengono alcuni autori (Di Grado et. al., 2017) concettualizzare i social media come risorsa consente di affermare che siamo noi, con i nostri significati, i nostri valori a darvi un senso, e che nessuna frontiera mediatica è pericolosa di per sé, ma in base a quanto criticamente e coscientemente viene utilizzata.
Possiamo dire che la Rete dà la possibilità alla persona di “essere vista”, come infatti sottolineava Cecchin “il bisogno fondamentale dell’uomo è quello di essere visto nella relazione con gli altri”. Il problema, in questi termini, emerge quando l’unica visibilità viene ottenuta nel mondo online piuttosto che in quello offline. Ruolo della psicoterapia sarà allora quello di raccogliere la storia di questa “disconnessione” dal mondo reale, connettendo le diverse narrazioni famigliari in un pattern che possa ripristinare quel “segnale relazionale” capace di fornire quella gratificazione che solo la fuga nel mondo online riusciva a dare… ma questa è un’altra storia.

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Note

  1. Nuovi Media: l’insieme dei mezzi di comunicazione che utilizzano il linguaggio digitale
  2. bridging: legami deboli;
    – bonding: legami forti;
    – peer bonding: legami tra pari;
    – family bonding: legami familiari